OMOSESSUALITÀ E CRISTIANESIMO: UN'INCOMPATIBILITÀ SENZA FONDAMENTO
DOC-1656. MADRID-ADISTA. Riformulare la teologia cristiana del
matrimonio, per includervi le diverse tendenze sessuali su una base di libertà
e di rispetto dell'alterità: il richiamo viene dal teologo spagnolo Juan José
Tamayo, che, in un intervento dal titolo "Omosessualità e
cristianesimo", che qui di seguito riportiamo integralmente in una nostra
traduzione dallo spagnolo, denuncia distorsioni e pregiudizi che condizionano la
relazione tra Chiesa e omosessualità.
La relazione tra omosessualità e cristianesimo è un tema complesso su cui
generalmente non si parla con serenità ed equilibrio. Si affronta con
stereotipi, pregiudizi e concezioni mitiche, legati ad un'educazione religiosa e
civica caratterizzata dall'omofobia. Mancano obiettività, rigore e rispetto nel
trattamento del tema. C'è la tendenza a squalificare. La gente si pronuncia
prima di informarsi, e non per cercare di comprendere ma per condannare.
La Chiesa cattolica è una delle organizzazioni internazionali che più volte si
è pronunciata pubblicamente sull'omo-sessualità, e sempre in tono negativo e
di condanna. Altri organismi internazionali, come l'Organizzazione Mondiale
della Salute, il Consiglio d'Europa, il Parlamento Europeo, ecc., si sono
mostrati più comprensivi, tolleranti e aperti.
Il primo dato da considerare in questa materia è l'ampio pluralismo esistente
tra i gruppi di cristiani e cristiane (qui mi limiterò ai cattolici). Da una
parte si trovano le posizioni della gerarchia cattolica in blocco, senza crepe,
almeno all'esterno, e di alcune organizzazioni cattoliche che considerano
eticamente disordinata la mera inclinazione della persona omosessuale;
qualificano la pratica omosessuale come immorale e abominevole; accusano gay e
lesbiche di essere persone depravate e moralmente cattive, un virus per la
società; paragonano i matrimoni omosessuali alle monete false, definendoli in
questi termini: corruzione e falsificazione legale dell'istituzione
matrimoniale, regresso nel cammino della civiltà, grave lesione ai diritti
fondamentali del matrimonio e della famiglia, attentato all'armonia della
creazione, rottura della stabilità sociale nella sua essenza più profonda e
distorsione dell'immagine dell'essere umano e della famiglia. Allo stesso modo,
esprimono il proprio dolore per i danni causati ai bambini dati in adozione a
queste "false coppie".
Dall'altra parte vi sono le posizioni di numerosi gruppi di teologi, teologhe,
comunità di base, lesbiche e gay cristiani che dissentono dalla gerarchia,
definendola aggressiva e totalitaria. Questi gruppi difendono un modello di
convivenza caratterizzato dal rispetto e dalla libertà, giustificano
l'omosessualità come una forma legittima di esercitare la sessualità,
rivendicano il diritto delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio sia
civile che religioso, in quanto unità di convivenza e di affetto a parità di
condizioni con le persone eterosessuali, e all'adozione.
I punti di accordo tra le due parti sono minimi e la frattura non potrebbe
essere maggiore. Cercando di oggettivare il tema, ritengo che il problema di
fondo sia radicato in una serie di distorsioni che passo ad esplicitare. La
prima è la tendenza a considerare come legge naturale e divina quelle che in
realtà sono norme ecclesiastiche. È la strategia dei vescovi di imporre a
tutta la cittadinanza una concezione del matrimonio e della sessualità che
appartiene alla dottrina morale della Chiesa cattolica di una determinata epoca
storica oggi in via di revisione. La gerarchia pretende di porre limiti ai
legislatori nell'esercizio della loro funzione, accusandoli, nel caso della
legge che regola il matrimonio omosessuale, di andare contro la legge naturale,
di negare in maniera flagrante dati antropologici fondamentali e di portare
avanti un autentico sovvertimento dei principi morali più elementari
dell'ordine sociale. Quello che soggiace a tale posizione è la resistenza a
riconoscere lo Stato non confessionale e ad accettare il pluralismo ideologico,
religioso e morale della società spagnola.
La seconda distorsione, conseguenza di quella precedente, è la non accettazione
di un'etica laica, valida per tutti i cittadini e le cittadine,
indipendentemente dalle loro fedi ed ideologie. Il processo di secolarizzazione
ha stabilito una giustificata separazione tra la sfera religiosa e quella laica
che i vescovi farebbero bene a rispettare, collaborando, a partire da qui, alla
ricerca comune di alcuni minimi fondamenti di etica laica condivisi da tutti i
cittadini e le cittadine, nel rispetto delle morali delle diverse tradizioni
religiose.
La terza distorsione è interna allo stesso cattolicesimo e fondamentale dal
punto di vista teologico. Consiste in una lettura fondamentalista dei testi
biblici relativi all'omoses-sualità. Faccio un paio di esempi. Il primo è
quello di Sodoma e Gomorra (Gn 19,1-11). In base all'interpretazione
tradizionale, il peccato degli abitanti di queste due città sarebbe stato
quello di intrattenere relazioni omosessuali. Tuttavia, secondo
l'interpretazione che oggi sembra più corretta, quello che si condanna non è
l'omosessualità in sé, ma la durezza di cuore degli abitanti di Sodoma, la
violenza dell'uomo sull'uomo, che implica un'umiliazione, l'offesa agli
stranieri che Lot aveva accolto in casa esercitando la virtù dell'ospitalità.
La teologa nordamericana Alice Winter mostra che il peccato delle due città si
concretizza in un sistema di ingiustizia e di oppressione difeso da una piccola
élite per garantirsi una vita di ricchezza e di ozio alle spalle dei poveri. In
definitiva, è la mancanza di ospitalità nei riguardi degli stranieri quello
che si condanna.
Il secondo esempio sono le prescrizioni del Levitico. In un brano di questo
libro (18,22) si definisce l'omosessualità maschile abominevole. In un altro
(20,13) si dice che, se un uomo giace con un altro uomo, entrambi commettono
abominio e devono morire. I due testi devono essere letti nel loro contesto.
Nella legislazione ebraica si ordina la pena di morte per quanti maledicono i
propri genitori, per gli adulteri, gli incestuosi e per quanti commettono
peccato con gli animali. Si considera ugualmente abominevole avere relazioni
sessuali con una donna durante le mestruazioni. Al contrario, si permette di
vendere la propria figlia come schiava, di possedere schiavi, maschi e femmine,
sempre che si acquistino in nazioni vicine. Si stabilisce la pena di morte per
chi trasgredisce il precetto del riposo del sabato e osa lavorare il settimo
giorno. Si proibisce di accedere all'altare a ogni persona con qualche difetto
fisico. Bisogna interpretare questi testi nel loro senso letterale? Decisamente
no. Ciò che tali proibizioni vogliono porre in rilievo è il carattere
peculiare del popolo ebraico come popolo di Dio che si distingue dagli altri
popoli. La condanna dell'omosessualità come di altre pratiche non si basa su
ragioni sessuali ma su ragioni religiose. Il problema non si pone sul terreno
morale, ma su quello dell'identità etnica e della purezza.
Credo che il conflitto o l'incompatibilità tra cristianesimo e omosessualità
manchino di una base tanto antropologica come teologica. Concordo con il teologo
olandese Edward Schillebeeckx sul fatto che non esiste un'etica cristiana
rispetto all'omosessualità. Si tratta di una realtà umana che deve assumersi
come tale senza appellarsi a valutazioni morali escludenti. A mio giudizio, non
esistono criteri specificamente cristiani per giudicarla. L'incompatibilità nel
cristianesimo non si dà tra l'essere cristiani e l'essere omosessuali, ma tra
l'essere cristiani e l'essere non solidali, tra l'essere cristiani e l'essere
omofobi, o, come dice il Vangelo, tra il servire Dio e il servire il denaro.
L'attuale teologia cristiana del matrimonio è stata elaborata in una cultura,
una società e in una religione omofobe e patriarcali, che imponevano la
sottomissione della donna all'uomo e l'esclusione degli omosessuali
dall'esperienza dell'amore. Oggi c'è bisogno di riformulare tale teologia,
affinché sia inclusiva delle diverse tendenze sessuali che devono essere
vissute a partire dalla libertà, dal rispetto dell'alterità e all'interno di
relazioni ugualitarie.
ADISTA 15.10.2005 n° 70