L'OPZIONE RIVOLUZIONARIA DI CAMILO TORRES
Le guerre e gli atti di intolleranza praticati da credenti
delle più diverse religioni si fondano su una visione di Dio che ama il bene e
odia il male, premia il giusto e castiga l'empio. Nel corso del tempo, molti
religiosi si sono sentiti investiti della missione di essere la "spada di
Dio" per castigare i nemici. I fondamentalismi e i fanatismi sono
espressione di questo modo di vivere e di comprendere la fede. È interessante
constatare, d'altro lato, che i grandi mistici sono stati anche persone immerse
nell'efferve-scenza politica della loro epoca: san Francesco d'Assisi combatté
il capitalismo nascente (come ben dimostra la magistrale opera di Leonardo Boff,
San Francesco, tenerezza e forza). Tommaso d'Aquino difese, in Il regime dei
principi, il diritto all'in-surrezione contro la tirannia. Caterina da Siena,
analfabeta, interpellò il papato. Nel 1578, Teresa d'Avila, "donna
inquieta, errante, disobbediente e contumace", come venne definita dal
vescovo rappresentante del papa in Spagna, rivoluzionò, con san Giovanni della
Croce, la spiritualità cristiana.
Cadono a febbraio i 40 anni dalla morte in combattimento del padre Camilo
Torres, sacerdote cattolico che, sul finire della sua vita, fece parte di un
gruppo guerrigliero e lottò fino alla morte per liberare la Colombia e
trasformare il mondo. Molti hanno diffuso l'idea che Camilo Torres fosse un
pretino fanatico e ingenuo che prese la strada che oggi corrisponderebbe al
terrorismo. Molti vogliono far diventare il termine guerrigliero sinonimo di
terrorista, sebbene molti eroi dell'indipendenza dell'Ame-rica Latina abbiano
partecipato a guerre di liberazione, e il Brasile, che non visse una lunga
guerra di indipendenza, abbia fatto di Tiradentes un eroe nazionale.
Camilo Torres è stato il leader di un'insurrezione armata che si preparava ad
usare la tecnica della guerriglia. Fu scoperto e preso prima. Se non è
possibile giustificare la violenza o canonizzare la guerra, è doveroso porre
migliore attenzione alle complessità della storia.
Quanto a Camilo Torres, per giustizia e verità storica, è bene chiarire: egli
entrò nella guerriglia colombiana nel 1965, a 35 anni. Era già teologo e aveva
concluso gli studi di Sociologia a Lovanio (Belgio). A Bogotà fu fondatore e
professore della Facoltà di Sociologia e decano della Scuola Superiore Pubblica
e dell'Istituto di Amministrazione Sociale. Fu rappresentante del cardinale
presso la Giunta direttiva dell'Istituto Colombiano della Riforma Agraria.
È qui che Camilo prende conoscenza diretta delle condizioni subumane in cui
vivevano i lavoratori e gli indios, e di come lo stesso aiuto dato dal governo e
dalla Chiesa servisse per mantenerli nella dipendenza sociale e nella schiavitù.
Per questo, egli lotta per introdurre criteri più giusti e perché la legge
venga applicata senza eccezioni. Quando si rende conto che non ottiene nulla, si
convince che la rivoluzione è l'unica via d'uscita possibile. Sa che la sua
posizione scandalizzerà tutti. Per questo scrive: "Sono un rivoluzionario,
come colombiano, come sociologo, come cristiano e come sacerdote. Come
colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo. Come
sociologo, perché grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà, sono
giunto alla convinzione che le soluzioni tecniche ed efficaci non sono
raggiungibili senza una rivoluzione. Come cristiano, perché l'es-senza del
cristianesimo è l'amore per il prossimo e solo attraverso una rivoluzione si può
ottenere il bene della maggioranza. Come sacerdote, perché dedicarsi al
prossimo, come la rivoluzione esige, è un requisito dell'amore fraterno
indispensabile per celebrare l'eucarestia".
Viene dimesso da tutti gli alti incarichi che ricopriva all'Università e
destituito dal sacerdozio. Vescovi e sacerdoti non gli perdonano il fatto che
egli abbia chiesto l'espropriazio-ne dei beni della stessa Chiesa. Camilo aveva
tentato di fondare un ampio movimento educativo nella città. Viene minacciato.
Si rifugia nelle campagne. Pensa che solo la guerriglia può veramente cambiare
la situazione del popolo. Non è quello che, nell'accezione comune, si definisce
un uomo violento. Al contrario, tutti quelli che lo hanno conosciuto lo
consideravano una persona pacifica e umile. Ma era come il Mahatma Gandhi, il
grande maestro della pace, che diceva di preferire un'azione violenta alla
codardia o all'omissione. Il pastore Dietrich Bonhoeffer, teologo tedesco,
martire del nazismo, affermava: "Non basta fuggire il male. È necessario
combatterlo, o si diventa suoi complici". E attentò alla vita di Hitler
dicendo: "Se io fossi su una strada in cui sta giocando un gruppo di
bambini e, d'improvviso, vedessi un autobus guidato da un autista assassino
venire dritto sui bambini… se avessi la possibilità di tirare una pietra sul
parabrezza o porre un ostacolo sulla strada per fargli cambiare direzione e
precipitarlo nell'abisso, anche se so che questo ucciderebbe l'autista, non
esiterei a farlo per salvare la vita degli innocenti".
Camilo Torres entra in un gruppo di guerriglieri dell'Esercito di Liberazione
Nazionale e dice che lo fa per coerenza con l'eucarestia che celebra, rito che
esige il dono totale della sua vita. I militari preparano un'imboscata e Camilo
cade sotto i colpi della 5° Brigata dell'esercito colombiano.
Quarant'anni dopo, quanti cercano di vivere l'ideale di Camilo Torres
comprendono che egli fu obbligato a optare per la lotta armata. Egli stesso
insisteva sul fatto che la rivoluzione più profonda avverrà solo tramite
l'educazione. Oggi più che mai, la pace e la giustizia non cresceranno
attraverso atti di forza e di violenza. La parte più sana dell'umanità è
convinta che non esiste guerra giusta e che nessun gruppo messianico salverà il
popolo. Tutti coloro che si rifanno all'eredità di Camilo Torres si consacrano
ad una rivoluzione nonviolenta, ma onorano la memoria di questo martire che,
nella forma in cui ha potuto, ha dato la sua vita per un mondo di giustizia e di
pace. Questo ideale richiede la nostra adesione e ha bisogno della nostra
consacrazione.
* monaco benedettino brasiliano e teologo della Liberazione