La
laicità
La
sbobinatura, non rivista dall’autore, di gran parte dell’intervento di don
Franco Barbero, sul tema della laicità, nell’incontro con i genitori del
“Gruppo Primavera” di Rivalta, gruppo di catechesi per bambini, il 21
gennaio 2006.
Siamo insieme, per dialogare
oggi su: laicità nella Bibbia, nella chiesa, nella società. Io provo
brevemente a dirvi qualche cosa. Sulla laicità ci sono dei libri interessanti:
il primo è del teologo e biblista Giuseppe Barbaglio “La laicità del
credente” – Cittadella - un bel libro che vi raccomando davvero.
Poi c’è un brevissimo studio di Armido Rizzi, che è sempre più un
filosofo che teologo “Laicità” - Pazzini editore. Poi c’è
il libro “Perché un’etica mondiale” - Queriniana - di Hans
Kung, che non è certamente “sovversivo”, è teologo della liberazione
in senso ampio, appartiene all’area del moderatismo religioso. Un bel libro.
Hans Kung è il teologo che ha lanciato nel mondo l’idea di un’etica
globale.
Partirei con alcuni
punti intanto. Se uno riflette a partire dalle prime pagine della Bibbia, si
trova di fronte ad un processo di desacralizzazione: sono le cosiddette pagine
della creazione dei primi capitoli della Bibbia. Questo mi pare estremamente
interessante. Perché? Perché nulla nel racconto biblico della creazione è
divino, tutto è creaturale, e quindi: il sole viene “posto”, la luna viene
“collocata”. Nulla è un’entità sacral-divina, tutto appartiene
all’ambito della “terrestrità”, della creaturalità. I racconti di
creazione nella cultura ebraica, con tutto l’immaginario che essi hanno e
tutto l’impianto letterario narrativo, che è assolutamente straordinario,
sono caratterizzati dalla desacralizzazione. Tutto ciò che è creato lo è
esattamente nella misura in cui non è divino. Tutto sta in relazione a Dio, ma
nulla è divino. Questo è il messaggio. E’ un genere di una grandezza
letteraria inimmaginabile. Quando dico che tutto sta in relazione non intendo
dire: creazionismo, evoluzionismo, questi sono problemi della cultura
successiva. I giorni Dio li ha fatti, e in questi giorni ha collocato il creato.
Il creato è una realtà che ha avuto un “inizio da…”, e quindi è una
realtà non divina. Questo è assolutamente diverso da alcuni miti della
fertilità. E’ assolutamente diverso da alcune culture babilonesi, anche se ha
delle parentele linguistiche e anche immaginative.
La seconda cosa è che la
terminologia “laico, laicità, laicismo” ha una parentela con il termine
greco laos, popolo, quindi è qualche cosa che appartiene al popolo ed è
separato, nel linguaggio biblico, da quello che viene chiamato cleros,
l’eredità: la parte che ha la maggiore eredità. Cleroi in greco
vuol dire ereditare. E’ la parte separata dal popolo. Laicità trova la sua
etimologia in laos popolo. Avremo qui una contesa nei secoli cristiani,
perchè in realtà il processo di laicizzazione avviene a partire
dall’umanesimo. E’ bene conoscere questo piccolo tratto di storia, oggi
molto illustrato, devo dire anche bene, sull’ultimo numero di “Rocca”.
Nell’ Umanesimo accade che, di fronte ad una cristianitas dove il clero
aveva in mano tutto, comincia crescere un popolo che vuole separare delle
competenze, degli ambiti. Questa separazione di competenze e di ambiti determina
delle lotte. L’Umanesimo comincia, il Rinascimento sarà una fase espansiva di
questa cultura, di questo concepire che c’è un’autonomia del profano,
un’autonomia del culturale, dell’umano, un’autonomia letteraria,
scientifica. I passi saranno lenti, conflittuali, tergiversanti, ma ben
orientati in questa direzione. E’ una battaglia che avviene ancora dentro la
cristianità, dove delle forze egemoni vogliono contenere tutto, dirigere tutto.
Un processo che aveva avutola sua affermazione, siamo nel 1075, con papa
Gregorio ed il cosiddetto dictatus papae, che aveva procamato l’estrema
superiorità del romano pontefice su qualunque potere umano: “Il sommo
pontefice non è giudicato da nessuno”. Mai un’affermazione così perentoria
avrebbe potuto essere pronunciata nel primo millennio! E’ chiaro che le forze
della razionalità laica, esprimendoci nel linguaggio di oggi, a partire
dall’Umanesimo, rintracciano delle dissonanze da questo pensiero. Anche perché
con l’Umanesimo fiorisce l’espansione culturale: i documenti, la
proliferazione dei manoscritti, le grandi esplorazioni delle scienze antiche.
Per primo l’Islam aveva tradotto i classici greci, ci aveva regalato la
cultura greca, potevamo finalmente fruire di queste conoscenze. Comincia questa
grande espansione del pensiero desacralizzato, “deassolutizzato” dalla
cristianità.
Sarà poi la volta della
Rivoluzione Francese, con l’importanza della separazione dell’altare
dal trono. I preti e i movimenti religiosi che hanno assunto e hanno inneggiato
a questa posizione, che in fondo liberava la fede da un’alleanza ambigua e
imprigionante, sono stati defenestrati. La chiesa cattolica ha preso una
posizione di restaurazione e quei movimenti credenti che hanno tentato invece di
far fronte a questo nuovo spazio di libertà per la fede, ma anche per la
cultura , la ricerca, le scienze, sono stati divisi, rimossi, puniti.
Pensate poi il Positivismo,
l’Ottocento, il Novecento, l’autonomia delle scienze, i movimenti, il
femminismo, la classe operaia che nasce “in contrasto”. I processi di
laicizzazione sono stati visti, a partire dall’Umanesimo, senza voler
generalizzare, quasi sempre come movimenti nemici.
C’è, a partire negli
ultimi 50 - 60 anni, un evento straordinariamente nuovo: è l’evento del
pluralismo religioso, della
interculturalità: non solo più religioni, ma la loro interconnessione. Non
avendo noi una storia coloniale come
Oggi c’è un’altra
grande domanda sul piano della laicità: l’ateo, l’agnostico ha una etica?
Che cosa crede chi non crede a nessuna religione. Questa è la grande comparsa
storica successiva. Noi veniamo da una tradizione in cui l’ateo o doveva
nascondersi o doveva trasformarsi, doveva fingere. Noi sentivamo il dovere di
convertire l’ateo. All’ateo mancava sempre qualcosa. Questa è la nostra
tradizione. Il nostro punto di vista esprimeva questo: l’ateo non può avere
un’etica diversa, perché la mia concezione confessionale è quella che ha la
pienezza della vita, dell’etica e invece l’ateo, “poveretto lui/poveretta
lei”, può avere un’etica, ma su cosa si fonda? E’ l’infinita
discussione, che è stata fatta nei secoli, se sia possibile un’etica
rigorosamente “costruttiva”, non fondata su una religione. Oggi qual è la
posizione? E’ duplice, nel campo del cristianesimo: c’è chi come Ratzinger
dice: senza Dio manca l’afflato fondamentale dell’etica e della verità; e
chi invece, come i due studiosi prima citati, Armido Rizzi e Hans Kung, dice: è
tempo di cambiare completamente concezione. Rizzi e Kung, due pensatori assai
diversi, dicono: l’ateo può fondare nella sua esperienza, nella sua
interiorità, nel confronto societario, culturale, un’etica rigorosamente
positiva e costruttiva, come il credente. Non c’è nessuna superiorità del
credente nei confronti dell’ateismo, o della realtà della persona atea. Ma
allora voi mi direte: la fede non incide? Certo la fede può essere la
motivazione per me. La fede mi dà un orientamento, mi dà un ethos, ma altre
persone lo possono ricavare altrove,
con altre motivazioni. Una società laica presuppone che si prenda atto della
possibilità di percorsi diversi, diversamente motivanti, ma realmente
motivanti. Questo mi pare molto interessante. Noi oggi lo vediamo nel dipanarsi
della matassa politica, culturale: credenti e non credenti spesso si trovano
insieme con motivazioni solide e costruttive, per la liberazione, la giustizia,
i diritti ecc.
Oggi ci troviamo di fronte a
problemi così grandi: l’ecosistema, le biotecnologie e molti altri, che
nessuna cultura e nessuna tradizione religiosa può pensarsi come
autosufficiente. E poi, sostiene Rizzi, non esiste nessuna cultura, nessuna
tradizione dalla quale non si possa ricavare qualcosa. Notate che questo non è
il relativismo bieco, il qualunquismo dell’ «una
religione vale l’altra».
Tutto sta nel confronto. Il confronto ci fa discernere, ma non ci fa escludere.
Noi, su queste grandi tematiche, abbiamo bisogno di confronto, di accoglienza
reciproca, di discernimento, di capacità di confrontarci.
Il confronto non dice nemmeno che dobbiamo convergere tutti in una unità
ideologica o di pensiero o di prassi. Ma che possiamo, su grandi problemi,
assumere alcune pietre miliari comuni, mantenendo delle identità, delle
divergenze e delle differenze. Che abbiamo veramente bisogno di tutti. Io credo
che questa, oggi, sia una delle esperienze etiche importanti. L’abbiamo visto
nei referendum, quando una sola etica viene posta come assoluto. Kung in una
pagina molto bella dice :“L’etica è quella bilancia precaria tra ideale e
realtà che deve essere trovata sempre di nuovo”. E’ una bilancia precaria.
Perché a tutti noi, a tutte noi, penso a tutte le donne, piacerebbe non dover
mai ricorrere all’aborto. Questo è l’ideale, la realtà è un’altra. La
bilancia etica non è fatta di principi assoluti, è fatta appunto di questa
oscillazione tra ideali e realtà, un’oscillazione che deve essere sempre
trovata di nuovo: nel percorso delle persone, delle culture, nel variare dei
tempi, nel variare di mille componenti. Tutte le volte che noi accediamo a delle
decisioni importanti, il principio sta davanti a noi, ma la componente
necessaria per la nostra decisione è la realtà del cammino comunitario, delle
possibilità. Oggi l’etica si apre a questo confronto, a questa dinamica
umile. Fedele ai problemi, al dubbio, al “non so”, fedele anche al
“cerchiamo ancora, cerchiamo oltre”. La nostra fede come cristiani e
cristiane è tale da comportare un forte ethos di fraternità e di amore. Ma le
modalità con cui questo ethos dell’amore si concretizza nelle singole
situazioni non appartiene alla fede. Appartiene alla mediazione della cultura,
della razionalità e della coscienza. Noi sappiamo bene che questo è un
cammino. I modi per amare sono veramente molti. I meccanismi della laicità
alimentano questa grande distinzione tra l’ethos, come orizzonte dell’amore,
della giustizia e l’etica come dimensione collettiva di questa istanza. E
ancora, con la morale, che deriva da mores,
i costumi, le declinazioni comunitarie
e personali dell’etica. In un primo tempo, in molte culture che sono sacrali,
tutto sta insieme, poi nel processo di laicità tutto lentamente si distingue e
spesso si separa.
Concludo con alcune piccole
osservazioni che mi sembrano utili. Credo che una delle cose più importanti
della nostra vita sia creare in noi dei soggetti etici, soggetti attenti
all’etica, creatori di etica, con altri nel confronto, evidentemente. Dei
soggetti attivi nel processo etico della società, delle chiese, della coscienza
personale. Quindi, persone che veramente credono e vivono la responsabilità
etica.
La seconda cosa che mi pare
interessante è la “pratica del
cercare ancora”. Su tante questioni noi sentiamo che è importante
cercare. Quante questioni l’umana esistenza ancora ci porrà, l’importante
è cercare. Le questioni nuove che s’affacciano: il rapporto tra coscienza,
scienza, cultura, natura. Quanto c’è da cercare. Nella consapevolezza e nella
pace, non siamo sul terreno dell’assoluto. Siamo sul terreno in cui uomini e
donne si confrontano e cercano delle soluzioni sempre perfettibili.
La terza cosa:
l’interscambio. Aprirci ad una piazza grande. Ma soprattutto ad una piazza
abitata da molti volti e molte culture, non per perdere una identità, ma per
non imporla, per non farne un assoluto, non rinnegarla, ma porla a servizio. Su
questo c’è da fare un lavoro enorme nella nostra Italia. Un lavoro enorme
nella Chiesa, che non accetta questa visione a livello ufficiale. Perché tutto
sommato c’è un Concordato, ma soprattutto c’è ancora una mentalità
concordista. Tutta questa presenza di chierichetti, di teocon non aiuta davvero.
Siamo in una situazione, in Italia, dove i processi di laicità sono difficili:
pensate alla nuova campagna contro la 194 ormai aperta, pensate alla battaglia
per arrivare ai PACS, pensate al mito che i PACS distruggerebbero la famiglia.
E’ un processo lento dove è importante portare la nostra esperienza di fede,
di umanità, il nostro ethos profondo dell’amore. Accogliere l’ethos
profondo che tante persone e tante tradizioni hanno.
Perché se ritorna una società della monocultura, una società sacrale,
questo determina una guerra. E determina l’infelicità di molte persone. Perché
non abbiamo bisogno d’imporre nessuna religione, nessuna cultura, nessuna
ideologia. Abbiamo bisogno di un cammino promozionale, un confronto, in cui noi
stessi quando affermiamo un’identità disarmiamo la volontà d’imporre.
Grande lavoro che ciascuna e ciascuno di noi deve fare su se stesso. Quando io
affermo qualcosa, devo essere disarmato ulteriormente, perché se sono armato,
confondo “la” verità con la mia verità. Verità per il mio cammino di
fede, per la mia identità cristiana, ma che non è “la” verità, perché
Dio non è cristiano, Dio è Dio. Quindi avere questa concezione, ma direi,
anche scegliere la battaglia laica. Perché se si conserva, a livello di fede,
il principio che la fede dipende dall’accettazione di un apparato sacrale, chi
non sta dentro quei modelli non sarà mai un credente, dovrà andare a chiedere
l’autorizzazione. Questo è un processo di sacralizzazione. Non si è credenti
perché il papa e il vescovo mi riconoscono, questi sono solo apparati sacrali.
Si è credenti perché la mia vita la voglio mettere, nei miei limiti, nelle mia
contraddizioni, nella fiducia in Dio e, come cristiano, sulla strada di Gesù.