Era stato nominato vescovo di San Salvador e preferito a mons. Rivera y Damas,
dietro pressioni della oligarchia, perché conosciuto come conservatore e legato
all'Opus Dei. Essi speravano che la sua pastorale avrebbe segnato una
rottura con quella del suo predecessore, Luis Chávez y González. La sua nomina
destò vive preoccupazioni nei settori progressisti della diocesi.
Egli dissentiva aggressivamente dalla Teologia della Liberazione, accusandola di
orizzontalismo, razionalismo, marxismo e considerandola una deviazione
"politica" della missione della Chiesa.
Per questo egli era ostile ai gesuiti, per esempio a Jon Sobrino, criticava la
loro cristologia, che, diceva, conduce alla rivoluzione e all'odio di classe;
era ostile ai sacerdoti che ispiravano la loro pastorale alla Conferenza
episcopale di Medellín . Dissentiva per queste ragioni anche dalla pastorale
del suo amico p. Rutilio Grande, che pure stimava personal-mente, tanto che era
per lui un problema. Si adoperò, con gli altri vescovi, perché i gesuiti
fossero allontanati dalla direzione del seminario. Accettava le novità del
Concilio e di Medellín, ma le interpretava in chiave conservatrice, ossia
rifiutandole.
Conservatore in teologia, lo era anche in politica. Avallò, con gli altri
vescovi, la militarizzazione dell'università, considerata un luogo di
sovversione, e la conseguente repressione
Di passaggio a Cuernavaca, evitò di visitare mons. Méndez Arceo, considerato
un "vescovo rosso".
L'assassinio del p. Rutilio e dei due contadini lo sconvolse. Essa sciolse ai
suoi occhi la "contraddizione" del p. Rutilio, attestando la validità
della sua pastorale e la coerenza della sua vita. Egli vide in lui un martire.
Così la scelta dei poveri, nucleo della pastorale di Rutilio, divenne la sua..
Sono i poveri che lo evangelizzano, che lo convertono. Sono essi che lo
"manipolano", come dicono i suoi detrattori. Il loro punto di vista
diventa il suo. Egli è consapevole del cambiamento che questo punto di vista
opera in lui. Parlando di una signora dell' Opus Dei, come anche del
segretario della nunziatura, egli commenta: "non capiscono come io non
capivo".
Del suo passato, egli chiede perdono a una comunità di base, e anche al rettore
del seminario. Ne è pentito.
Questa nuova scelta cambia per lui il senso di tutte le cose. I poveri sono il
Cristo nella storia, il Cristo crocifisso.
Per fedeltà ai poveri, egli deve affrontare l'ostilità e l'incomprensione
della oligarchia, del governo, dell'esercito, della maggioranza dei vescovi (ad
eccezione solo di Rivera y Damas), dei dicasteri romani (in particolare del
card. Baggio), della nunziatura. Tra i vescovi, mons. Aparicio e il cardinale
Casariego lo giudicano un irresponsabile, che mette a rischio la Chiesa con la
sua ostilità al governo ed all'esercito La sua radio emittente viene distrutta,
per tacitare la sua parola.
La scelta dei poveri cambia la sua concezione della Chiesa, identificata appunto
con i poveri e giustamente chiamata, egli dice,"chiesa popolare".
Essa relativizza il senso della istituzione e del diritto canonico.
Essa cambia il senso dell'identità cristiana, definita non più
dall'appartenenza all'istituzione ma dall'identificazione con i poveri.
Essa cambia il senso della missione sacerdotale ed episcopale che diventa quella
di "andare raccogliendo i cadaveri e tutto ciò che produce la persecuzione
della Chiesa"; diventa quella di restituire la speranza ai poveri.
Essa cambia la sua esperienza di Dio, che diventa il Dio dei poveri; il senso
della gloria di Dio diventa la vita del povero (gloria Dei vivens pauper).
Essa cambia le sue scelte politiche, individuando nel popolo il criterio di
valutazione dei partiti politici.
Essa cambia il suo rapporto con la curia romana e la nunziatura, che diventa più
libero ed autonomo.
Essa cambia il senso dell'autorità che diventa testimo-nianza di coerenza; e
che ispira una continua consultazione del popolo e quindi la fedeltà al punto
di vista del popolo.
Essa cambia il senso della messa, che, celebrata con i poveri, cessa di essere
un dovere giuridico e diventa la presenza di Cristo crocifisso e sanguinante e
il sacramento della comunione con i poveri.
Essa rinnova il senso dell'amore, scoprendo la sua dimensione politica e con
essa una nuova concezione del martirio.
Essa rinnova infine il senso della risurrezione, che cessa di essere una
prospettiva individuale e diventa la forma definitiva di identificazione con il
popolo: "se mi uccidono risorgerò nel popolo".
Così la Teologia della Liberazione cessa di essere una nuova dottrina e diventa
una nuova
ADISTA n°22 del 19.3.2005