TEILHARD DE CHARDIN, IL TEOLOGO MESSO ALL’INDICE CHE LASCIO’ LA SUA IMPRONTA SUL CONCILIO

DOC-1608. ROMA-ADISTA. La domenica di Pasqua di 50 anni fa moriva Pierre Teilhard de Chardin, filosofo e teologo gesuita, ma prima di tutto un mistico e anche un paleontologo che "insegnò alle donne e agli uomini moderni a trovare Dio in tutte le cose": così nell'editoriale della rivista dei gesuiti statunitensi "America" (n. del 28 marzo), che celebrano la Resurrezione di Cristo rendendo omaggio a colui che "ha reso possibile ai cattolici di liberarsi del fardello della spiritualità tridentina, appesantita dalla colpa e dal peccato".
Teilhard de Chardin nacque in Alvernia nel 1881 e morì a New York nel 1955: scienziato (paleontologo e geologo), filosofo e teologo francese, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1899; partecipò a spedizioni scientifiche importanti e ampliò il campo della sua ricerca scientifica al dibattito cosmologico e teologico. Questo lo rese inviso agli ambienti ufficiali della Chiesa cattolica. Al punto che, ancora dopo la sua morte, le sue opere (come La scienza e Cristo, Il fenomeno umano, e L'ambiente divino) vengono messe al bando con un Monitum del Sant'Uffizio, datato 30 giungo 1962, perché "racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi che offendono la dottrina cattolica". Nel documento vaticano si esortavano quindi tutti gli insegnanti e i rettori di Università e Istituti religiosi a "difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Theilard de Chardin e dei suoi discepoli".
Eppure proprio in quegli stessi anni, uno dei documenti portanti del Concilio Vaticano II, la Gaudium et Spes è fortemente permeata dal pensiero del gesuita francese. È lo stesso card. Ratzinger ad ammetterlo nella sua opera Principles of Chatolic Theology (Principi di Teologia cattolica, Ignatius Press, San Francisco, 1987, p. 334).
Anche in vita, tuttavia, lo studioso fu oggetto di disposizioni disciplinari da parte della stessa Compagnia di Gesù che lo sospese dall'insegnamento di materie di carattere filosofico-teologico e lo invitò a non pubblicare più nulla su questi temi.
Gli "errori" imputati al teologo si riferiscono principalmente alla sua visione panteista della presenza di Dio nel cosmo, ad una insufficiente separazione ontologica fra materia e spirito nella descrizione dell'evoluzione della materia fino alla comparsa della vita e dell'uomo, ad una probabile concezione determinista dell'incarnazione: aspetti che contrastavano con l'impostazione cosmologica cristiana preconciliare e portavano, secondo il Sant'Uffizio, ad una erronea comprensione della storicità del peccato originale. Molte di quelle idee influiranno in modo decisivo sull'elaborazione teologica di non pochi autori del XX secolo considerati in perfetta ortodossia. Lo stesso papa Paolo VI, nel 1966, in un discorso sulle relazioni fra scienza e fede, parlava di Theilard come di uno scienziato che aveva saputo, scrutando la materia, trovare lo spirito, e che aveva dato una spiegazione dell'universo capace di rivelare in esso la presenza di Dio, la traccia di un Principio Intelligente e Creatore (v. Allocuzione 24/2/1966, Insegnamenti, IV, 1966, pp. 992-993). Ancora il 12 maggio del 1981 il segretario di Stato card. Agostino Casaroli scrive a mons. Paul Poupard, rettore dell'Institut Catholique di Parigi, che l'"acuta percezione del dinamismo della creazione" del gesuita e la sua "ampia visione del divenire del mondo si coniugano con un incontestabile fervore religioso". Ma sull'Osservatore Romano dell'11 luglio dello stesso anno una breve nota della sala stampa della Santa Sede preciserà che la lettera di Casaroli non andava considerata un "riabilitazione" dello studioso francese, né dovevano considerarsi risolti gli aspetti problematici presenti nel suo pensiero.
Un pensiero, ricordano i gesuiti di "America", che ha rivalutato l'uomo e la terra senza diminuire il valore di Cristo: "In virtù della Creazione e ancora più dell'Incarnazione - scriveva Teilhard - , niente è profano quaggiù per chi sa vedere".
Di seguito l'editoriale riportato integralmente in una nostra traduzione dall'inglese.

C. S. Lewis ha paragonato la resurrezione alla luce di un'alba estiva, in cui si sente una cosa sola con la luce del sole e con l'aria mite. Di quest'alba egli ha scritto in "Il peso della gloria": "Non vogliamo semplicemente vedere la bellezza, vogliamo essere uniti alla bellezza che vediamo, attraversarla, diventare parte di essa, accoglierla in noi". Questa, argomentava, è la vita nella gloria.
È stato quindi una perfetta consonanza che sia passato alla gloria proprio la domenica di Pasqua, 50 anni fa, Pierre Teilhard de Chardin S.J., un mistico che insegnava ai cattolici e a molti altri ad assaporare la resurrezione come una luminosa mattina estiva.
Nella sua morte, giunse a possedere il Dio al quale aveva chiesto in preghiera "Insegnami a trattare la mia morte come un atto di comunione".
Famoso come paleontologo e come autore del Fenomeno umano, un libro che riconciliava cristianesimo ed evoluzione, Teilhard era anche un grande mistico che insegnò alle donne e agli uomini moderni a trovare Dio in tutte le cose. Così facendo, siamo riusciti ad apprezzare in modo più ricco che non il Venerdì Santo ma la Pasqua rappresenta la realizzazione del mistero pasquale. Egli ha reso possibile ai cattolici di liberarsi dal fardello della spiritualità tridentina, appesantita dalla colpa e dal peccato. "Se ci avviciniamo (alla croce) - scriveva - riconosceremo il fiammeggiante Serafino del-l'Alvernia… l'incendium mentis", il fuoco dell'anima. Teilhard ha reso possibile respirare l'aria gloriosa piena di luce, il grande dono di Pasqua. "Mostrati a noi come l'onnipotente, il radioso, il risorto", pregava. "e affinché possiamo trionfare sul mondo con te, vieni a noi vestito della gloria del mondo".
Quella di Teilhard era una fede pasquale, piena della presenza di Dio. "Senza terremoto o rombo di tuono", scriveva in Messa sul mondo, "la fiamma ha acceso il mondo intero dall'interno. Tutte le cose individualmente e collettivamente vengono penetrate e attraversate da essa, dall'intimo nucleo del più piccolo atomo alla potente portata delle più universali leggi dell'essere: essa è fluita in modo così naturale in ogni elemento, in ogni energia, in ogni connessione nell'unità dei nostri cosmi, che si può supporre che i cosmi si siano infiammati spontaneamente". Proprio come sperava, Teilhard ci ha insegnato a "vedere".
L'Ambiente divino di Teilhard ha portato la spiritualità di Agostino d'Ippona e di Ignazio di Loyola nel mondo moderno. Ha fuso insieme antiche tradizioni ascetiche con la moderna fame di attività creativa, la ricerca del divino con l'evoluzione naturale e umana, l'unione mistica con la scoperta scientifica. Teilhard ha insegnato ai suoi lettori ad abbracciare la presenza divina nelle cose ordinarie. "Come disse Giacobbe, svegliandosi dal suo sogno", ha scritto, "il mondo, questo mondo palpabile, che eravamo usi trattare con noia e disprezzo con cui abitualmente trattiamo i luoghi che non hanno un'associazione divina per noi , è in verità un luogo sacro, e noi non lo conoscevamo. Venite, adoremus".
Per cogliere l'influenza di Teilhard, è sufficiente leggere l'introduzione alla "Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno" del Concilio Vaticano II (Gaudium et spes) per sentire il suo sapore teilhardiano. I suoi passaggi cristologici sono colmi delle sue citazioni preferite riguardo a Cristo come modello della nuova creazione. Essi riassumono il suo messaggio di base sulla santificazione della vita umana: Cristo, dichiarano, "anima, purifica, e rafforza anche quei nobili desideri con cui la famiglia umana cerca di rendere più umana la propria vita e di rendere tutta la terra sottoposta a questo scopo".
Il testo riflette l'ottimismo teilhardiano. "Le attese di una nuova terra non devono indebolire ma stimolare la nostra sollecitudine nel coltivare questa che abbiamo. Poiché qui cresce il corpo di una nuova famiglia umana, un corpo che anche ora è in grado di dare una sorta di anticipazione di una nuova era". E riecheggia la sua escatologia: "Il Signore è il fine ultimo della storia umana, il punto focale degli aneliti della storia e della civiltà, il centro della razza umana… Incarnati ed uniti nel suo spirito, viaggiamo verso la consumazione della storia umana, che si accorda pienamente con l'amore di Dio: stabilire tutte le cose in Cristo, sia quelle nei cieli sia quelle sulla terra" (Ef 1,10).
Anche quando illuminava la santità dell'attività umana, Teilhard, a differenza di molti altri, che erano ansiosi di affermare il nostro valore umano, non ha ceduto alla tentazione di diminuire la divinità di Cristo. Ha rivelato un Cristo cosmico degno di essere adorato; il Verbo che presiede alla Creazione; il Cristo totale, mente e corpo, la cui sofferenza è compiuta nella storia, il pleroma, pienezza dell'essere e l'Omega, destino ultimo dell'umanità e di tutta la creazione. Ha proclamato un mondo pervaso della gloria di Pasqua. Per questa Pasqua accogliamo l'appello di Teilhard. "Senza lasciare il mondo", "immergiamoci in Dio", perché il nostro mondo è davvero un ambiente divino.

ADISTA n° 26 del 9.4.2005