Salmi delle ascensioni

 

da "cdb informa" n° 11 marzo 2005

 

In comunità abbiamo ripreso la lettura dei salmi e siamo arrivati al salmo 100. Elisa e Tullia hanno raccolto dalla voce di Franco Barbero, e poi ridotto in testo scritto, un suo commento ai primi salmi delle ascensioni (dal 120 al 124); tra non molto noi pure li incontreremo.

 

Questi salmi, chiamati anche salmi del pellegrinaggio o delle ascensioni, vanno dal 120 al 134 compreso e sono una raccolta ben individuabile  nel salterio. Probabilmente venivano usati e prima composti in occasione di un viaggio rituale di fede, di pellegrinaggio. Sono chiamati delle ascensioni proprio in virtù del fatto che Gerusalemme è a 800 metri; nella Bibbia si parla infatti non solo di andare a Gerusalemme, ma di salire a Gerusalemme. Il verbo salire qui ha due significati: uno geografico, l’altro è che verso la città della pace e della pienezza si sale, perché è un cammino verso l’alto, verso Dio.

Vengono pure chiamati salmi graduali, perché nel passaggio dal cortile all’interno del tempio ci sono 15 gradini, e si dice che si recitassero uno per ogni gradino prima di entrare nel tempio. Hanno, particolare interessante, una struttura dialogica. Potrebbe essere la eco di un uso liturgico, quasi che i pellegrini e le pellegrine giunti a Gerusalemme fossero poi posti in dialogo con chi li aspettava, ma può anche darsi si tratti di dialogo con Dio, nel cuore dell'orante.

Vorrei suggerire di non mettere in contrapposizione tutte queste possibili interpretazioni: la presenza di più significati appartiene proprio al dato biblico.

C’è un elemento che va tenuto presente: si tratta sempre di un viaggio. Che cosa nella Bibbia non è viaggio? Anche quando si diventa sedentari, bisogna fare memoria dei viaggi. Nella Bibbia ciò che conta è rimanere persone in viaggio, rispondere ad un Dio che cammina con noi, e quando ci si sedentarizza bisogna restare in cammino (v. capitoli 6 - 8 del Deuteronomio: a questa terra ti ho portato, in questa terra non dovrai lasciarti prendere dai mali della sazietà…).

Gesù prenderà questo stile di vita. Incontrerà il suo grande maestro, il Battista, viaggiando per le contrade della Palestina, camminerà con le persone, i discepoli e le discepole cammineranno con lui. La strada diventerà odos,  sinonimo della strada di Dio. La proposta che Dio ci rivolge è mettere in movimento la nostra anima: la conversione è anche questo muoversi. Dalle letture ebraiche leggiamo che il popolo prima va in Egitto, poi ritorna, poi va a Babilonia, poi ritorna…Tutto è un viaggio, siamo dei nomadi.

In questi salmi c'è un ricco arsenale simbolico: i simboli sono infatti le immagini del desiderio. Sappiamo che il desiderio interiore colora la nostra realtà: se nel nostro cuore pulsano dei desideri, la realtà si colora, il desiderio è tale da immettere la voglia di vivere.

Questi non sono salmi filosofici, sono fatti per amare, per imparare ad amare, per tenere il cuore caldo; perché i piedi non patiscano nella via, bisogna scaldare il cuore.

Nella tradizione cristiana questi salmi sono stati molto amati, i Padri li hanno letti come il simbolo del cammino della nostra vita.

 

Salmo 120

Questo salmo nasce da uno che è esule, lontano, non solo pellegrino, e che viene da un villaggio della Palestina. “Ho gridato verso Jahweh”: quando viene il grido c’è un sentimento intenso, perché andare a Gerusalemme è andare verso Dio; “ed egli mi ha risposto” la certezza della risposta fin dal primo versetto.

Le due località del v. 5, non ben individuabili, vogliono dire soprattutto terra selvaggia e crudele, un luogo dove non c’è legge e non c’è felicità, ma spietatezza. “Io abito come straniero, dimoro tra le tende di selvaggi e di crudeli” “io ho dimorato troppo tra le tende di chi odia le pace” troppo vuol dire che ha raggiunto il limite, è la soglia della sofferenza. “Io veramente parlo di pace, ma essi sono per la guerra”: io vorrei stare bene in terra d’esilio, ma essi sono per la guerra. A noi questo modo di descrivere la condizione dell’esule può sembrare un modo tetro, che quasi trova compiacimento nella sofferenza, ma se noi guardiamo la condizione tipica dell’esodo, molto spesso tormentata, comprendiamo che questi colori foschi dipingono una esperienza reale; l’esilio, la diaspora, sia per inferiorità numerica, sia per l’originalità dell’esperienza ebraica erano situazione di grande sofferenza. Da questo contesto diventa estremamente importante poter guardare a Gerusalemme, come patria, come luogo di vita. L’orante, dice Ravasi, sente come insopportabile l’immersione in un mondo bellicoso, straniero e ateo. E’ l’ansia dell’ebreo della diaspora che sogna di poter tornare nella terra di Sion tra i suoi fratelli.

E’ stata trovata nelle rovine di Qumran una preghiera, di coloro che erano andati là  fuggendo: “Ti ringrazio Signore perché non mi hai abbandonato quando ero in esilio tra un popolo straniero. Tu avevi abbandonato l’anima del tuo servo in mezzo a leoni che spezzano le ossa e devono il sangue, i cui denti sono come una spada e i loro incisivi come una lancia acuta. Hai liberato il povero dal serraglio dei leoni che aguzzano la loro lingua come una spada. Ma tu mio Dio hai chiuso i loro denti in modo che non dilaniassero l’anima dell’umile”. C’è anche qui una  visione del tragico: il vivere in minoranza è qualcosa di fastidioso e difficile, e da questo viene il grido. Lo ritroviamo nei libri di Daniele e di Giuditta, pieni di echi della difficoltà di vivere (la caldaia tra le fiamme, Giuditta con Oloferne)

L’esperienza del ghetto che Israele ha compiuto (e ora la fa compiere ai Palestinesi, il guaio è questo) è drammaticamente vera nella storia di Israele. Questo salmo va capito perché da questa disperazione (nel primo versetto si parla infatti di angoscia) si parte e c’è la fiducia che Dio risponda (Dio mi ha risposto).

 

Salmo 121.

E’ un salmo pieno di tenerezza, che ha immediatamente un balzo dialogico: "io alzo gli occhi verso i monti, da dove verrà il mio aiuto? Arriverà da Jahweh che ha fatto cielo e terra". Questo versetto può essere interpretato come voce da pellegrino a pellegrino, da sacerdote che attende a credente che arriva; è la voce sommessa della preghiera, quando ci poniamo la domanda e ci diamo noi stessi la risposta. “Io alzo gli occhi verso i monti”: con tutto il panorama dell’angoscia verrebbe voglia di chiudersi in casa, invece il gesto di fede è completamente diverso. “Da dove verrà….?”: c'è la centralità della fede ebraica, che dice: dentro di noi ci sono tante cose belle, però la salvezza viene da fuori, c’è un’alterità che io non imprigiono nelle mie mani, che non sta dentro le dinamiche del mio cuore. “Il mio aiuto è da Jahweh che ha fatto cielo e terra”: quella presenza di amore che ha fatto cielo e terra, si ricorda anche di me, anche se sono come un granello di sabbia.

Il salmo prosegue con un linguaggio empatico, in qualche modo ripetitivo, “non lascerà vacillare il tuo piede”: si parla di un viaggio, si parla di un’ombra contro le insolazioni, ma è anche il piede che vacilla, e questo è molto concreto, perché nel viaggiare il tuo piede non si gonfierà, e la tua gamba sarà protetta. “Non s’addormenterà il tuo custode”. Può succedere che noi ci addormentiamo , ma il tuo custode non si addormenterà: il custode non può dormire, se fa il suo mestiere di custode, è una tautologia; "non  prenderà sonno", non gli verrà nemmeno il sonno. Una cosa è dormire, un’altra cosa è sonnecchiare: Israele ricordati che Dio ti accompagna, non si addormenta, ma nemmeno sonnecchia. Poi ripete ancora: Jahweh è il tuo custode. L’ha appena detto, sono le parole d’amore che nella vita uno non si stanca mai di dire, Jahweh è come "ombra che ci copre"; nella Bibbia ci sono tante insolazioni. Sono andato a fare una ricerca, e nel secondo libro dei Re il figlio di della Sunanita, uscito per andare dal padre dai mietitori, appena arrivato si mise a gridare: la mia testa, la mia testa! Giona 4,8: basta un colpo di sole per farci venire meno le forze. Quante insolazioni possiamo prenderci nel pellegrinaggio della Bibbia. Invece il Signore ci dà l’ombra, l’ombrello, un ristoro per poter camminare: a portata di mano, alla tua mano destra; il custode può essere lassù, ma è anche alla tua mano destra.

Jahweh ti custodirà da ogni male, egli custodirà la tua vita, quando esci e quando entri; è una ripetizione costante della radice ebraica snr che vuol dire custodire. Jahweh è il custode nostro perché noi diventiamo gli uni per gli altri/e dei custodi. Lui o Lei, come vogliamo chiamarlo, ci incarica, dandoci la sua custodia, di diventare a nostra volta gli uni per le altre custodi; custode significa che la persona che tu custodisci è preziosa, perciò la custodia è un gesto di amore. Nella tradizione cristiana c’era il cosiddetto angelo custode, e stranamente la teologia dell’angelo custode è venuta fuori quando si è dimenticato Dio come custode. Bisogna insegnare al nostro cuore a dire che è Dio il nostro custode.

E’ un salmo che ci dà fiducia anche nei momenti in cui noi dormiamo: se dormiamo noi, non dorme lui. Nella vita tutti facciamo qualche sonno in più: per fortuna c’è l’insonnia di Dio, l’insonnia amorosa con cui ci accompagna e ci riprende.

Cerchiamo di cogliere nella Bibbia prendere i simboli che esprimono cura, affetto[1].

 

Salmo 122

La vista di Gerusalemme scatena una gioia infinita; se ne conosci la storia non puoi non emozionarti alla sua vista, come portatrice di memorie, città della pace: “fui pieno di gioia”, l’aggettivo pieno (pieno di spirito) è molto usato. “I nostri piedi sono giunti alle tua porte”, siamo arrivati a Gerusalemme, costruita come una città ben compatta e ben unita. Ritorna l’amore di Israele per Gerusalemme: è là che salgono le tribù di Jahweh, secondo la legge di Israele, per lodare il nome di Jahweh, è là che sono insediati i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide.

E’ il contesto di chi arriva ed è nella gioia più straripante: c’è l’elogio di questa città, dopo il rispecchiamento del cuore. Nella preghiera bisogna dare spazio ai sentimenti: in tutti i salmi Israele parla con il cuore, con il corpo, con la danza: quando c’è gioia c’è gioia, quando c’è disperazione c’è disperazione.

Al v. 4 “e di là che salgono le tribù” c’è un riferimento alla storia di Israele, perché tutta la sua storia è un salire a Gerusalemme, ma al tempo in cui è stato scritto questo salmo (nel dopo esilio) non c'erano più le tribù. Perché allora si parla di tribù? Evidentemente il cuore di Israele ha radici nel tempo antico quando Gerusalemme era ancora una piccola realtà: é dal tempo di Davide che si saliva a Gerusalemme, secondo la legge di Israele, per lodare il nome di Jahweh. Gerusalemme corrisponde al luogo del pellegrinaggio, al luogo della legge, al luogo dell’identità, al luogo del culto: la pienezza per Israele.

"Sia pace alle tue mura": pace, shalom,  probabilmente non vuol dire qui assenza di guerra, ma si può tradurre con una parola che in latino si dice integritas, pienezza di ogni bene. Compare qui la simbologia irraggiungibile di Gerusalemme; questa implorazione di pace ci lascia anche intendere che già allora di pace ce n’era poca. La sofferta sorte di Gerusalemme è quella di non trovare pace e questo drammaticamente è vero ancora adesso. Noi, tra cristiani, arabi e ebrei abbiamo fatto di Gerusalemme un grande caos, anziché farne la città della pace.

Casa di Jahweh, nel primo e nell’ultimo verso: forse è improprio e ambiguo chiamare il tempio e la città "casa". Anche noi abbiamo fatto delle nostre chiese la casa di Dio. Qui dietro però c’è il bisogno di una casa in cui raccogliersi attorno a Jahweh; quando hai perso la terra e sei continuamente nomade, hai bisogno di una casa in cui abitare, hai voglia di avere una terra. Forse questo accanimento di Israele sulla terra ha un senso in questa direzione. E’ drammaticamente vero che il bisogno di una terra fa essere violenti; oggi questo bisogno non è ancora smaltito, anche se era molto più giustificabile al tempo del salmo.

Si può tornare al salmo 84, un salmo anche questo del pellegrinaggio che ci aiuta a capire il desiderio della terra, di pace. Sono preghiere che dimostrano un legame intimo con Dio

 

Salmo 123

E' un salmo brevissimo, di incredibile concisione.

Siamo arrivati a Gerusalemme.. Prima il piede (salmo 121), adesso gli occhi. Ora siamo arrivati e si può vedere qualcosa, cosa faccio? Come credente alzo sempre gli occhi: “a te levo i miei occhi”. Questa è la casa di Jahweh, ma devo sempre ricordarmi che tu sei nei cieli. Altro concetto importantissimo nella fede ebraica: mai pensare che quando sei arrivato ai suoi piedi l’hai toccato, perché lui è nei cieli; se però senti Dio lontano, pensa che lui è vicino.

Come gli occhi dei servi alla mano del suo padrone, gli occhi di una schiava alla mano della sua padrona, così i nostri occhi al nostro Dio affinché abbia pietà di noi; questo problema degli occhi è presente in altri salmi. (25, v.15, 69 v.4, 119 v 82, 141 v.8). La persona che non ne può più avrebbe potuto chiudersi, cercare altre strade, ma alza gli occhi e compie questo che è sapienza del credente; l’aiuto infatti non arriva da nessuna altra parte. Nel contesto culturale della di-strazione, dal greco dis e dal latino trau, portati malamente, è importante non dimenticarlo.

 

Salmo 124

Il contesto del tardo esilio è già ricco di storia: sul collo di Israele sono passati infatti gli aratri. Il credente considera che dalle sofferenze di Abramo fino a quelle di Mosè,  tutto è passato sulla testa di Israele. Jahweh è stato contro di noi (per / contro): dualismo tragico applicabile a molti momenti. La fiumana, la preda, i denti, il laccio, sono metafore similitudini per parlarci di questo, che vale per la storia del popolo, ma anche per la storia di singoli. Quanti momenti in cui il collo si sarebbe rotto, quante acque ci avrebbero travolto: sono immagini della vita. L’uccello che si è liberato dal laccio é immagine dell’esodo, dell’oppressione faraonica e rappresenta Israele.

Nel primo versetto c’è scritto “lo dica Israele”, come dire: Israele ricordi. Ricordare e pregare: non bisogna nella vita separare le due cose, perché l’uomo ha bisogno di nutrimento. C’è tanta gente che quando sceglie l’impegno, si dimentica della preghiera. Leggere la bibbia per me è come mangiare, in questo Gesù è stato di esempio: ha messo insieme l’adorazione di Dio e l’impegno. Erano la sua vita.

 (Testo non rivisto dall'autore)

 

 


 

[1] Joan Ghane "I modelli di Dio" Claudiana