Il codice politico
ANTONIO TABUCCHI
L'Italia sembra stupirsi perché si dice che Berlusconi
attraverso amici suoi stia comprando il Corriere della Sera.
Lui nega. Forse non è lui, è una P3, chissà. Comunque stupisce tanto stupore,
come se si trattasse di un fatto inaudito. Berlusconi ha un conflitto
d'interessi grosso come il Titanic, possiede quasi tutta l'informazione
italiana: rientra nella sua logica che cerchi di eliminare il «quasi». Il suo
sistema consiste in un regime mediatico e di affari esteso su tutta l'Italia che
serve a due scopi: diffondere il pensiero di Berlusconi (perché Berlusconi ha
un pensiero, per quanto unico ed elementare) e aumentare in maniera faraonica le
sue casseforti (in quattro anni di governo è diventato uno degli uomini più
ricchi del pianeta). Il problema dunque non è tanto l'eventuale acquisto del Corriere
da parte sua o di un'ipotetica organizzazione, il problema è perché si è
arrivati a questo punto. A un punto tale che in una lettera al direttore di Repubblica,
dopo essersi rammaricato che De Benedetti non sia entrato in affari con lui a
causa del «massacro mediatico, e tutto politico, che investe immediatamente
chiunque osi entrare in rapporto con Silvio Berlusconi» (Berlusconi non dice
mai «con me», si chiama sempre Silvio Berlusconi, come se fosse un altro) e
dopo avere affermato che lui tale massacro lo soffre quotidianamente sulla sua
pelle da quando ha «osato togliere il potere a una sinistra illusa di avere già
vinto», Berlusconi così conclude: «Non vorrei, signor direttore, che questa
stessa sinistra e che molte persone che la pensano come Lei si illudessero
ancora una volta». Che sembrerebbe una frase sempliciotta, e che invece è
abbastanza complessa, perché è una sorta di messaggio in codice, che tradotto
ai profani suona: lasciamo perdere il Corriere, che di quello mi occupo
io; a voi di Repubblica stavolta è andata bene, ma vedremo alla
prossima, perché gli affari sono affari, e chi in Italia è in affari, prima o
poi, volente o nolente, gli affari li deve fare con Silvio Berlusconi, visto che
i miei soldi sono dappertutto.
Ma è opportuno ricordare, a questo punto, che quando la società civile
italiana (cioè quei cittadini che non credono alle televendite e ai
telecontratti berlusconiani) si accorse che Berlusconi stava instaurando in
Italia un regime totalizzante (non totalitario, totalizzante - cioè basato sul
controllo di tutto ciò che acquistiamo, che leggiamo, che vediamo e che
sentiamo) e cominciò a manifestare la sua forte preoccupazione (grandi scioperi
sindacali, Palavobis, girotondi, interventi di intellettuali sulla stampa ancora
libera, eccetera), dall'opposizione, in specie da quel pezzo dei Ds detti «riformisti»
(che non si capisce cosa mai debbano ancora riformare, essendo tutto già
riformato da tempo) e da coloro che si dicono progressisti ma chissà perché «sospettano»
delle socialdemocrazie scandinave come se fossero rivoluzionarie, si alzò un
severo monito, «Non si deve demonizzare l'avversario!».
Cioè: i cittadini che protestavano (peraltro
civilissimamente) perché un presidente del consiglio che è al contempo padrone
di mezza Italia confezionava a raffica leggi ad personam e licenziava
giornalisti della televisione di Stato come se fossero stallieri delle sue
ville, per una certa opposizione (la stessa che precedentemente con tale signore
era entrata in colloqui istituzionali non andati poi a buon fine) erano dei
demonizzatori del povero Berlusconi. E intanto Berlusconi, facendo gli affari
suoi e le leggi sue, demonizzava a tutto vapore: tutti comunisti, le toghe
rosse, i magistrati mentalmente disturbati, la nostra Costituzione «sovietica»,
il maggior sindacato italiano «mandante» di omicidi, la commissione Telekom
Serbia, e via demonizzando. Con tutti i suoi mazziatori schierati nelle
postazioni giornalistiche o televisive, non di rado coadiuvati da qualche
gentile rifondatrice del comunismo che infilava la cartuccera nella mitraglia
del cecchino (si veda il recente processo instaurato a Cofferati, «reo»
soprattutto di aver portato in piazza tre milioni di italiani in pieno
berlusconismo: una cosa che in Italia non si perdona a nessuno, né da destra né
da sinistra). Questa filantropica «comprensione» dell'avversario parve strana
a molti. Così come parve stranissimo che alcuni politici dell'opposizione
sembrassero punti da una serpe se qualcuno definiva «regime» il sistema di
Berlusconi (che con il sistema economico-mediatico di cui sopra ha ingabbiato
l'Italia in una camicia di Nasso che è una forma di regime). Alcuni personaggi
dell'opposizione reagivano alla parola come se si parlasse di loro o di un
parente stretto, tanto che veniva voglia di tranquillizzarli. E la creazione da
parte dello stesso partito di un giornale come Il Riformista (dal colore
di giornale economico) che facesse la guardia all'Unità allorché a
Berlusconi fa un'opposizione come si deve, cioè senza sconti e comprensioni,
non è strana? È stranissima. Attualmente il chiodo fisso del Riformista
è Antonio Padellaro, come lo è stato Furio Colombo, fino alle sue «dimissioni».
Ma quelle «dimissioni» non sono strane? Lo sono quanto e più di quelle di
Ferruccio De Bortoli dal Corriere della Sera. Viene spontaneo pensare che
Berlusconi abbia la mano lunga a destra, al centro e a sinistra. E l'elogio di
Craxi fatto dal segretario di un partito che dovrebbe rivendicare la questione
morale, non è strano? Non solo è strano, è inaccettabile, soprattutto se
giustificato dalla curiosa motivazione che Craxi appartiene alla storia di
famiglia. Se fosse stato detto: «purtroppo Craxi appartiene alla storia di
questa famiglia», il discorso cambiava, perché per le famiglie perbene esiste
l'interdizione del parente che ha buttato male. Il sistema politico di Craxi,
fatto di corruzione e di intrecci oscuri con la finanza, era un sistema marcio,
ragioni per le quali è morto in contumacia con una condanna sulle spalle.
Accettarlo in una famiglia come se il legame del sangue fosse più importante
dei principi morali, è un fatto strano.
Ma tutte le stranezze, tutte le anomalie, hanno una spiegazione, non sono
effetto di fenomeni paranormali. Lungi dal voler attribuire in anticipo
qualsivoglia colpevolezza a chicchessia, una cosa è certa: le recenti
intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura rivelano allarmanti
intrecci fra politica e finanza. Un mondo sottobanco (o sotto-banche) fluido,
filamentoso, multiforme e proteiforme, un alien i cui gangli vitali
interagiscono e si alimentano a vicenda: una vera «società multicolore».
Sorpresa? Non troppo, per chi ricorda quello che già è successo in Italia. Per
chi ricorda Sindona, Marcinkus, il Banco Ambrosiano, Calvi. Per chi ricorda il
Caf. Per chi ricorda i metodi del craxismo. Per chi ricorda Mani pulite (poi
mozzate dalla classe politica tutta).
Ma facciamo finta che l'Italia sia un paese normale. Facciamo finta che certi
accoppiamenti poco giudiziosi non siano mai avvenuti, che tutto si svolga in una
trasparenza almeno relativa, come si svolge nel resto dei paesi civili europei o
nelle temute socialdemocrazie scandinave. Facciamo finta che le accuse di
latinoamericanizzazione che giornali come l'Economist lanciano all'Italia
siano frutto di pura maldicenza, e spostiamoci davvero in America Latina. El
País del 13 agosto, nella sua rassegna stampa internazionale, riporta
questo testo apparso sul quotidiano peruviano La República, intitolato Etica,
corrupción y política e riferito al governo brasiliano. Traduco le righe
finali: «Costa fatica pensare che Lula non fosse al corrente della corruzione.
E gli stessi brasiliani sono rimasti di stucco allorché Lula ha assicurato che
non sapeva niente dei movimenti del suo compagno e intimo amico José Dirceu. Le
stesse persone che rivendicavano un esercizio etico della politica hanno
organizzato o tollerato la corruzione degli oppositori con denaro di oscura
provenienza. Ora che il vento della sinistra soffia con forza in almeno sette
paesi dell'America Latina, è urgente che i suoi leader capiscano che la
trasparenza è imprescindibile per chi aspira a essere portavoce delle cause del
popolo».
Io non so se sull'Italia soffia un vento di sinistra o di destra, e poco importa
in questo caso la direzione da cui proviene. So però che è un vento bolso e
sabbioso, uno scirocco malsano che abbatte e demoralizza tutti quei cittadini
(sono molti) che cominciano a sospettare che il simbolo che votano sulla scheda
elettorale non contenga ideali o progetti, ma mascheri delle azioni bancarie
(che ovviamente non hanno colore). Per quanto mi riguarda l'appello per un
codice etico che con altri ho indirizzato a Romano Prodi concerne soprattutto
questo punto. È vero che un codice etico non basta: certe caratteristiche
antropologiche di una classe politica non si cambiano con un codice. Ma può
essere un profilattico punto di partenza per evitare brutte sorprese. Ma questo
Prodi lo sa meglio di noi, perché sa che stavolta deve evitare ad ogni costo
brutte sorprese.
il manifesto del 17.8.2005