IL TEO-CON ALL'ITALIANA, UN IMPASTO MALDESTRO TRA TEOLOGIA CONSERVATRICE E POLITICA ANTI-ISLAMICA. RISPONDE PAOLO NASO
33039. ROMA-ADISTA. Mentre una parte non trascurabile del mondo
politico e culturale italiano viene sedotta dalle teorie neo-conservatrici
americane di forte ispirazione religiosa, Paolo Naso - direttore della rivista
Confronti e della rubrica Protestantesimo in onda su Rai Due, la domenica sera,
intorno alla mezzanotte - giudica "risibile" (nell'intervista qui
pubblicata) il tentativo di importare in Italia le dottrine teo-con. "Il
fondamentalismo nasce come un estremo, rigoroso ‘biblicismo'", afferma
Naso, e "l'Italia è invece il Paese del sottosviluppo biblico. Siamo un
Paese in cui non più di tre-quattro persone su cento sanno dire se Mosè venga
prima o dopo Gesù, o Abramo, o Maometto profeta dell'Islam". Di seguito
l'intervista a Paolo Naso.
Sebbene nel dibattito contemporaneo il termine "fondamentalismo" sia
associato quasi esclusivamente ai movimenti islamici radicali, esso nasce negli
anni '20 del secolo scorso nel contesto del protestantesimo americano. Per
"fondamentalismo" si intendeva allora un ritorno ai
"fondamenti" del cristianesimo attraverso una interpretazione della
Bibbia fedele al suo significato letterale. All'origine, però, tale tendenza -
in virtù dell'impostazione escatologica da cui prendeva ispirazione - non
conteneva connotazioni politiche. Quando questo movimento ha cominciato ad
incontrare e ad intrecciare i propri percorsi con la destra repubblicana che
governa ora gli Stati Uniti?
Questo innesto fra fondamentalismo e politica avviene sostanzialmente quando il
movimento fondamentalista diventa un movimento con delle caratteristiche
economiche, commerciali e di consenso estremamente significative. In altre
parole, quando - grazie all'avvento dei moderni mezzi di comunicazione di massa
(la radio, ma soprattutto la televisione) - nascono quelle comunità virtuali
che aggregano milioni di persone, e soprattutto aggregano delle somme, delle
energie politiche e culturali ingenti. Bene: tutto questo non sfugge alla
politica che individua appunto un mercato, un segmento possibile di mercato. Si
tratta di coinvolgere dal punto di vista delle agenzie politiche, dei partiti
politici, queste grandi risorse all'interno dell'agenda del partito o
dell'amministrazione politica. È quello che avviene in modo molto esplicito
negli anni ‘80 con l'avvento alla Casa Bianca di Reagan. Reagan è un new born
in Christ, ovvero un rinato in Cristo, espressione di per sé del tutto innocua,
ma che nel linguaggio culturale e politico americano significa una persona che
non appartiene, per così dire, alle Chiese storiche, o se vi appartiene lo fa
con qualche sospetto. Soprattutto, questa espressione descrive una persona che
crede nella possibilità di creare un movimento trasversale di credenti molto
attivi, molto impegnati su un'agenda soprattutto di ordine morale, come la
centralità della famiglia tradizionale o il sostegno ai valori tradizionali
della società americana. Reagan intuisce l'importanza di questo mercato e cerca
di coinvolgerlo. Alcuni esponenti di questo movimento di telepredicatori
diventano "consiglieri del principe", e nasce così, per la prima
volta in America, quel fenomeno politico- religioso che si chiamerà Moral
Majority, cioè una agenzia, una lobby politico-religiosa nella quale però il
fondamentalismo non è più semplicemente un'opzione teologica di lettura della
Bibbia, un modo di essere cristiani, ma diventa un modo di pensare e immaginare
la politica. Direi che proprio questo è il momento della grande svolta: gli
anni ‘80.
Le recenti ed importantissime nomine alla Corte Suprema di John Roberts prima e
Harriet Miers poi (entrambi conservatori, ma piuttosto moderati) sono state
accolte come un "tradimento" dalla base più oltranzista della destra
religiosa. Queste scelte di Bush possono essere interpretate come un segno di
discontinuità - vista anche la crisi di consenso che è costretta a
fronteggiare la sua amministrazione - rispetto alla sua politica precedente ed
alla sua intensa "carica ideologica"?
A mio modo di vedere c'è una frattura, una frizione difficilmente decifrabile.
Nel senso che l'ipotesi della destra religiosa, teologica, fondamentalista -
della destra più conservatrice, insomma - è un'ipotesi estrema. Quando parlano
dell'America come a Christian Country, a Christian Nation, cosa vogliono dire?
Vogliono dire che l'America è una sorta di luogo per i cristiani, dei
cristiani, in funzione dell'affer-mazione, dell'inveramento di un piano di Dio
per gli americani. Ebbene: questa tesi è insostenibile sotto il profilo
politico; è insostenibile rispetto alla storia stessa degli Stati Uniti, che
tra luci ed ombre sono stati un luogo di grande incontro, di grande mix tra
culture, religioni e razze diverse. C'è, quindi, un che di strutturalmente,
intrinsecamente estremista nell'opzione fondamentalista, e per questo capisco
che alcuni settori dell'amministrazione se ne vogliano distanziare. Dopo aver
fatto il pieno alla vigilia della guerra contro l'Iraq - qui lo scontro armato
veniva letto in chiave teologica, in chiave quasi apocalittica, addirittura come
passaggio verso il compimento del piano di Dio per l'umanità - mi è parso che
ci fosse un discostamento da queste letture teologiche, teo-politiche estreme.
Devo ammettere che se ciò vale in generale, non sembra tuttavia valere per
alcuni personaggi. Non vale ad esempio per Pat Roberson, il quale soltanto
qualche settimana fa ha invocato un omicidio di Stato contro il presidente
venezuelano Chávez. Non vale forse neanche per il presidente George W. Bush, il
quale qualche giorno fa ha parlato dei suoi sogni e del mandato - che ha sentito
come chiamata di Dio - di difendere gli Stati Uniti e quindi di dichiarare
guerra all'Iraq. In altre parole, io credo che stiamo assistendo a un contrasto
molto vivace: da una parte vi è più consapevolezza che questo fondamentalismo
così politicizzato e radicalizzato non è sostenibile dal punto di vista della
storia e della cultura americana; dall'altra ci sono però dei residui molto
forti di questa logica militante che destano più di qualche preoccupazione.
Anche in Italia si assiste al tentativo di utilizzare strumentalmente la
religione in chiave di riproposizione della teoria dello "scontro di civiltà",
come riserva identitaria dopo il crollo delle appartenenze politiche
novecentesche, o infine - più prosaicamente - per spostare il dibattito su
tematiche post-materialiste in una fase difficilissima dal punto di vista
economico (che testimonia un clamoroso fallimento del governo rispetto alla
aspettative suscitate). È un tentativo realistico?
No, è risibile. Mi capita spesso di dire: "l'Italia non può essere
fondamentalista", e ciò per una semplice ragione: il fondamentalismo nasce
come un estremo, come rigoroso "biblicismo", nasce nel tentativo di
dare una lettura semplificata diretta, schematizzata e, mi permetto di dire,
banalizzata, del testo biblico. Si dice ad esempio: "se questo sta scritto
nella Bibbia si deve fare così"; tutto ciò senza costruirne il contesto,
senza costruire la complessità anche del testo biblico, senza spiegare la
contraddittorietà di taluni passaggi, senza cercare un'ermeneutica, cioè una
chiave di interpretazione che ti aiuti a leggere i testi diversi in una certa
linea unitaria e concorde. Il fondamentalismo nasce in questo milieu culturale,
in cui storicamente - così è stato nella cultura americana - la Bibbia è al
centro di una visione e di una missione che il popolo americano si è dato. È
stato così dall'origine dell'esperimento americano. L'Italia è invece il Paese
del sottosviluppo biblico. Siamo un Paese in cui non più di tre-quattro persone
su cento sanno dire se Mosè venga prima o dopo di Gesù, o di Abramo, o di
Maometto profeta dell'Islam. Cito i dati di un'inchiesta Eurisko dello scorso
anno: siamo in un Paese in cui meno del 10% sa ripetere più di due
comandamenti. Il comandamento più noto, quello che viene citato da tutti, è
soltanto "non uccidere". All'ultimo punto c'è il comandamento forse
più importante che è: "io sono il signore Dio tuo". In altre parole,
il fondamentalismo, nel senso tecnico del termine, ha bisogno di un
prerequisito: la conoscenza della Bibbia. In Italia non è data. Quindi il
tentativo di impastare un po' di teologia conservatrice con un'agenda politica
anti-islamica mi pare veramente maldestro. Come è maldestro il richiamo alla
religione civile sub italiana specie, cioè la religione civile letta come una
sorta di cattolicesimo di massa rituale, una sorta di cattolicesimo senza fede,
di liturgia senza partecipazione, come spesso ci viene detto da alcuni
autorevolissimi esponenti istituzionali. Perché tutto ciò è risibile? Perché
negli Stati Uniti, ed in generale nel mondo anglosassone la religione civile, è
tutt'altro. Nella sua elaborazione (che ricordo per prima fu di Rousseau –
quindi fuori dal contesto anglosassone –, ma che poi trova applicazione nel
contesto anglosassone con Tocqueville) la religione civile non è una sub specie
della "religione religiosa", non è un surrogato di spiritualità che
vada bene pure per i laici. La religione civile è il sacro senso della comunità
civile, cioè un legame tra delle persone che all'interno di una comunità
civile sottoscrivono un patto di convivenza. È un grandissimo concetto
politologico. È un grandissimo concetto etico. Chi parla di religione civile
non pensa a questo, pensa invece a qualche cerimonia nazional-religiosa che con
la religione civile c'entra veramente molto poco. Io credo che la consistenza
culturale di questi richiami al movimento conservatore americano siano veramente
risibili, e soprattutto improbabili.
Al di là dei molti aspetti regressivi di alcune tendenze fondamentaliste, la
religiosità americana (che è più complessa ed articolata rispetto alle
semplificazioni politiche con cui spesso viene descritta), si presenta molto più
"in salute" in termini di partecipazione e vivacità rispetto a quella
europea. Vi sono degli elementi progressivi da cui trarre insegnamenti ed esempi
validi anche per noi?
Due elementi: il pluralismo e la libertà. Quando parlo di pluralismo intendo il
fatto che il valore della pluralità diventa costitutivo della società civile e
della società politica. Non è data idea di America senza pensare alle diversità,
e alle diversità che convivono. C'è anche molta retorica in questo, non c'è
dubbio. Eppure quello che per noi diventa un problema, uno scandalo - ad esempio
l'Islam, le minoranze protestanti, i non credenti, le diversità culturali, le
diversità ambientali (legate proprio al modo diverso di concepire le presenze
nella città) -, lì invece è costitutivo di una certa idea di America. Il
secondo elemento costitutivo delle Chiese e della società americana è la
libertà individuale, la libertà della scelta, la libertà nella responsabilità.
Vi è una considerazione sociologica elementare che può essere fatta: in
America ci sono tutti i culti del mondo, nel senso che non esiste religione
presente in una qualche parte, per quanto sperduta, del mondo che non sia
presente anche in America. Qualcuno addirittura dice che se a una persona non
piace nessuna delle religioni disponibili ne può inventare un'altra: quante
religioni sono "nate" tra ottocento e novecento negli Stati Uniti!
Testimoni di Geova, Mormoni, Christian Science, Avventismo… certo tutte quante
hanno radici più antiche, però non v'è dubbio che ci sia una capacità del
sistema culturale e sociale americano di inventare qualcosa di nuovo anche sotto
il profilo dell'esperienza religiosa. Tutto questo è figlio della libertà,
dell'idea che non c'è una religione degli americani, ma le religioni degli
americani. Difficilmente in America uno è presbiteriano, battista, metodista,
cattolico semplicemente per tradizione. Perché nel sistema molto dinamico della
sociologia americana il cambiamento è costitutivo della propria libertà. Si può
cambiare senza che questo faccia particolare scandalo sociale. Se possiamo fare
una battuta, una volta un americano mi ha spiegato che era diventato metodista
dopo essere stato presbiteriano. Gli chiedevo perché. Mi ha risposto: "la
Chiesa metodista ha un parcheggio più grande e più comodo". È una
battuta, da mettere nel novero delle gag religiose, tuttavia denota un modo di
pensare: non c'è un condizionamento culturale e sociale, che tiene l'individuo
dentro una certa agenzia religiosa. Si ha la libertà di scegliere, e questo è
un altro elemento al quale io credo l'Italia e l'Europa debbano guardare con
grandissimo rispetto.
ADISTA 29.10.2005 N° 73