Il
papa che verrà
ADRIANA
ZARRI
Non
è gentile, non è opportuno criticare un defunto, a salma ancora calda. Di
solito le critiche si fanno più avanti, quando la salma si è raffreddata.
Prima è il momento degli elogi che - per verità, per cortesia o per ipocrisia
- si fanno a tutti i morti. Volevo anch'io fare così, rimandando ad un secondo
tempo le valutazioni degli aspetti negativi, presenti in papa Wojtyla, come in
ogni essere umano, per potente e sacro e santo che sia. Però quanto sta
succedendo: l'enfasi celebratoria che rasenta il fanatismo idolatrico (qualcuno
ha parlato di papolatria) mi induce ad anticipare alcune critiche, anche se
questo è il momento meno adatto. E' risaputo che, durante il Concilio, Wojtyla
fu sempre dalla parte conservatrice e si oppose duramente a quei documenti
conciliari che aprirono alla chiesa ed al mondo nuove strade. In seguito, eletto
papa, la sua linea non cambiò e la sua teologia (posto che teologia si possa
dire ciò che fu una semplice norma pastorale) fu sotto lo stesso segno
regressivo: vedi l'opposizione al sacerdozio femminile il ribadito assenso al
celibato ecclesiastico, alle discusse norme contraccettive, alla morale sessuale
e via dicendo. E in tutto questo non si riferì (non poteva, in alcun modo,
riferirsi) alla fede e alla Scrittura. Si tratta solo di teologia (e di cattiva
teologia come cattiva è sempre stata la teologia che vige in Vaticano).
Questo per quanto attiene alla dottrina. Se poi vogliamo
scendere a considerazioni più strettamente personali dobbiamo registrare
l'appoggio che Wojtyla ha sempre dato all'Opus Dei: appoggio che è culminato
con la canonizzazione dell'Escrivà de Balaguer che, com'è noto, dell'Opus fu
il discusso fondatore. La canonizzazione dell'Escrivà: un personaggio quanto
mai ambiguo («Va via, puttana porca» esclamò contro una donna che aveva osato
contraddirlo) fu un fatto scandaloso; e so di telegrammi di indignato dissenso
di cui il papa non tenne alcun conto. Né quella dell'Escrivà fu la sola
canonizzazione discutibile. Altre ne seguirono.
Oltre alla qualità va rilevata l'incredibile quantità dei
beati e dei santi creati da questo papa: più di quanti ne abbiamo fatti tutti i
suoi predecessori messi insieme: un fatto assolutamente anomalo, nella storia
della chiesa.
Penso che possa bastare; e mi scuso per tutti gli
ammiratori (e verrebbe quasi da dire «adoratori») di questo papa che ha pur
tanti meriti: ad esempio lo slancio ecumenico (mentre però seguitava ad
elargire indulgenze che certo ecumeniche non sono).
Dopo questo papa, di cui tutto il mondo ha parlato con toni
che, come già abbiamo detto, rasentano la papolatria, qual'è il successore più
idoneo a ricondurre la chiesa a toni più poveri ed evangelicamente più
dimessi?
Personalmente mi auguro una figura di basso profilo,
proprio per ridimensionare la figura papale e contrastare l'enfasi papalista che
è un «peccato» tipicamente cattolico. Un papa senza spettacolo, dimesso: meno
«papa» possibile, nel senso trionfale che questa figura ha sovente incarnato.
Un papa che abbandoni la piazza trionfale di san Pietro e si trasferisca a san
Giovanni in Laterano: la cattedrale di Roma. Semplificando (con tutta
l'approssimazione delle semplificazioni) si potrebbe dire che san Pietro è il
potere, san Giovanni la fede.
Il papa è gestore universale in quanto vescovo di Roma.
Però la cura della diocesi è sempre stata trascurata e demandata ad un
vicario, il che significa accentuare oltre misura il potere universale a
detrimento della cura pastorale di quella diocesi che pure è quanto rende papa
il papa. In sintesi possiamo dire che il papa di domani vorremmo che fosse
sempre più uomo come noi: senza extraterritorialità, senza svizzeri ed
alabarde, senza stato né capi di stato (e quanti ne verranno a Roma, in questi
giorni!) ma con una tavola accogliente alla cui mensa invitare non solo i
potenti della terra ma anche i suoi cuochi e giardinieri. Un giardino glielo
vogliamo concedere, con tante rose, qualche lucertola e qualche gatto.
il
manifesto 8.4.2005