O LA BORSA O LA VITA DEI POVERI. L'AUT-AUT DEL TEOLOGO CASTILLO ALLA COMPAGNIA DI GESÙ
DOC-1792. ROMA-ADISTA. Come si può vivere ben integrati nel sistema economico dominante e pretendere di essere credibili nell'impegno di "denunciare, mettere in discussione e modificare questo sistema"? È attorno a tale interrogativo che si sviluppa il coraggioso intervento del gesuita José María Castillo, sul tema "la Compagnia di Gesù e la missione fede-giustizia", apparso sul numero 91 (2006/2) di Promotio Iustitiae, la pubblicazione del Segretariato per la Giustizia Sociale della Curia Generalizia della Compagnia di Gesù.
LA COMPAGNIA DI GESÙ E LA MISSIONE FEDE-GIUSTIZIA
Nel n. 82, 2004/1 di Promotio Iustitiae ho
pubblicato una breve riflessione nella quale asserivo che "esistono
indicatori sufficienti per affermare, con garanzia di oggettività, che la
Compagnia di Gesù non è fedele alla missione nella quale s'impegnò nella
Congregazione Generale (CG) 32 e che dopo si ratificò nella CG 33 e nella CG
34". Qualche mese fa, Patxi Alvarez ha manifestato il suo disaccordo con
quanto da me affermato: "Per quanto mi riguarda, è un'affer-mazione che
non condivido, come non la condividono molti altri compagni gesuiti". Per
l'allusione fatta alla mia persona e a motivo della serietà dell'argomento in
ballo, credo di dover parlare del tema con tutta la chiarezza e la nobiltà di
cui sono capace. E confesso che, se non l'ho fatto prima, è stato perché non
conoscevo il testo di Paxti Álvarez. Naturalmente, rispetto il suo punto di
vista. Così come so che lui rispetta il mio. Ma, dato che la questione in esame
è così seria, parliamone seriamente. Non ho intenzione d'insinuare che
l'articolo di Paxti Álvarez non sia serio. Ovviamente lo è. Ciò che accade è
che, sia io, prima, sia lui, dopo, abbiamo espresso "punti di vista",
"modi di vedere", "opinioni". Tutto ciò ha logicamente la
sua importanza. È tuttavia importante a livello di testimonianze personali. In
ogni caso, è evidente che più importanti delle testimonianze o convinzioni di
ciascuno sono i fatti che chiunque può provare. Ed è questo ciò di cui voglio
parlare in questa sede. Farò riferimento a tre fatti che, come presto si vedrà,
sono decisivi per chi intende prendere sul serio I'impegno a favore della
giustizia nel mondo. Questi tre fatti sono:
1) di cosa vive colui che davvero vuole difendere la giustizia;
2) a cosa si dedica;
3) quali vincoli reali determinano la sua libertà.
1. I beni dei gesuiti
Com'è logico, una persona o un'istituzione che voglia impegnarsi nella difesa
della giustizia nel mondo, la prima cosa cui deve pensare è se i beni di cui
dispone e che amministra, di cui vive e che rendono possibile il suo lavoro,
sono compatibili o incompatibili con il compito o, meglio, con l'impegno che
desidera realizzare (…). Ebbene, sta di fatto che, economicamente, le province
della Compagnia si sostengono, in gran parte, grazie agli investimenti e ai
valori che i gesuiti, attraverso "servizi professionali specializzati"
(Istruzione sull'amministrazione di beni, 2005, p. 142), amministrano nelle
borse di quasi tutto il mondo. A tal proposito, la legislazione della Compagnia
dà norme precise per "la formazione di un buon portafoglio di valori"
(idem, p. 145). Il che vuol dire che, delle diverse modalità di capitale
(produttivo, commerciale e finanziario), è quest'ultimo, il capitale
finanziario, quello che merita attenzione da parte dell'am-ministrazione della
Compagnia, tra le altre ragioni perché gli investimenti in beni immobili hanno
come inconveniente, tra gli altri, quello che "non sempre è possibile
liquidarli nel momento desiderato; e la loro bassa rendita non sempre è
compensata da una rivalutazione della vendita" (idem, p. 144). Ovviamente,
la Compagnia di Gesù è cosciente che, nell'amministrare capitali finanziari,
ci sono investimenti leciti e illeciti (idem, p. 146). Inoltre, come religiosi,
ci sono proibiti gli affari finanziari (idem, p. 147). Ci sarà pure un motivo
(si suppone) per cui il diritto ecclesiastico (canoni 286, 675) e il diritto
della Compagnia ci proibiscono, per principio, questo tipo di affari. A tal
proposito, ci viene detto che questo tipo di affari non si può fare "senza
licenza della legittima autorità ecclesiastica". Vale a dire, si afferma
(o si fa capire) che l'autorità della Chiesa può dare licenza per fare affari
che, per principio, sono proibiti da questa stessa autorità.
Ebbene, a prescindere da questi dati (già in sé significativi) della nostra
legislazione interna, una cosa è chiara: i mercati finanziari, come tanti altri
fattori dell'economia e della vita in genere, si sono globalizzati. Ossia, per
questi mercati non esistono frontiere, né leggi internazionali che li
controllino, cosicché la norma che li regge e li orienta è "andare lì
dove possano generare i maggiori rendimenti" (J. Stiglitz, El malestar en
la globalización). Si tratta cioè di mercati che, per la loro stessa struttura
e le loro regole di gioco, sono organizzati e funzionano in modo che in essi
interessa soltanto il maggior guadagno possibile. Di fatto, sono pensati con
questo scopo. Da qui, la loro efficacia. Ma anche i pericoli economici ed etici
che racchiudono. Ha ragione George Soros quando afferma che "i mercati sono
amorali: permettono che le persone agiscano mosse dal proprio interesse...
Questa è una delle ragioni per cui sono così efficienti". Accade però
che questa efficienza economica, inevitabilmente, porta con sé un costo assai
alto cioè che "con troppa frequenza le imprese hanno maggiori aspettative
di rendimenti tramite semplici operazioni finanziarie, piuttosto che mediante
investimenti che amplino le loro capacità produttive" (E. Palanzuelos, La
globalización financiera). Il che equivale a dire che i mercati finanziari
concentrano quantità sorprendenti di capitale il cui scopo fondamentale è il
guadagno e l'accumulazione di questo capitale in mano di pochi, a scapito della
produttività. È impossibile calcolare il danno che l'efficacia (per coloro che
investono, che sono i ricchi, dato che i poveri non hanno possibilità di
investire) di questo sistema economico sta infliggendo proprio alle persone più
povere della terra. In ogni caso, (...) si tratta di quantità incredibili di
denaro che, per la maggior parte, non produce beni e servizi per nessuno ed è
destinato soltanto e di fatto (qualunque siano le intenzioni di colui che
investe) ad accumulare guadagni per coloro che possono impiegare i propri
capitali in questi affari così tipici del sistema capitalista.
Inoltre, non dovremmo mai dimenticare che, "trattandosi di operazioni
finanziarie a livello di transazioni, gli agenti che intervengono in esse si
situano al margine di qualsiasi legislazione nazionale, eludendo così i
controlli e gli obblighi fiscali dei governi" (E. Palanzuelos, o. c.). E,
logicamente, se eludono i controlli fiscali dei governi, con maggior facilità
eludono il giudizio etico delle dottrine morali che possono dettare le
religioni. Il che dà adito a pensare che i mercati amorali, di cui Soros parla,
sono in realtà mercati immorali. Un giudizio che, ovviamente, non condivide la
grande maggioranza della popolazione, né, tanto meno, molti dei moralisti delle
diverse confessioni, cattolica inclusa, poiché non mancano coloro che pensano
che gli investimenti in borsa possono essere destinati esclusivamente a fondi
etici, ecologici e solidali. Vi sono casi molto concreti in cui ciò è
certamente possibile, ma, quando parliamo di questo tema, qualsiasi economista
sa perfettamente che, se ciò che si pretende è avere "un buon portafoglio
di valori", ciò è possibile soltanto a partire dal momento in cui le
finanze sono affidate a "professionisti", che sono coloro che
controllano i risultati degli investimenti. Non siamo ingenui su un tema di
tanta importanza come questo. Forse, al di là di casi molto isolati, in
generale, gli economi delle nostre province non controllano (né possono farlo)
in cosa sono investiti i beni finanziari che ci consentono di vivere come
viviamo. Cosa che, più concretamente, significa che, in troppi casi, noi
gesuiti non sappiamo che potrebbero essere affari loschi e forse troppo immorali
quelli che ci permettono di vivere come viviamo e di sostenere non poche delle
nostre opere. Per non parlare di quei Paesi in cui i gesuiti investono in buoni
dello Stato, che producono una rendita abbastanza alta rispetto ai limitati tipi
di interesse che concedono le banche. Ciò, concretamente, significa che, in
questi casi, le nostre casse beneficiano di importanti quantità di denaro che
lo Stato dovrebbe destinare a servizi sociali assai fondamentali, come
l'educazione e la sanità. E la cosa più triste è che ciò suole accadere in
Paesi poveri. Probabilmente, questi aspetti oscuri e, credo, poco edificanti
degli investimenti che la Compagnia fa sono quelli che spiegano il sospettoso
silenzio che questo tema porta con sé, soprattutto quando (come nel nostro
caso) sono religiosi ad investire.
(…) Vi sono ragioni economiche di peso che giustificano gli investimenti
finanziari. Per il semplice motivo che la rendita, che si ricava da tali
investimenti, è necessaria affinché il livello di vita, che noi gesuiti
abbiamo deciso di avere e mantenere nella società attuale, possa essere
sovvenzionato. E ciò per sostenere economicamente molte delle nostre opere
apostoliche, che sono in deficit. Comunque, per quanto possa sembrare
ragionevole, ciò che ho prima spiegato per sommi capi ci viene a dire qualcosa
che ci fa riflettere: la Compagnia di Gesù è un'istituzione che vive integrata
nel sistema economico dominante e ricava inoltre importanti vantaggi proprio da
uno dei meccanismi di guadagno che più danneggiano i poveri, vale a dire,
quelle persone che diciamo di voler difendere. Il che significa che la Compagnia
è un'istituzione che vive, ovviamente senza volerlo, una contraddizione.
Infatti, da un lato, denuncia le perversioni del sistema capitalista ma, nello
stesso tempo, beneficia ampiamente, almeno, di una di queste perversioni. Da
qui, le resistenze (senza dubbio a livello cosciente) che molti di noi gesuiti
hanno avuto e continuano ad avere nell'assumere in prima persona gli impegni
presi dalla Compagnia nella CG 32.
Mi ha sempre colpito il fatto che, nei numerosi documenti sull'apostolato
sociale della Compagnia di Gesù, pubblicati negli ultimi trent'anni, non si è
mai fatta allusione ai beni posseduti dalla Compagnia, all'origine di tali beni
e alla gestione che di essi si fa (...). Nel caso di alcune province, di non
poche comunità, forse di parecchie opere, ciò che è in gioco è probabilmente
la sopravvivenza. E, senza dubbio alcuno, la possibilità o l'impossibilità di
mantenere un livello di vita al quale, ho l'impressione, non siamo disposti a
rinunciare (...).
2. Le opere dei gesuiti
La Compagnia di Gesù ha, in diversi luoghi del mondo, importanti opere
educative, soprattutto università di prestigio, nelle quali si formano e
conseguono titoli di alto livello migliaia di giovani che, proprio per essere
stati formati dai gesuiti, ottengono presto posti di lavoro in imprese di
riconosciuta efficacia in ambiti molto importanti, come l'economia, la politica,
la gestione di imprese, la ricerca scientifica o l'industria.
Il problema posto da alcune di queste opere consiste proprio nella loro
efficacia, nella loro eccellente organizzazione e nel loro riconosciuto
prestigio, anche a livello internazionale. E parlo di "problema" poiché,
come ben si sa, in non poche delle nostre università realizzano i loro studi
migliaia di giovani che, precisamente per l'eccellente formazione che vi
ricevono, sono fortemente quotati dalle imprese più rappresentative del sistema
economico e politico vigente. Ciò è evidente nel caso degli studi in scienze
economiche e aziendali. Ma lo è anche quando si tratta di scienze politiche, di
diritto, o di scuole tecniche, nelle quali formiamo professionisti competenti
che lavorano poi, per esempio, in fabbriche di armi da guerra o in aziende di
alta efficienza in campo finanziario.
(…) Ebbene, questo fatto è una delle espressioni più eloquenti e più chiare
della contraddizione in cui vivono i gesuiti. Poiché, da una parte, affermiamo
che la nostra missione è quella di lottare in difesa della giustizia nel mondo.
Ma, nello stesso tempo, stiamo formando i manager maggiormente e meglio quotati
delle aziende, che, in modo diverso, sono causa dell'ingiustizia o collaborano
efficacemente con i responsabili della violenza generata da questo sistema in
grandi settori della popolazione mondiale.
Dall'altra parte, non dovremmo dimenticare che le nostre opere e le nostre
attività hanno inevitabilmente un'im-portante influenza sociale. Infatti (che
lo pensiamo o no, che lo vogliamo o no), le attività dei gesuiti hanno una
certa forza di esemplarità per molta gente. Il che vuol dire che, se vedono che
i gesuiti formano coloro che gestiscono le finanze o politici che poi
occuperanno posti di influenza nei governi che praticano la violenza e persino
il terrorismo di Stato, queste persone pensano (o possono pensare) che ciò dev'essere
eticamente corretto. E con ciò stiamo potenziando la forza del sistema ingiusto
che opprime milioni di esseri umani. Lo stesso sistema contro il quale, a volte,
affermiamo di voler lottare. Una lotta per la giustizia quale, nei nostri
documenti, affermiamo essere una componente centrale della nostra missione nel
mondo.
3. I vincoli reali che determinano la nostra libertà
È giusto riconoscere - e riconoscerlo con attitudine di ringraziamento verso
Dio Nostro Signore - che, negli ultimi decenni, vi sono stati numerosi gesuiti
che si sono distinti per il loro impegno a favore della difesa della giustizia
nel mondo, in alcuni casi (ben noti) sino a dare la vita. Non tenerne conto,
come punto di partenza, sarebbe un'enorme ingiustizia e un'evidente falsità.
Tuttavia, per coloro che conoscono da vicino la Compagnia di Gesù, è
inevitabile chiedersi: com'è possibile che una corporazione di uomini così
generosamente dediti alla loro vocazione non abbiano fatto e facciano di più in
difesa della giustizia nel mondo? Questa domanda si può spiegare poiché, se la
nostra lotta per la giustizia fosse più impegnata ed efficace, certamente ci
vedremmo più perseguitati di ciò che siamo, saremmo considerati in modo
peggiore e vivremmo con maggiori difficoltà. Di fatto, i gesuiti che hanno
preso sul serio (e con tutte le loro conseguenze) l'impegno in difesa della
giustizia nel mondo hanno pagato un prezzo molto alto, che li ha portati
all'esilio, in carcere e persino alla morte. Tuttavia, sta di fatto che la
Compagnia di Gesù, come corpo, è un'istituzione che, in generale, gode di
stima ed è valorizzata ed apprezzata negli ambiti del sapere, dell'avere e del
potere. Ebbene, un simile apprezzamento e una tale stima, se li pensiamo a
partire dai criteri che ci somministra il Vangelo, come gesuiti ci dovrebbe
preoccupare. Poiché se i poteri di questo mondo ci apprezzano e ci valorizzano,
ciò vuol dire che tali poteri non si sentono scomodati, né tanto meno messi in
discussione da noi.
(...) Questo sta ad indicare che tra i poteri di questo mondo e la Compagnia
esistono profondi vincoli (molte volte inconsci) che certamente sono, in buona
misura, autentici legami. E se sono legami, per ciò stesso sono limitazioni
alla libertà. Ma, se così è, qui risiede il problema più serio che dovrebbe
oggi affrontare la Compagnia di Gesù. Poiché sta di fatto che la libertà,
reale e concreta, della Compagnia, a livello di pensare, di dire ciò che pensa
e di agire di conseguenza, si vede limitata, forse più limitata di quanto
possano sospettare molti gesuiti. Questa limitazione alla nostra libertà ha la
sua causa e la sua spiegazione, prima di tutto, nei vincoli con il capitale che
ci sostiene. È il vincolo che genera la nostra integrazione nel sistema
(economico e politico) stabilito. Perché quando parliamo del capitale o dei
beni che possediamo, ancor più determinante che la quantità o il volume di
questo capitale è l'insieme di vincoli, relazioni e sintonie che generano il
capitale ed i beni. Se manteniamo buone relazioni e siamo in sintonia con la
borsa ed i suoi benefici, non possiamo mantenere le stesse relazioni ed avere la
stessa sintonia con i poveri della terra, pregiudicati e danneggiati dai
benefici della borsa in modo ben più grave di quanto forse sospettiamo. Non
dimentichiamo che, quando parliamo dì "promozione della giustizia",
non ci riferiamo semplicemente alla promozione di opere di beneficenza o ad un
apostolato sociale più o meno generoso. Si tratta di cambiare il "mondo
ingiusto" in cui viviamo con "un altro mondo" in cui la giustizia
e l'uguaglianza di diritti e garanzie di tutti i cittadini siano una realtà
effettiva ed evidente. Ma è chiaro che un simile cambiamento possono
realizzarlo persone e istituzioni che sono in sintonia con le aspirazioni e gli
aneliti delle vittime, non con le aspirazioni e i progetti di coloro che causano
la sofferenza di tali vittime.
Ebbene, oggi la Compagnia si ritrova in una situazione in cui non sarà facile
raggiungere questa sintonia e questa libertà. Per una ragione che risulta
comprensibile. La CG 32 fu celebrata trent'anni or sono. Questi tre decenni sono
stati difficili per la Compagnia: una profonda crisi di vocazioni in molte
province, molti gesuiti che hanno abbandonato la vita religiosa, e l'inevitabile
invecchiamento di coloro che sono rimasti all'interno. Tutto ciò ha scosso
molte cose nella Compagnia. Il numero totale di gesuiti è diminuito in modo
preoccupante. Il che può portare - e di fatto porta - non pochi gesuiti a
chiedersi se la nuova missione, che ha assunto la Compagnia nella CG 32 (con cui
"l'impegno per il servizio della fede" è passato ad includere,
"come suo costitutivo essenziale, la lotta per la promozione della
giustizia", ndr), è servita per darci nuova vita o, al contrario, per
deteriorare seriamente la vitalità, il vigore ed il futuro del nostro Ordine.
È assai possibile che questa domanda, non sempre ben risolta, sia la
spiegazione (almeno in parte) del perché in parecchi dei nostri giovani gesuiti
si avverte un maggiore interesse e preoccupazione per la promozione della
spiritualità, piuttosto che per difendere la giustizia.
Conclusione
Ho prima affermato che la Compagnia non è fedele all'impegno preso nella CG 32.
Certamente, la Compagnia si è distinta per la difesa della giustizia, anche
rischiando la propria fama, il proprio prestigio, il suo buon nome e persino la
vita di alcuni dei suoi membri. Per il resto, è evidente che la Compagnia di
oggi non è la stessa di trent'anni or sono. Non lo è perché la società e la
cultura del nostro tempo non sono più come la cultura e la società di tre
lustri or sono. La Compagnia ha avuto il merito di non perdere il ritmo
accelerato dei cambiamenti che si stanno producendo nel nostro mondo
globalizzato. Ma il problema non sussiste in nulla di ciò che ho appena
segnalato. II problema risiede nel fatto che, per come sono organizzate
l'economia, la politica, la giustizia e l'informazione nel mondo della
globalizzazione, se la Compagnia avesse preso sul serio (e con tutte le sue
conseguenze) l'impegno per la giustizia, certamente si vedrebbe perseguitata,
calunniata, espulsa in molti Paesi. Qualcosa del genere è accaduto. Ma ciò che
è accaduto ci viene a dire che siamo a metà strada. Vale a dire, viviamo
nell'ambiguità e nell'indefinito. In tal senso, continuo ad affermare che non
siamo fedeli alla missione assunta.
In definitiva, si tratta di aver presente qualcosa che è così semplice, ma
anche complicato da realizzare, e cioè: quando ad un'istituzione modificano il
sistema economico sul quale si sostiene, quest'istituzione non è più ciò che
era, ma comincia ad essere un'altra cosa. Ma ciò che accade è che la Compagnia
ha voluto essere diversa, pur mantenendo lo stesso sistema economico con cui
viveva prima della CG 32, con il quale ha poi continuato a vivere, e che rende
possibile la presenza che essa ha nella società e le attività a cui si dedica
la maggior parte dei suoi membri. Detto con altre parole, ciò significa che il
come uno agisce nella vita condiziona e determina in modo decisivo il per cosa
agisce e lavora. Se noi gesuiti viviamo ben integrati nel sistema economico
dominante nel mondo, non possiamo pretendere sul serio di dedicarci a
denunciare, mettere in discussione e modificare questo sistema, che è quello
che ci dà da mangiare, quello che rende possibile la sicurezza di cui godiamo
(per la formazione, il lavoro, la vecchiaia), quello che sovvenziona i nostri
studi e le carriere che svolgiamo, l'immagine pubblica che abbiamo e la stima e
persino la fama che ci accompagna nella vita. Non siamo ingenui. Finché non
saremo disposti a mettere in discussione tutto ciò, andremo avanti con i nostri
buoni desideri, le nostre belle parole, la nostra spiritualità di sempre e le
nostre attività apostoliche di tutta la vita. Siamo però sicuri che la nostra
incidenza reale ed effettiva nel migliorare le condizioni ingiuste di questo
mondo e la sofferenza reale dei poveri sarà qualcosa di molto limitato, di
molto scarso. Questo mondo continuerà la sua marcia e noi con lui. Perché, in
ultima istanza, e benché ci lamentiamo tanto di quanto male vanno le cose, la
pura verità è che sono molti i gesuiti convinti che, per ciò che si riferisce
alla nostra economia e amministrazione di beni, le cose per noi vanno bene così.
Ma coloro che pensano in questo modo certamente non si rendono conto delle gravi
conseguenze che la presente situazione ha per il fedele compimento della nostra
missione.
Per il resto, si comprende che il fatto di porre questa problematica proprio
quando solo da qualche mese sono diventati pubblici i nuovi Statuti della povertà
e l'Istruzione sull'amministrazione di beni, a molti sembrerà un vero
sproposito. Il tema, tuttavia, è così serio che, anche a rischio di risultare
inopportuno, sembra necessario essere d'aiuto affinché tutti riflettiamo su un
argomento centrale nella nostra vocazione. Inoltre, a partire da ciò sarebbe
bene che coloro che si sentono chiamati in causa da questa impostazione
apportino soluzioni possibili a questo stato di cose. In tal senso, chiedo: non
è giunto il momento in cui, nei Paesi più sviluppati, noi gesuiti viviamo del
nostro lavoro, del rendimento economico del nostro lavoro e delle pensioni che
percepiamo in caso di invalidità o vecchiaia, esattamente come vivono tutti i
cittadini di condizione modesta nelle società avanzate? Pare ragionevole
pensare che, se abbiamo l'audacia di affrontare questa questione, con serietà e
onestà, faremo un passo decisivo verso il rinnovamento in profondità, non solo
della Compagnia, ma della vita religiosa in generale