L’ACCECAMENTO DI FRONTE ALL’AIDS
Eric Faverau

Il pontificato di Giovanni Paolo II ha debuttato in contemporanea con la pandemia dell’Aids, che si avviava a diventare “la più grande catastrofe sanitaria della storia dell’umanità”, secondo l’espressio-ne dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). E in questo quarto di secolo, tra il papa polacco e questo virus senza frontiere, c’è stato ben più di un appuntamento mancato: un atteggiamento chiuso, che avrà conseguenze drammatiche sulla diffusione dell’epidemia nel mondo, particolarmente in Africa.


Compassione. Agli inizi degli anni ‘80, molto rapidamente, Giovanni Paolo II reagisce. Esprime la sua compassione “per i malati”. Nel 1987 lo si vede prendere in braccio un bambino sieropositivo di 4 anni, e fare appello “al rifiuto di ogni segregazione e ad intensificare gli sforzi della ricerca”. Logicamente, in quel frangente il papa ricorre ai precetti tradizionali della Chiesa sulla sessualità e sulla castità. Ma sembra come cieco, rifiutando di prendere in considerazione, per esempio, la terribile realtà dell’epidemia in Africa, dove le donne saranno contagiate in massa.
Per il ventesimo anniversario dell’en-ciclica “Humanae Vitae”, nel novembre 1988, afferma: “nessuna considerazione personale o sociale autorizza l’uso dei contraccettivi”, una chiara allusione alle campagna a favore dei preservativi. Nel novembre 1989, è altrettanto categorico: “appare offensivo per la dignità umana e quindi moralmente illecito sviluppare la prevenzione con dei mezzi che violano il senso autenticamente umano della sessualità”. E ancora, nel 1993: “la castità è l’unica maniera sicura e virtuosa di mettere fine a questa tragica piaga”. Ancora più grave è che, mentre il contagio si diffonde, Roma continui a sostenere certe chiese africane che finiscono col condannare i malati. Persone vicine al papa si lasciano persino andare a dubbi sull’effi-cacia del preservativo.


”Catastrofe”. “Non gli chiedevamo di raccomandare il preservativo, semplicemente di non osteggiarlo. In molti Paesi, l’atteggiamento delle Chiese si è rivelata catastrofica”, racconta Arnaud Marty Lavauzelle, ex-presidente dell’Aides, associazione impegnata nella lotta contro l’Aids. Alla vigilia dell’ultima giornata mondiale per la lotta all’Aids, il 1° dicembre 2004, il cardinale messicano Javier Lozano Barragán, prefetto del Pontificio Consiglio per la pastorale della Salute, cita ancora il papa riferendosi all’Aids come “una patologia dello spirito”. Nel 2004, questa “patologia” ha fatto più di 3 milioni di morti, e sono circa 40 milioni i contagiati.

Libération (Francia) 4 aprile 2005