VOCABOLARIO POLITICO
Berlusconismo, le parole
giuste per dirlo
di ANTONIO TABUCCHI
L'Italia è un paese di anime belle. Prodi
chiama con la parola più appropriata di cui dispone la lingua italiana uno
stuolo di ragazzotti che Berlusconi riceve alla Camera (non ad Arcore, alla
Camera) e che faranno servizio di propaganda a pagamento porta a porta, e il
tenero Follini sviene. Come si devono chiamare delle Camicie Azzurre che fanno
un lavoro di propaganda a pagamento, se non mercenari? Forse Follini preferiva
«volontari retribuiti», o ancor meglio «eroi», come chi fa questo mestiere
in Iraq, e riceverli sulla soglia del Parlamento con il tricolore e la banda
delle Forze Armate che suonava l'inno nazionale? Quando l'opposizione chiama le
cose con il loro nome, la maggioranza protesta che «la si delegittima». Il
lapsus linguistico di Follini è sintomatico della mentalità in cui si è
adagiata la destra in questi anni, una mentalità che la sinistra le ha offerto
su un piatto d'argento. Tale mentalità consiste in questo: una politica che
sfascia l'Italia deve essere «legittimata». Se la sinistra non approva la
terra bruciata dell'armata di Berlusconi, la destra se ne ha a male. Piange.
Credo che la sinistra si sia fatta rubare la politica anche perché si è fatta
rubare le parole della sinistra. Berlusconi ha usurpato il paese, la
televisione, il Parlamento anche perché ha usurpato (con la quiescenza della
sinistra e con l'aiuto della stampa che gli ha fatto da megafono) le parole che
appartengono alla sinistra e soprattutto al sistema democratico al quale egli
per natura è estraneo. Ha cominciato l'esproprio linguistico nel battezzare la
sua alleanza «Casa delle libertà», lo ha continuato autodefinendosi «il buon
governo». Ciò lasciava implicitamente intendere che fuori dal suo schieramento
non c'era libertà e fuori dal suo governo c'era solo il malgoverno. Questa
oscenità linguistica doveva essere subito rintuzzata dalla sinistra, che invece
non solo si è lasciata scippare parole che appartengono alla sua cultura e alla
sua tradizione, ma l'ha assecondata in modo prono. Sentire senatori del
centrosinistra che in un salotto della televisione di stato occupato da
Berlusconi, davanti a un fascistello che bestemmiava la democrazia, dicevano
rispettosamente «voi del Polo delle libertà», era una delle cose più
umilianti che si potessero sentire in questa Italia violentata dalle leggi
Cirami, dai licenziamenti di Enzo Biagi e di Santoro e dai lodi Schifani. E
avrete notato intanto lo slittamento semantico con cui la stampa (anche quella
cosiddetta liberale) ha accompagnato l'ascesa del berlusconismo: Maroni
diventava «ministro del welfare»; quando Ciampi firmava le leggi più
indecorose lo faceva dopo aver esercitato una «moral suasion»; Berlusconi non
era più semplicemente il primo ministro, come si dice in tutti i paesi europei
per chi è primo ministro. No: Berlusconi è il premier, oppure il Cavaliere:
due epiteti che evocano il condottiero, il capo di un'intera nazione, non di una
risicata maggioranza tenuta insieme da scambi di favori e di poltrone.
Berlusconi, accusato di corruzione di tribunali e di reati economici che niente
hanno a che fare con la politica, da anni chiama i giudici «toghe rosse». Ha
aggiunto che chi sceglie di fare il giudice o è un poveraccio o un malato di
mente. A Follini pare una «legittimazione» della magistratura? E che ne dice
Ilvo Diamanti, imparziale osservatore di un quotidiano liberale, che ieri ha
rimproverato a Prodi troppa asprezza verbale? E perché la sinistra ha permesso
che questo miliardario della cui fortuna nessuno conosce l'origine usasse la
parola «comunista» come se fosse un marchio d'infamia? Perché non gli ha
replicato che il Partito comunista in Italia ha salvato le istituzioni
repubblicane in più di un'occasione, e che se un marchio d'infamia l'Italia lo
ha verso se stessa e con tutta l'Europa è il fascismo mussoliniano che si alleò
con i nazisti portando l'Italia al macello e morte e distruzione nel mondo?
Perché la sinistra ha lasciato che i nazifascisti di Salò, mercenari anch'essi
al soldo di fascisti stagionati, fossero graziosamente rivalutati col nome di «ragazzi
di Salò»?
Il tenero Follini è male abituato. E abituato ad un'opposizione alla quale
viene l'orticaria se sente parlare di regime. Ce lo trova, l'on. Follini, un
paese europeo dove il capo di un governo possegga la quasi totalità
dell'informazione? E che non solo la possegga, ma che la produca. Perché
Berlusconi non solo controlla l'informazione, egli è proprietario di una
possente macchina, Mediaset, che produce informazione. Neanche a Ceaucescu era
riuscito tanto. E che dire di quando Berlusconi, alla vigilia della grande
manifestazione a Roma della Cgil contro l'abrogazione dell'art. 18, a reti
unificate lanciò un messaggio televisivo al paese e insinuò che l'assassinio
del prof. Biagi era la conseguenza dell'istigazione del sindacato? A Follini
questa trovata pare una legittimazione del movimento sindacale, uno dei pilastri
di ogni democrazia moderna? Berlusconi definì la Costituzione repubblicana una
«costituzione sovietica». La frase è palesemente fascista ma la sinistra non
ebbe il coraggio di dirlo. A Follini piace? Berlusconi ha, fra le altre cose,
devastato la lingua italiana. E' tempo di ripristinarla, di sottrargli le parole
che ha rubato, di restaurare gli sfregi che ha fatto alle parole, perché le
parole sono le cose. E' tempo che la sinistra gli ribatta che se vuole ancora
affermare che Mussolini mandava gli oppositore in villeggiatura, prima quella
villeggiatura la deve fare lui. Il giorno che Gianfranco Fini veniva nominato
ministro degli esteri, il giornale di Paolo Berlusconi, il fratellino con
condanna passata in giudicato, titolava a tutta pagina: «Dopo Fiuggi il
fascismo non è più tabù». Se lo dicono loro, che la sinistra ne approfitti e
si riappropri delle parole per dirlo: chiami fascisti i fascisti.
"il manifesto" del 7.12.2004