INTERVISTA
Abbagliati dall'immagine
o interpellati dall'ascolto?
Due religioni e
religiosità diverse. Un giudizio su papa Giovanni Paolo II del biblista
Giuseppe Barbaglio: «Wojtyla è stato un solista dagli accenti monocratici e
non una voce espressiva della comunione delle chiese e della collegialità
episcopale». Una intervista di Rossana Rossanda
ROSSANA ROSSANDA
G
Per un bilancio del papato di Wojtyla è stato severo il giudizio di Hans Küng:
Giovanni Paolo II ha rovesciato il Vaticano II, puntando al ritorno alla chiesa
preconciliare. Sei d'accordo?
Sì, sono d'accordo: il monolitismo del suo «governo» ha disatteso la realtà
complessa delle chiese locali, l'importanza della collegialità episcopale e
delle conferenze episcopali nazionali e continentali, cioè la partecipazione
dell'episcopato alla conduzione della chiesa. Paolo di Tarso parla soprattutto
di
Non c'era già stato un rallentamento della spinta innovatrice del Vaticano
XII al tempo del tormentato Paolo VI? A distanza, come ne definiresti l'apporto
teologico più innovativo? Per capire quali modifiche, o limitazioni, vi ha
apportato Wojtyla. Oppure la sua è stata più che altro una pratica di governo?
Paolo VI ha condotto in porto il concilio iniziato da Giovanni XXIII e ha
attuato alcune iniziative peculiari del Vaticano II, come la riforma liturgica,
l'istituzione di organi di partecipazione ecclesiale e guardando in basso i
consigli pastorali nelle singole parrocchie. L'apporto innovativo del Vaticano
II è stato soprattutto il fatto di esserci stato: l'assemblea di tutte le
chiese cattoliche del mondo che insieme con il papa, dopo accese discussioni e
fecondi scambi di vedute, ha deliberato mediante i suoi rappresentanti sui più
scottanti problemi della presenza cristiana nel mondo.
E' significante il suo culto per Maria? Il suo motto «Totus tuus», al di là
dell'aspetto psicologico, che significa sotto quello della rivelazione e della
fede? Se non sbaglio è un culto che sta andando crescendo rispetto ai
primissimi secoli.
In Giovanni Paolo II è non solo il segno chiaro di una religiosità popolare,
erede, penso, di una intensa devozione mariana polacca, ma anche e soprattutto
la testimonianza di uno sviluppo non privo di aspetti degenerativi di secoli di
cristianesimo e di cattolicesimo, culminato nei dogmi mariani dell'Immacolata
Concezione (Pio IX a metà del 1800) e dell'Assunzione in cielo di Maria anima e
corpo (Pio XII a metà del 1900), che hanno inferto duri colpi alla comunione
cristiana con Ortodossi, Protestanti, Anglicani. Il culto di Maria nei secoli ha
avuto una svolta pericolosa e persino deleteria quando dall'interesse del
cristianesimo delle origini di Maria vista in funzione di Cristo (la madre, il
concepimento verginale di Gesù) e della chiesa (Maria icona ideale della
comunità dei credenti che accolgono e meditano la parola di Dio così il
vangelo di Luca), si è passati ad esaltare la sua persona, come appare per
esempio nella credenza della sua verginità
Riflettendo sulla sparizione nei monoteismi del femminile come principio
cosmico, tu rivedevi soprattutto un processo più profondo di astrazione
dell'idea di Dio. Su questo io non conosco le tesi di Wojtyla, che oppongono un
«pensato altro» alla secolarizzazione.
Il monoteismo ebraico, all'origine di quello cristiano, si è di fatto
contrapposto alle religioni naturalistiche dell'ambiente e del tempo, incentrate
sul culto della fertilità e della fecondità. Le divinità erano
personificazioni delle forze vitalistiche della natura, diadi divine
maschili-femminili con al centro il sesso come fonte di fecondità e fertilità.
Il popolo ebraico si è invece raffigurato un dio asessuato, dunque solo, senza
accompagnamento di alcuna paredra cui unirsi sessualmente e così donare agli
uomini e agli animali i beni della natura. Un dio della
Ancora sul culto di Maria, esso non mette di fatto a margine la Trinità -
sempre ammesso che un fedele normale (di quelli che facevano la fila davanti a
S. Pietro) della Trinità sappia qualcosa? O Maria è per Wojtyla soprattutto un
culto devozionale, più alla mano, una religiosità più facile - meno da adulti
direbbe Bonhoeffer - rispetto a una fede difficile? Paolo come ne parla? Esso
non rende in ogni caso più impervia la riunificazione delle chiese cristiane?
Non c'è dubbio che l'iperculto mariano, sorretto più da entusiasmi emozionali
che non da ragioni teologiche approfondite, costituisca un ostacolo sul cammino
del dialogo ecumenico delle chiese cristiane. Come è indubbio che in un clima
surriscaldato di apparizioni di Maria, di pellegrinaggi ai santuari mariani, di
segreti di Fatima, di salvataggio miracoloso del papa per mano di Maria, la
centralità di Cristo morto e risorto finisca per essere disattesa o almeno
marginalizzata. Non è senza significato che in Paolo, missionario e interprete
del vangelo di Cristo, del cuore dell'annuncio cristiano, non appaia alcun
accenno a Maria.
Quanto all'immagine della donna non la restituisce alla tradizione (niente
sacerdozio per minore, suppongo, qualità e purezza intellettiva, la genialità
femminile pensata come mero supporto e pietà al pensare e fare maschile)
abbigliandola di belle parole? O è un escamotage del difficile rapporto con la
sessualità?
Le conseguenze sul piano strettamente antropologico sono essenzialmente due:
anzitutto la concezione della donna viene unilateralmente incentrata nella
maternità (Maria madre). Inoltre l'ideale di Maria sempre vergine porta non a
un rifiuto ma a una severa riserva sulla dimensione sessuale di maschi e di
femmine. Il documento ultimo di Ratzinger sulla donna, a mio avviso, costituisce
un passo avanti rispetto ai documenti precedenti, però ancora unilateralmente
al «genio femminile» alle disponibilità ai bisogni dell'uomo, una
disponibilità a senso unico. Mentre quando Paolo esorta a vivere non per se
stessi, bensì per gli altri, si riferisce a tutti i credenti, uomini e donne, e
la sua esortazione ha valore di reciprocità.
Secondo. Questo papa e l'avversità al dilatarsi della comunità ecclesiale
alla base? Penso alle comunità di base, alla teologia della liberazione, a «Noi
siamo chiesa», a quel che pensa Küng o hanno fatto alcuni francesi? Quali sono
state le correnti cattoliche più avversate da Wojtyla?
In breve ha avversato tutte le correnti che non si muovevano sulla sua lunghezza
d'onda. Soprattutto è stato molto duro con i rappresentanti della teologia
della liberazione dell'America Latina e con la pastorale di padre Arrupe,
generale dei gesuiti. Dopo tutto, la sua concezione monarchica del papa che
decide lui solo senza ascoltare la voce delle chiese locali, non poteva non
portarlo sulla strada della «repressione» ecclesiale. Mi si permetta in
proposito un riferimento a Paolo che scrivendo ai credenti di Corinto definisce
la chiesa locale corpo, corpo sociale che appartiene a Cristo, in cui essenziali
sono la pluralità, la diversità e la solidarietà delle molte membra, a tal
punto che in assenza di queste non c'è corpo, non c'è chiesa di Cristo.
Terzo. Secondo me il peso «politico» di questo papa si è incrociato con la
crisi del comunismo più che produrla: perfino in Polonia, dove l'irrequietezza
sociale è cominciata prima che altrove ma dal 1970 (Stettino scioperi, scioperi
dei metalmeccanici per tutto il decennio che preludono al 1980). Questa forse ha
avuto influenza su di lui più che viceversa, più che distruggere il comunismo
ne ha cavalcato la crisi. Oppure no? Lo stesso per la critica al capitalismo; è
la tradizionale condanna del ricco o riflette in qualche modo sulla questione
sociale?
Credo anch'io che la crisi del comunismo abbia avuto cause interne molto
profonde e il suo disfacimento ne sia stato la conseguenza ultima; ma in materia
non ho alcuna competenza. Quanto alla critica del capitalismo credo che vi sia
implicata non tanto la tradizionale critica del ricco, quanto piuttosto una
visione negativa dello stile di vita attuale imperante nell'occidente,
imperniato, si dice, sull'edonismo, l'individualistica affermazione di sé, la
riduzione dell'uomo a produttore di merci e di beni, la cosificazione delle
esperienze sessuali (
Infine il fenomeno, senza precedenti nella modernità, dei funerali. Dice
qualcosa del suo rapporto con i media ma non prova anche le incertezze della
folla, il bisogno cieco d'un padre, una soluzione facile, emotiva, affettiva?
Non indica una crisi del laicismo come sottolineatura delle responsabilità
terrene? Mentre tutti si accalcavano per «vedere» quel cadavere le chiese
erano vuote. Avevano bisogno del corpo di un padre, più che del vicario di
Cristo: o no?
I funerali, nella loro mondanità e sfoggio di splendore e potenza, non sono che
il risultato scontato di un'altra caratteristica del papa defunto, che è stato
e ha voluto essere una grande star televisiva, la più grande star televisiva
dei nostri tempi. Ho sentito un commentatore televisivo che diceva: «Il papa ha
portato la sua icona nel mondo». Esatto: si è affidato al trionfo
dell'immagine da guardare, contemplare, di fronte alla quale estasiarsi nel
senso letterale del termine: uscire dalla quotidianità del vivere e sostare in
una sfera di luce che compenserebbe una vita impregnata, troppo spesso e troppo
duramente, di ombre e di tenebre. Vorrei approfondire in breve. C'è una
religione, meglio una religiosità, di carattere epifanico, dell'
il manifesto del 19.4.2005