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L'invasione israelo-americana del Libano
Le menzogne che mascherano le ragioni del conflitto.

Noam Chomsky

dal sito web: ZNet - 23 Agosto 2006 - Traduzione di Fabio Sallustro

Chi è Noam Chomsky

Sebbene si presentino molti fattori interessanti, la questione più lampante che si nasconde dietro all'ultima invasione israelo-statunitense del Libano rimane, ritengo, la stessa relativa alle quattro precedenti invasioni: il conflitto tra Israele e Palestina. Nel caso più importante, la devastante invasione israeliana sostenuta dagli Stati Uniti avvenuta nel 1982 è stata apertamente descritta in Israele come una guerra per la Cisgiordania, intrapresa per mettere fine alle inopportune richieste dell'OLP per una soluzione diplomatica (e come secondo fine la volontà da parte di Israele di instaurare un regime clientelare in Libano). Ci sono molti altri esempi. Nonostante il contesto sia sostanzialmente differente l'invasione di Luglio del 2006 ricalca all'incirca lo stesso schema. Tra i principali critici della politica dell'amministrazione Bush l'idea preferita è stata che "abbiamo sempre affrontato il conflitto tra i Israele e i suoi vicini in modo bilanciato ipotizzando che saremmo stati l'elemento catalizzatore per un accordo", ma Bush sfortunatamente ha abbandonato questo atteggiamento neutrale causando grandi problemi agli Stati Uniti (Edward Walker: esperto del medio oriente ed ex-diplomatico, attualmente un moderato). I dati reali raccontano una storia diversa: fatte salve alcune limitate eccezioni, per oltre 30 anni Washington ha unilateralmente bloccato una soluzione diplomatica.

I segni di questo sostanziale rifiuto possono essere rintracciati già dal febbraio del 1971 quando gli egiziani hanno offerto un trattato di pace con Israele che seguiva i dettami della politica statunitense senza dare niente ai palestinesi. Israele comprese che questa offerta di pace avrebbe messo fine alle principali questioni sulla sicurezza, ma il governo decise di rifiutare la sicurezza a favore dell'espansionismo nel Sinai. Washington sostenne l'atteggiamento israeliano, aderendo al principio di Kissinger del "punto morto": forza e non diplomazia. E' stato solo 8 anni dopo, in seguito ad una terribile guerra e a grande sofferenza, che Washington ha deciso di aderire alla richiesta dell'Egitto di un ritiro dai propri territori.

Nel frattempo la questione palestinese aveva assunto una dimensione internazionale, e si era manifestato un ampio consenso a favore di una soluzione che prevedesse due stati da creare su confini precedenti alla guerra del 1967, con alcune eventuali minori modifiche. Nel dicembre del 1975, il consiglio di sicurezza dell'ONU acconsentì a prendere in considerazione la risoluzione proposta dagli "stati arabi interessati", la quale incorporava a sua volta gli assunti della risoluzione ONU 242. Gli USA posero il veto alla risoluzione. La reazione israeliana fu quella di bombardare il Libano, uccidendo oltre 50 persone a Nabatiye, definendo il proprio attacco "preventivo", probabilmente per "prevenire" la sessione ONU che Israele scelse di boicottare.

La sola significativa eccezione a questa politica di rifiuto si ebbe a Taba nel gennaio del 2001 quando i negoziatori israeliani e palestinesi arrivarono ad essere vicini ad un accordo. Ma il primo ministro israeliano Barak mise fine a questi promettenti sforzi quando decise di bloccare i negoziati quattro giorni prima del previsto. Non ufficialmente ma comunque ad alto livello i negoziati continuarono portando all'accordo di Ginevra del 2002, con proposte simili. Venne ben accolto da gran parte del mondo, ma rifiutato da Israele e accantonato da Washington (e di conseguenza dai media e dagli intellettuali statunitensi).

Nel frattempo gli insediamenti e le infrastrutture israeliane (tutto questo sostenuto dagli Stati Uniti) avevano creato già una situazione di fatto finalizzata a minare la potenziale realizzazione dei diritti nazionali dei palestinesi. Durante tutto il periodo di Oslo questi programmi sono andati avanti senza interruzione, in particolare nel 2000: l'ultimo anno di Clinton e Barak. L'eufemismo attuale per questi programmi è "disimpegno" da Gaza e "convergenza" nella Cisgiordania -nella retorica occidentale questo è il coraggioso programma di ritiro dai territori occupati. La realtà come sempre è ben diversa.

Il "disimpegno" è stato apertamente annunciato come un piano di espansione in Cisgiordania. Avendo trasformato Gaza in una zona disastrata, i sensati falchi israeliani hanno compreso che non c'era ragione a lasciare poche migliaia di coloni a occupare terre con scarse risorse obbligando l'esercito israeliano a proteggerli. Era molto più logico spedirli in Cisgiordania e sulle alture del Golan, dove erano stati annunciati nuovi programmi di insediamenti mentre si poteva trasformare Gaza nella "più grande prigione al mondo", come i gruppi israeliani per i diritti umani l'hanno giustamente definita. La "convergenza" in Cisgiordania formalizza questo programma di annessioni, cantonizzazione e detenzioni. Con il decisivo sostegno americano Israele si sta annettendo zone di terra di grande valore nella Cisgiordania e le più importanti risorse disponibili (in gran parte acqua), mentre conduce una politica di edificazione di insediamenti ed infrastrutture che divideranno i ristretti territori palestinesi in cantoni invivibili separati gli uni dagli altri e decide quale disgraziato e misero angolo di Gerusalemme verrà lasciato ai palestinesi Tutte queste zone, con la presa israeliana della valle del Giordano devono essere circondate e qualunque altro accesso palestinese al mondo esterno deve avere una gestione analoga.

Tali programmi sono riconosciuti come illegali, in violazione di numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e, secondo la decisione della Tribunale Internazionale, qualunque parte di muro "che venga costruita per difendere un insediamento è, ipso facto, illegale (giudice statunitense Buergenthal, in una dichiarazione separata). Da qui ne consegue che l'80-85% del muro è illegale, tanto quanto lo è l'intero programma di "convergenza". Ma per un stato che si comporta come un fuorilegge e per i suoi alleati tali questioni sono inezie.

Attualmente gli americani e gli israeliani chiedono che Hamas accetti la proposta fatta a Beirut dalla Lega Araba per una completa normalizzazione delle relazioni con Israele dopo un ritiro che sia approvato a livello internazionale. La proposta è stata accettata da lungo tempo dall'OLP ed è stata formalmente accettata dal "leader supremo" dell'Iran, l'Ayatollah Khamenei. Sayyed Hassan Nasrallah ha chiarito che non farà crollare un tale accordo se verrà accettato dai palestinesi. Hezbollah ha più volte dichiarato di essere disponibile a trattare su queste basi.

Questi fatti sono inaccettabili di conseguenza vengono sostanzialmente nascosti. Quello che vediamo invece è il severo ammonimento degli editori del New York Times ad Hezbollah nel quale dichiarano che l'accettazione formale del piano di pace di Beirut "è il biglietto di ingresso nel mondo reale, un necessario rito di passaggio nel strada che porta da un'opposizione senza regole ad un governo legittimo". Come molti altri, gli editori del NYT omettono di menzionare che gli USA ed Israele hanno rifiutato questa proposta e sono stati gli unici a farlo tra i tanti partecipanti. Ancora più importante, non l'hanno rifiutata solo a livello retorico ma anche in sostanza. Si vede dunque in un colpo solo chi rappresenta "l'opposizione senza regole" e chi è il portavoce. Ma tali conclusioni non possono essere espresse, neanche per gioco, nei circoli delle persone rispettabili.

Il solo significativo sostegno per i palestinesi costretti ad affrontare la distruzione nazionale arriva dagli Hezbollah. Solo per questa ragione Hezbollah deve essere distrutto, esattamente come è accaduto per l'OLP in Libano nel 1982. Ma Hezbollah è radicato troppo profondamente nella società libanese per essere estirpato così di conseguenza anche il Libano deve essere distrutto. Un beneficio atteso dagli Stati Uniti e da Israele è stato quello di rafforzare la credibilità delle minacce contro l'Iran eliminando gli elementi di deterrenza presenti in Libano. Ma niente di tutto questo è andato come programmato. Come in Iraq, e ovunque altrove, gli analisti di Bush hanno provocato catastrofi, anche per gli stessi interessi che rappresentano. Questa è la ragione principale per quale l'amministrazione è stata criticata con tale forza dalle elite politiche dei paesi stranieri, persino prima dell'invasione dell'Iraq.

Sullo sfondo sono presenti le vere questioni di più ampio respiro: assicurarsi la "stabilità" per l'ideologia al potere. "Stabilità" in parole povere significa obbedienza. La "stabilità" è minacciata dagli stati che non rispettano attentamente gli ordini, dai nazionalisti laici, dagli islamici che non sono sotto controllo (al contrario la monarchia saudita, la più antica e valida alleata statunitense, è a posto), etc. Tali forze "destabilizzanti" sono particolarmente pericolose quando questi programmi diventano attraenti anche per altri, in questi casi vengono chiamati "virus" che devono essere eliminati. La "stabilità" viene resa attraente dai fedeli stati clienti. Dal 1967 si è stabilito che Israele potesse assumere questo ruolo, insieme ad altri stati satellite. Israele è divenuta virtualmente una base militare statunitense all'estero ed un centro ad alta tecnologia, la conseguenza naturale del suo rifiuto di sicurezza a favore dell'espansione nel 1971, scelta ripetuta più volte da allora. Questa politica è poco soggetta ad un dibattito interno, indipendentemente da chi detenga il potere al momento. Uno dei più importanti principi di politica estera dalla seconda guerra mondiale viene esteso a tutto il mondo (e al Medio Oriente): assicurarsi il controllo sulle risorse energetiche del Medio Oriente, riconosciute da 60 anni come "formidabili fonti di potere strategico" e "uno dei più grandi premi materiali nella storia del mondo".

La versione occidentale standard afferma che l'invasione nel luglio del 2006 è stata giustificata dal legittimo oltraggio causato dalla cattura dei due soldati israeliani al confine. L'assunto è una cinica menzogna. Gli Stati Uniti ed Israele, e l'occidente in generale, oppongono poche obiezioni alla cattura di soldati, o addirittura all'assai peggiore rapimento di civili (e naturalmente alla loro uccisione). E' stata una pratica consueta messa in atto dagli israeliani in Libano per molti anni e nessuno ha mai suggerito che Israele andasse invasa e in gran parte distrutta. Il cinismo occidentale si è manifestato con una maggior drammatica chiarezza quando la corrente ondata di violenza è esplosa il 25 di giugno in seguito alla cattura da parte di militanti palestinesi di un soldato israeliano, Gilad Shalit. Anche questo ha suscitato grande oltraggio ed ha creato sostegno per l'incremento degli attacchi israeliani su Gaza. La proporzione è rispecchiata nel numero di vittime: a giugno sono morti 36 civili palestinesi, a luglio la cifra è più che quadruplicata superando le 170 unità, di cui molti bambini. L'atteggiamento di oltraggio era, ancora una volta, falso come dimostrato in modo inequivocabile dalla reazione nei confronti del rapimento da parte di Israele di due civili, i fratelli Muamar, appena il giorno prima, il 24. Sono scomparsi nel sistema carcerario israeliano, unendosi alle altre centinaia di persone imprigionate senza accusa e di conseguenza rapite. Ci sono state alcune brevi e limitate citazioni dell'accaduto ma nessuna reazione dato che questi crimini sono considerati legittimi quando portati avanti dal "nostro versante". L'idea che questo crimine possa giustificare un assalto tale ad Israele verrebbe considerato un ritorno al nazismo.

La distinzione è chiara, e familiare in tutto l'arco della storia: per parafrasare Tucidide, i potenti possono fare ciò che vogliono, mentre i deboli soffrono perchè devono.

Non dobbiamo trascurare i progressi registrati nella lotta alla mentalità imperiale che è così radicata nella cultura e nella morale occidentale al punto di essere inconsapevole. E non dobbiamo dimenticare l'importanza di ciò che ancora deve essere fatto, obbiettivi che devono essere raggiunti con la solidarietà e la cooperazione della gente del Nord e del Sud che spera, un giorno, di poter vedere un mondo più civilizzato e rispettabile.