SEGRETI BANCARI: GLI ISTITUTI DI CREDITO SPARISCONO DALLA RELAZIONE SUL COMMERCIO DELLE ARMI
34509. ROMA-ADISTA. Diventa un po’ meno trasparente il commercio di armi italiane nel mondo: è infatti scomparso dalla Relazione del governo sulle esportazioni di armi – da poco trasmessa al Senato dalla Presidenza del Consiglio – un importante allegato che riporta le singole operazioni finanziarie autorizzate e compiute dalle banche in appoggio alle aziende che hanno venduto armi nel corso del 2007. Si potrà quindi continuare a sapere a quali Paesi sono stati venduti armi e sistemi d’arma, ma sarà impossibile conoscere nei dettagli le banche coinvolte e il valore di tali operazioni. Si tratta di un colpo basso assestato alla “Campagna di pressione alle banche armate” – promossa dalle riviste Mosaico di Pace, Nigrizia e Missione Oggi che da oltre 7 anni ha contribuito a stimolare la responsabilità sociale degli istituti di credito (v. Adista nn. 35/00, 49 e 61/01, 31/04, 7/06, 11 e 13/07) – e, nello stesso tempo, di un favore non da poco alle stesse banche e alle industrie armiere che mal sopportano di essere controllate da associazioni e cittadini in un regime di piena trasparenza.
Del resto Silvio Berlusconi l’aveva promesso tre anni fa, in occasione della presentazione della Relazione del 2005, relativa alle vendite di armi durante il 2004. Le industrie armiere infatti, si leggeva nella Relazione di allora, avrebbero avuto “notevoli difficoltà” a trovare banche italiane disposte ad effettuare transazioni (tanto da costringerle a lavorare con istituti di credito esteri) poiché, “pur di non essere catalogate fra le cosiddette ‘banche armate’, hanno deciso di non effettuare più o, quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'importazione o l'esportazione di materiali d'armamento”. Per cui, proseguiva la Relazione del governo, “il ministero dell'Economia e delle Finanze ha recentemente prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale” (v. Adista n. 33/05). Ed oggi, a tre anni di distanza – anche perché nel 2006, chiusa la legislatura, Berlusconi perse le elezioni e non poté dare seguito agli annunci – si capisce bene quale fosse la “possibile soluzione” prospettata nel 2005 ma mai realizzata: la riduzione della trasparenza per togliere le banche dalla graticola del continuo controllo dei cittadini.
Cosa potrebbe essere accaduto lo spiega in un’intervista a Nimedia (Nigrizia Multimedia, il portale multimediale dei comboniani) Alfiero Grandi, ex sottosegretario all'Economia del governo Prodi, che negli ultimi anni ha sempre accettato di buon grado il dialogo e il confronto con gli esponenti della Campagna ‘Banche armate’ e con la Rete italiana Disarmo, fino all’ultimo incontro, lo scorso 28 marzo, in cui vennero presentate le anticipazioni della Relazione stessa (v. Adista n. 31/08). Le interpretazioni possibili sono due, dice Grandi, “una benevola e una meno benevola: la prima che sia stata una dimenticanza, e quella più malevola è che nel passaggio tra un governo e l'altro qualcuno si sia volontariamente dimenticato di allegare questa relazione”. “Temo che sia intervenuta ‘la manina’”, aggiunge, “e abbia deciso di escludere una parte che invece è parte integrante e va assolutamente inserita”.
Immediata la reazione delle riviste animatrici della Campagna che, in una lettera firmata dai tre direttori – il saveriano p. Nicola Colasuonno di Missione Oggi e i comboniani p. Franco Moretti di Nigrizia e p. Alex Zanotelli di Mosaico di Pace – e indirizzata al presidente del Consiglio Berlusconi e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, protestano per la “grave e indebita modifica apportata nell’ultima Relazione” sulle esportazioni di armi e chiedono l’immediata pubblicazione dell’allegato rimosso. Si tratta di “un elenco importantissimo per la nostra campagna, per tutte le associazioni della società civile e per i singoli correntisti per poter verificare se le direttive e policy emanate negli ultimi anni da diverse e importanti banche italiane in relazione ai servizi d’appoggio al commercio di armi sono effettivamente attuate – spiega Giorgio Beretta, coordinatore nazionale della campagna di pressione alle ‘banche armate’ –. Senza questo elenco di dettaglio sull’attività degli istituti di credito, infatti, l’unica cosa che si può sapere dalla Relazione del Tesoro è l’ammontare complessivo del valore delle autorizzazioni rilasciate alle banche: un dato che, non specificando con quali Paesi hanno in corso operazioni relative all’esportazione di armi italiane, inevitabilmente le mette tutte sullo stesso piano, come banche corresponsabili del commercio di armi”.
Ma forse, con l’arma della confusione, si vuole proprio minare la trasparenza e aiutare le banche a confondersi, diluendo così la loro responsabilità individuale. “Se diciamo che un'azienda militare esporta armi, beh è il suo mestiere, no?”, si legge in un editoriale congiunto di Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di Pace. “Ma se diciamo che la banca che sta proprio sotto casa mia, quella che aiuta anche le associazioni che scavano i pozzi nel Sahel assetato, è anche la banca d'appoggio per la compravendita di armi (autorizzata certo) qualche problema si pone, no? Se poi si scopre che ci ricava pure dei ‘compensi di intermediazione’ – più lauti più il Paese verso cui offre le sue funzioni è povero – il problema si complica. E forse è meglio non farlo sapere troppo in giro”. (luca kocci)
DALLE "BANCHE ARMATE" ALLA RESPONSABILITÀ SOCIALE: IL CONVEGNO DELLA CAMPAGNA DI PRESSIONE SUGLI ISTITUTI DI CREDITO
33188. ROMA-ADISTA. Un osservatorio permanente sul
finanziamento delle banche all'industria armiera (che coinvolga anche i
sindacati dei bancari, le associazioni pacifiste e gli stessi istituti di
credito attenti a seguire comportamenti etici) e un maggiore coordinamento con
le associazioni europee che già svolgono attività di monitoraggio del settore
per tentare di estendere all'Unione Europea – dove non esiste una legge sul
commercio delle armi ma solo un generico "codice di condotta" – la
normativa italiana sulla trasparenza bancaria nelle operazioni di appoggio delle
banche all'import-export degli armamenti: sono i principali impegni assunti
dalla Campagna di pressione alle ‘banche armate' che lo scorso 14 gennaio, a
Roma, ha tenuto il suo primo convegno nazionale ("Cambiare è possibile:
dalle ‘banche armate' alla responsabilità sociale"), a sei anni dalla
sua nascita.
Una Campagna "cominciata in sordina, senza spot pubblicitari e senza star
del cinema o della televisione a fare da testimonial", ricorda Giorgio
Beretta (coordinatore dell'iniziativa), ma promossa da tre riviste di
"informazione alternativa" (Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia)
che invitavano i loro lettori ad inviare "una semplice lettera alla propria
banca" per chiedere conto del sostegno finanziario dato al commercio di
armi e del "ruolo di intermediazione" svolto, dal quale incassano
"compensi che possono variare dal 3 fino al 10 per cento della
commessa" (v. Adista n. 35/2000). In seguito alla pressione di molti
correntisti aderenti alla Campagna, riferisce Beretta, diversi istituti di
credito sono usciti dal commercio di armi (gruppo Unicredit, Monte Paschi di
Siena, Cassa di Risparmio di Firenze, Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino
e Banca Intesa: su quest'ultima, però, sono in corso ancora delle verifiche da
parte della Campagna) e altri hanno approvato dei "codici etici" che
pongono dei paletti, anche se spesso non entrano nel merito della questione armi
(gruppo Sanpaolo Imi, Banca Nazionale del Lavoro). Per contro, nuove banche si
sono inserite nel sostegno all'export di armi (Banca Antonveneta, Banca popolare
di Milano, che peraltro è anche sostenitrice di Banca Etica), e il governo
minaccia di eliminare dalla Relazione annuale sul commercio delle armi – la
principale fonte di informazioni al riguardo – l'elenco degli istituti di
credito coinvolti, per "difendere le banche" dagli
"attacchi" della campagna, dando così un colpo mortale alla
verificabilità del sistema (v. Adista n. 33/2005).
Le richieste della Campagna
"Alle banche chiediamo di agire con trasparenza", aggiunge Beretta,
"ai cittadini proponiamo un ripensamento dei criteri di gestione dei loro
risparmi", "dagli amministratori locali, dal mondo cattolico e dalle
associazioni pretendiamo coerenza, perché lanciare iniziative, pur innovative,
a favore della solidarietà, della cultura o dello sport senza tenere conto del
fatto che possano essere finanziate da realtà che fabbricano armi o che
appoggiano il commercio delle armi non contribuisce a creare un mondo più
pacifico e solidale". Come ha fatto la Comunità di Sant'Egidio, la cui
"Fondazione per la pace" è stata sostenuta, fra gli altri, da
Finmeccanica, la principale industria armiera italiana, e da diverse
"banche armate" (v. Adista n. 23/2002); o come ha fatto il Comitato
organizzatore della Giornata mondiale della Gioventù di Colonia, sponsorizzata
dalla Banca di Roma: "una leggerezza che ci dovete perdonare", replica
Marcello Bedeschi, presidente del Comitato italiano per il sostegno economico
alla Gmg; "promettiamo di impegnarci nel selezionare meglio gli
sponsor" (v. Adista nn. 47 e 51/2005). E infatti da questa sollecitazione
"è nata anche la Campagna ‘Tesorerie disarmate' che chiede agli enti
locali di penalizzare quelle banche che, pur in ottemperanza delle leggi
vigenti, sostengono ed appoggiano la vendita di armi". Alcune
amministrazioni hanno già aderito (come la Provincia di Savona e i Comuni di
Pavia, Firenze e Ladispoli), e la Provincia di Roma, rappresentata al convegno
dal presidente del Consiglio, Adriano Labbucci, annuncia che "nel futuro
chiuderà i rapporti con le banche eticamente scorrette".
Alle ‘provocazioni' di Beretta risponde Carmine Lamanda, amministratore
delegato di Capitalia, che nel 2004, con la Banca di Roma, è stato il
principale gruppo bancario italiano sostenitore del commercio delle armi:
"la legge 185/90 non vieta ma regola il commercio delle armi. La nostra
scelta, pertanto, anche grazie allo stimolo della Campagna, è quella di
adottare comportamenti etici all'interno di ciò che è legittimo, cioè
consentito dalla legge. Non ci tiriamo fuori dal sostegno al commercio degli
armamenti, perché questo spazio sarebbe altrimenti occupato da altri, ma
selezioniamo in base ad alcuni criteri che per noi sono etici e che coinvolgono
sia il prodotto sia i destinatari: Capitalia – prosegue – considera
ammissibili solo operazioni che riguardano attività ‘non offensive', e il
nucleo dei Paesi destinatari delle esportazioni è stato limitato all'area
dell'Unione Europea, agli 11 Paesi Ocse extra-Ue e a due altri Paesi Nato".
E infatti, "anche per effetto di queste limitazioni, nel corso del 2005
Capitalia ha ridotto di oltre il 65 per cento gli importi delle transazioni
legate ad operazioni di import-export di armamenti, con un netto
ridimensionamento della sua quota di mercato".
Una scelta che però non soddisfa del tutto p. Carmine Curci, direttore di
Nigrizia: la nostra etica è diversa da quella dei banchieri, il nostro punto di
vista è quello dei popoli impoveriti del sud del mondo. La trasparenza delle
banche è sicuramente positiva ma non è sufficiente: occorre fare delle scelte
chiare, non si può pensare solo al profitto". (luca kocci)