In queste
settimane sulle dichiarazioni del papa si sono scritte intere biblioteche.
In una chiesa totalmente allineata e silente, in un clima di progressiva
clericalizzazione, mentre procede a grandi passi la riforma della curia vaticana
che si popola di amici e di amici degli amici, a salvarci dal sonno ecclesiale
ci pensano gli islamici. Anche nell’imminenza del grandioso convegno della
chiesa cattolica di Verona, prevale “lo sbadiglio del gregge di Dio” in
forza del quale i fedeli, espropriati di ogni voce attiva, sembrano “mucche
che guardino passare un treno”, come scrive un insigne anonimo.
Il discorso di Ratisbona e la sua eco planetaria nei vari mondi dell’Islam
radicale e moderato fanno suonare più di un campanello per chi non ha le
orecchie tappate. Bisogna probabilmente alzare il livello dell’attenzione.
Dopo i bollori dei giorni appassionati, voglio presentare al riguardo quattro
brevi annotazioni:
1) Un papa troppo abituato ad accarezzare bambini, a circondarsi di amici, a
ricevere l’inchino dei cardinali e il plauso dei filosofi alla Marcello Pera,
è stato involontariamente capace di suscitare la resistenza e il dissenso di
ben più di un miliardo di musulmani, compattando i fondamentalisti con i
moderati, i sunniti con gli sciiti, quelli arabi con quelli non arabi. Benedetto
XVI si è trovato non solo di fronte alla protesta violenta e strumentale,
spropositata e ideologica di settori estremisti dell’Islam, alle minacce
deliranti di Al Queda, ma ha trovato il più aperto dissenso, diversamente
motivato, dai cristiani del Libano, da studiosi islamici, da teologi cristiani,
da autorevoli esponenti dell’ebraismo.
Mi sembra molto sensato ciò che dichiara (
Ma uno dei più autorevoli studiosi dell’Islam Khaled Fuad Allam osserva:
“Se continuiamo su questa strada, vedo molto buio nella storia. Non parlerei
di fraintendimento collettivo. Ritengo piuttosto che vi sia stato da parte del
papa e del suo entourage un duplice errore di sottovalutazione. … Il papa non
ha tenuto nel dovuto conto dell’attuale situazione che l’Islam sta
attraversando e ha sottovalutato l’ipersensibilità che il mondo musulmano nel
suo complesso ha nei confronti dell’apparato dogmatico che è fondamento dei
testi coranici. E’ come se i musulmani si siano ribellati a quella che hanno
vissuto come una indebita “invasione di campo”… (L’Unità, 17/09/2006).
Manca a noi cristiani e non solo al papa, come onestamente riconoscono molti
studiosi, una conoscenza sufficiente del Corano, dell’esegesi coranica, del
mondo islamico. E questo è più che perdonabile. Qui anche il declamato teologo
dovrà farsi scolaretto. Anche solo una veloce lettura del libro di Hans Kung
“Islam” (Rizzoli, 2005) potrebbe risultare utile. I limiti sono connaturali
a ciascuno di noi e il papa non fa eccezione.
2) Eppure questo papa che si schiera e si espone su più fronti (fede e
religione, natura e cultura, fede e secolarizzazione, fede ed ateismo, verità e
relativismo) ragionando, sentenziando e lanciando strali in tutte le direzioni,
ora dicendo ovvietà con tono filosofale, ora mettendo il dito su questioni
vitali con estrema puntualità, ora scoprendo l’acqua calda con una deludente
retorica, mi è assai caro almeno per una dote che ritengo preziosa: dice quel
che pensa ed è meno prigioniero dei discorsi diplomatici. E’ chiaramente un
nemico dichiarato dello spirito conciliare, non sopporta nessun vento di
democrazia nella chiesa, non sa che cosa sia un dubbio.
Secondo lui le donne devono stare al loro posto e nel loro ruolo tradizionale, i
gay nascosti e penitenti, i preti celibi, almeno pubblicamente, la verità e
l’errore abitano in case diverse, la dogmatica cattolica è chiara ed è lo
specchio della verità, il prete che celebra rivolto al popolo è una brutta
conseguenza del Concilio, la laicità deve essere sana, il dissenso è
patologico e sciagurato, rompe la comunione… e così di seguito.
Questa chiarezza si esprime in posizioni che non condivido, ma è apprezzabile
onestà dichiarare i propri pensieri. In questo, e poco altro in verità, ammiro
Benedetto XVI. Poi la sua diplomazia, con tutte le raffinatezze e le furbizie
dei palazzi vaticani, attenua i toni, carica i colori o li stempera, interpreta
e vernicia, ma il pensiero di Benedetto XVI in qualche modo viene sempre fuori
con forza e coerenza.
3) Nel dialogo interreligioso Benedetto XVI, anche quando stilava i documenti da
Prefetto della Congregazione della Fede, ha sempre sostenuto e “decretato”
la superiorità della religione cristiana. Nel 2000 il documento intitolato
Dominus Jesus non solo ricordava e ribadiva la centralità e la superiorità del
cristianesimo e poneva la chiesa cattolica “sul pinnacolo del tempio”, unica
ad avere la pienezza della fede e della ecclesialità, ma stabiliva una
graduatoria tra le varie chiese cristiane.
Questa “ossessione della superiorità”, ovviamente, mal si compone con la
pratica del dialogo, ma anche l’infelice citazione del papa va letta, a mio
avviso, nel contesto di questa “presunzione di superiorità” che, quasi
inavvertitamente, si esprime in questi linguaggi impropri e incauti. Il papa è
sincero: dice apertamente ciò che la diplomazia vaticana pensa, ma esprime con
linguaggio più inoffensivo, più criptico, più viscido e doppio.
Quello di Ratzinger è stato un giudizio duro, ma sostanzialmente coerente con
la politica vaticana nei confronti dell’Islam: “Trovo che le dichiarazioni
di Ratisbona siano in linea con una politica più recente della Chiesa, che sta
prendendo le distanze dall’Islam e sta valutando tutta un serie di problemi
che l’Islam pone, soprattutto in Europa. In Germania, ad esempio, c’è una
fortissima presenza islamica. Questo rappresenta anche un problema di
concorrenza, di proselitismo, una minaccia al primato e all’identità del
cattolicesimo europeo. Il discorso del Papa, in una simile situazione di
conflitto, ha puntato molto sulle differenze teologiche” (Giovanni Filoramo,
L’Unità 16/09/2006).
La “minaccia islamica” coglie la chiesa cattolica a livelli ufficiali
impreparata. Vent’anni fa le proporzioni della “valanga musulmana” erano
imprevedibili in gran parte dell’Europa e, dopo i generici appelli al dialogo,
la chiesa è tentata di chiudersi, di difendere i propri spazi, di erigere il
muro della superiore identità per contrastare una “crescente islamizzazione”.
Del resto nelle religioni rivelate si sottolinea sempre l’elemento di
superiorità della propria rivelazione rispetto alle altre. Anche il magistero
cattolico non riesce a sfuggire a questa trappola che preclude ogni via ad un
dialogo serio.
Ma qui diventa evidente che, pur ribadita la volontà del dialogo con l’Islam,
Benedetto XVI da tempo ha segnato un cambiamento rispetto al predecessore, che
pure non era un interlocutore ingenuo del mondo islamico. Giovanni Paolo II,
partendo dalla fede comune nell’unico Dio dei figli di Abramo, aveva
privilegiato il comune impegno di ebrei, cristiani e musulmani per la pace e la
giustizia. Così era riuscito a destare vivo interesse e molti consensi e
altrettante convergenze separando, in qualche modo, il pontificato
dall’Occidente, sempre più visto come “il nemico” dell’Islam.
Marco Politi ha segnalato gli antefatti, le tappe che hanno portato l’attuale
pontefice fino alla dèbacle in cui è precipitata
Forse questa vicenda di Ratisbona, più che un incidente di comunicazione, può
segnalare un cambiamento della strategia e del percorso del cattolicesimo
ufficiale. Il nodo, probabilmente, è più difficile da sciogliere. Non basterà
sedare gli animi e fornire ulteriori spiegazioni per riconquistare la fiducia
degli interlocutori.
4) A questo punto affiora un interrogativo che molti teologi cristiani,
prevalentemente cattolici, hanno sollevato con lucidità in questi ultimi anni:
può un papa tutto europeo, “ellenistico” e occidentale farsi portavoce di
una chiesa universale? Penso in questo momento agli interrogativi posti con
rigore da Marcelo Barros, Tissa Balasuriya, Antonietta Potente, Frei Betto,
Virgil Elizondo, Leonardo Boff, Elsa Tamez e tutta l’associazione dei teologi
del Terzo Mondo. La chiesa cattolica sta diventando un orticello europeo che
pretende di “evangelizzare” il mondo con una predicazione occidentalizzata.
Mi sembra che questa “nuova evangelizzazione” abbia un po’ troppo il
sapore amaro di una aggiornata colonizzazione.
Ma io resto fiducioso. Questo ridimensionamento del papa (le sue idee vanno
finalmente prese come opinioni) può far bene alla chiesa cattolica e facilitare
il rilancio su basi nuove del dialogo interreligioso, che è sempre più
necessario e sempre più complesso, ma non ha il destino della violenza, se
riusciremo a fare in modo che le differenze non si traducano in inimicizie.
Credo che non perderò la mia identità di cristiano se diventerò consapevole
della mia parzialità: “Noi guardiamo sempre la verità attraverso qualche
sorta di telescopio culturale, fornito dai nostri genitori, dai nostri
insegnanti e dalla società in genere. Il lato positivo di questa situazione è
che il nostro telescopio ci mette in grado di vedere; quello negativo è che ci
impedisce di vedere tutto” (Paul F. Knitter). Se me lo ricordo e lo traduco in
sostanza del mio vivere, divento un uomo ed un cristiano in cammino, in “stato
di conversione”, verso un mondo in larga parte da inventare. Forse noi,
proprio come il papa, dobbiamo umilmente riconoscere che siamo assai
impreparati.
Una umiltà che non farebbe male nemmeno ai nostri fratelli musulmani.