L'OPZIONE RIVOLUZIONARIA DI CAMILO TORRES


 di Marcelo Barros

ADISTA n°20 del11.3.2006

Le guerre e gli atti di intolleranza praticati da credenti delle più diverse religioni si fondano su una visione di Dio che ama il bene e odia il male, premia il giusto e castiga l'empio. Nel corso del tempo, molti religiosi si sono sentiti investiti della missione di essere la "spada di Dio" per castigare i nemici. I fondamentalismi e i fanatismi sono espressione di questo modo di vivere e di comprendere la fede. È interessante constatare, d'altro lato, che i grandi mistici sono stati anche persone immerse nell'efferve-scenza politica della loro epoca: san Francesco d'Assisi combatté il capitalismo nascente (come ben dimostra la magistrale opera di Leonardo Boff, San Francesco, tenerezza e forza). Tommaso d'Aquino difese, in Il regime dei principi, il diritto all'in-surrezione contro la tirannia. Caterina da Siena, analfabeta, interpellò il papato. Nel 1578, Teresa d'Avila, "donna inquieta, errante, disobbediente e contumace", come venne definita dal vescovo rappresentante del papa in Spagna, rivoluzionò, con san Giovanni della Croce, la spiritualità cristiana.
Cadono a febbraio i 40 anni dalla morte in combattimento del padre Camilo Torres, sacerdote cattolico che, sul finire della sua vita, fece parte di un gruppo guerrigliero e lottò fino alla morte per liberare la Colombia e trasformare il mondo. Molti hanno diffuso l'idea che Camilo Torres fosse un pretino fanatico e ingenuo che prese la strada che oggi corrisponderebbe al terrorismo. Molti vogliono far diventare il termine guerrigliero sinonimo di terrorista, sebbene molti eroi dell'indipendenza dell'Ame-rica Latina abbiano partecipato a guerre di liberazione, e il Brasile, che non visse una lunga guerra di indipendenza, abbia fatto di Tiradentes un eroe nazionale.
Camilo Torres è stato il leader di un'insurrezione armata che si preparava ad usare la tecnica della guerriglia. Fu scoperto e preso prima. Se non è possibile giustificare la violenza o canonizzare la guerra, è doveroso porre migliore attenzione alle complessità della storia.
Quanto a Camilo Torres, per giustizia e verità storica, è bene chiarire: egli entrò nella guerriglia colombiana nel 1965, a 35 anni. Era già teologo e aveva concluso gli studi di Sociologia a Lovanio (Belgio). A Bogotà fu fondatore e professore della Facoltà di Sociologia e decano della Scuola Superiore Pubblica e dell'Istituto di Amministrazione Sociale. Fu rappresentante del cardinale presso la Giunta direttiva dell'Istituto Colombiano della Riforma Agraria.
È qui che Camilo prende conoscenza diretta delle condizioni subumane in cui vivevano i lavoratori e gli indios, e di come lo stesso aiuto dato dal governo e dalla Chiesa servisse per mantenerli nella dipendenza sociale e nella schiavitù. Per questo, egli lotta per introdurre criteri più giusti e perché la legge venga applicata senza eccezioni. Quando si rende conto che non ottiene nulla, si convince che la rivoluzione è l'unica via d'uscita possibile. Sa che la sua posizione scandalizzerà tutti. Per questo scrive: "Sono un rivoluzionario, come colombiano, come sociologo, come cristiano e come sacerdote. Come colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo. Come sociologo, perché grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà, sono giunto alla convinzione che le soluzioni tecniche ed efficaci non sono raggiungibili senza una rivoluzione. Come cristiano, perché l'es-senza del cristianesimo è l'amore per il prossimo e solo attraverso una rivoluzione si può ottenere il bene della maggioranza. Come sacerdote, perché dedicarsi al prossimo, come la rivoluzione esige, è un requisito dell'amore fraterno indispensabile per celebrare l'eucarestia".
Viene dimesso da tutti gli alti incarichi che ricopriva all'Università e destituito dal sacerdozio. Vescovi e sacerdoti non gli perdonano il fatto che egli abbia chiesto l'espropriazio-ne dei beni della stessa Chiesa. Camilo aveva tentato di fondare un ampio movimento educativo nella città. Viene minacciato. Si rifugia nelle campagne. Pensa che solo la guerriglia può veramente cambiare la situazione del popolo. Non è quello che, nell'accezione comune, si definisce un uomo violento. Al contrario, tutti quelli che lo hanno conosciuto lo consideravano una persona pacifica e umile. Ma era come il Mahatma Gandhi, il grande maestro della pace, che diceva di preferire un'azione violenta alla codardia o all'omissione. Il pastore Dietrich Bonhoeffer, teologo tedesco, martire del nazismo, affermava: "Non basta fuggire il male. È necessario combatterlo, o si diventa suoi complici". E attentò alla vita di Hitler dicendo: "Se io fossi su una strada in cui sta giocando un gruppo di bambini e, d'improvviso, vedessi un autobus guidato da un autista assassino venire dritto sui bambini… se avessi la possibilità di tirare una pietra sul parabrezza o porre un ostacolo sulla strada per fargli cambiare direzione e precipitarlo nell'abisso, anche se so che questo ucciderebbe l'autista, non esiterei a farlo per salvare la vita degli innocenti".
Camilo Torres entra in un gruppo di guerriglieri dell'Esercito di Liberazione Nazionale e dice che lo fa per coerenza con l'eucarestia che celebra, rito che esige il dono totale della sua vita. I militari preparano un'imboscata e Camilo cade sotto i colpi della 5° Brigata dell'esercito colombiano.
Quarant'anni dopo, quanti cercano di vivere l'ideale di Camilo Torres comprendono che egli fu obbligato a optare per la lotta armata. Egli stesso insisteva sul fatto che la rivoluzione più profonda avverrà solo tramite l'educazione. Oggi più che mai, la pace e la giustizia non cresceranno attraverso atti di forza e di violenza. La parte più sana dell'umanità è convinta che non esiste guerra giusta e che nessun gruppo messianico salverà il popolo. Tutti coloro che si rifanno all'eredità di Camilo Torres si consacrano ad una rivoluzione nonviolenta, ma onorano la memoria di questo martire che, nella forma in cui ha potuto, ha dato la sua vita per un mondo di giustizia e di pace. Questo ideale richiede la nostra adesione e ha bisogno della nostra consacrazione.


* monaco benedettino brasiliano e teologo della Liberazione