Dopo una lunga stagione di corruzione dello
spirito pubblico e di mercimonio dei pubblici poteri, soggiogati agli interessi
privati, una maggioranza estranea alla storia, alla cultura ed ai valori della
Resistenza sta per portare a termine l'attacco finale alla Costituzione
italiana.
Il disegno di riforma della II parte della Costituzione, approvato in prima
lettura il 23 marzo dal Senato, è un progetto eversivo che getta alle ortiche
la Costituzione nata dalla Resistenza, cancellando il suo frutto principale:
l'ordinamento democratico.
Al suo posto viene introdotto un ordinamento fondato sul governo (personale) del
primo ministro, al quale vengono attribuiti poteri persino superiori a quelli
che la legge 24 dicembre 1925 n. 2263 attribuì a Mussolini, instaurando il
regime fascista, che gli studiosi dell'epoca consideravano una forma di governo
basata sul primato del primo ministro. La riforma in pratica arriva a sopprimere
la forma di governo parlamentare, trasformando il Parlamento in un Consiglio del
Principe, sino al punto da togliere il diritto di voto ai parlamentari
dell'opposizione sulle scelte cruciali per le sorti del governo.
Come se non bastasse, il prezzo pagato per questo mutamento di regime sarà la
demolizione dell'universalità dei diritti, strettamente collegata allo sfascio
dell'unità nazionale prodotto dalla cosiddetta devolution. Del resto è
stato Bossi che ha imposto il rush finale del Senato per presentare, alle
elezioni regionali, il trofeo conquistato sul campo: le spoglie della Repubblica
italiana.
Uccidere una Repubblica, però, non è operazione da poco: dipende da quanto
siano salde le sue fondamenta.
La nostra Costituzione è la casa comune che ha consentito al popolo italiano
negli ultimi cinquant'anni di affrontare le tempeste della Storia,
salvaguardando, nell'essenziale, la pace, la libertà, i diritti fondamentali
degli individui e quelli delle comunità. Essa ha contribuito a formare
l'identità nazionale, per cui oggi non è possibile pensare al popolo italiano
separato dai suoi istituti di libertà, dal grande pluralismo dei corpi sociali,
dalla distribuzione dei poteri, dalla partecipazione popolare, dalla passione
per il bene pubblico.
La sostituzione della Costituzione con l'editto Bossi-Berlusconi colpisce
l'identità stessa del popolo italiano come comunità politica, distruggendo
quell'ordinamento attraverso il quale si sostanzia la democrazia e si garantisce
il rispetto della dignità umana alle generazioni future.
In questo modo, demolendo le istituzioni della democrazia, si disfa l'Italia,
trasformando il popolo italiano in un aggregato di individui in perenne
competizione tra loro, in una folla anonima, adatta ad essere plasmata da un
nuovo Duce.
Quest'anno la celebrazione del sessantesimo anniversario della Liberazione cade
in un tempo straordinario. Potrebbe essere l'ultima volta che celebriamo il 25
aprile, perché, se la riforma dovesse passare, il frutto della Resistenza
sarebbe cancellato ed il suo patrimonio disperso per sempre. Pertanto il 25
aprile prossimo non ci sarebbe più nulla da festeggiare.
Senonché la Costituzione italiana non è stata scritta sulla sabbia e non può
essere portata via dalle onde. È stata scritta, per dirla con Calamandrei,
sulla roccia. "Sulla roccia di un patto giurato fra uomini liberi che
volontari si adunarono, per volontà, non per odio, decisi a riscattare la
vergogna ed il terrore del mondo."
Oggi, come allora, è necessa-rio ritrovare lo stesso spirito, la stessa
coscienza di un dovere civile da adempiere: sconfiggere il progetto di
demolizione della Costituzione repubblicana, attraverso la mobilitazione
popolare ed il referendum, per ricostruire il primato della convivenza civile
orientata al perseguimento del bene comune.
Cominciamo dal 25 aprile, trasformando la celebrazione del sessantesimo
anniversario della Liberazione in una manifestazione nazionale in difesa dei
valori e dei principi inscritti nell'unica vera Costituzione della Repubblica:
quella del 1948, nata dalla Resistenza antifascista.
* giurista, ex parlamentare
ADISTA n°25 - 9.4.2005