VATICANO II: UN CONCILIO O DUE CONCILII? UN'IPOTESI INTERPRETATIVA
ADISTA n° 8 - 28.1.2006
Mi sembra una feconda ipotesi interpretativa quella che,
contrariamente a quello che si pensa, riconosce nel Vaticano II due distinti
Concilii, ognuno con i suoi protagonisti e con la sua coerenza interna.
Suggerisce questa ipotesi la riflessione sulla costante contrapposizione, che si
è verificata all'interno del Vaticano II e dei testi finali, malgrado la loro
apparente convergenza, di due correnti teologiche, preoccupate l'una di
avvalorare le possibilità di innovazioni aperte dal Vaticano II e sollecitate
da Giovanni XXIII; l'altra di salvaguardare la continuità dottrinale e
l'ortodossia della Chiesa cattolica. Paradossalmente, protagonisti della prima
corrente erano i padri della maggioranza conciliare e i periti che li
accompagnavano (fra i quali Karl Rhaner, Yves Congar e Joseph Ratzinger);
protagonisti della seconda erano i padri della minoranza conciliare e i loro
periti (fra questi, in primo luogo, i membri della Curia romana) che li
ispiravano. È importante ricordare, tra i membri di questa minoranza, la
presenza attiva di Karol Wojtyla, che interpretava il Vaticano II come una
mobilitazione della Chiesa nella lotta contro il marxismo e l'ateismo.
Mi si permetta una testimonianza personale. Come perito conciliare sono stato
membro, con l'arcivescovo di Cracovia, della sottocommissione sull'ateismo del
documento "La Chiesa nel mondo contemporaneo" (la Gaudium et spes).
Durante i lavori della sottocommissione fu evidente il contrasto fra
l'atteggiamento combattivo di Karol Wojtyla e la volontà di dialogo manifestata
dalla maggioranza conciliare. Questo contrasto non si riferiva unicamente ai
temi dell'ateismo e del marxismo, ma in generale alla relazione del Vaticano II
con il mondo moderno. Ora, il dialogo con il mondo moderno è stato forse
l'atteggiamento caratterizzante della maggioranza conciliare e pertanto del
Vaticano II. Certamente non era facile, in quel momento, prevedere che questo
vescovo sarebbe giunto ad essere l'interprete "autentico" del Vaticano
II, che egli interpretava in una prospettiva conservatrice e del quale non aveva
percepito la novità.
Oltre al tema dell'ateismo, altri esempi mettono in luce il significato di
questo conflitto teologico permanente: il tema della libertà religiosa e quello
della Chiesa. La libertà religiosa era stata rifiutata prima del Vaticano II
dalla Curia romana che difendeva l'obbligo di subordinarla alla "verità",
concretamente alla dottrina cattolica e al magistero della Chiesa. L'argo-mento
fondamentale della Curia era che non si possono porre sullo stesso piano la
verità e l'errore (la "verità" è qui evidentemente quella
cattolica). Il Concilio conservatore manteneva la stessa posizione, mentre il
Concilio innovatore proclamava, fra i diritti umani fondamentali, il diritto
alla libertà religiosa.
Nella concezione della Chiesa, il Concilio conservatore difendeva come
fondamentale il carattere gerarchico, fondato sull'infallibile autorità
personale (ex sese e non ex consensu ecclesiae) del papa, mentre il Concilio
innovatore riscopriva come fondamentale il "popolo di Dio" e pertanto
il carattere popolare e comunitario della Chiesa e delle relative autorità. Si
contrapponevano così due ecclesiologie.
Questi esempi obbligano a riconoscere che i membri dei due Concilii avevano
concezioni diverse dello stesso Concilio. Come si spiega allora la quasi
unanimità con la quale furono approvati i documenti conclusivi? Il
"dualismo" sembra escludere la possibilità di documenti comuni ai due
Concilii. Ma, se si analizzano più da vicino questi testi, si scopre che quasi
tutti sono caratterizzati da un certo sincretismo e che pertanto occupano
coerentemente il loro posto in ognuno dei due Concilii.
L'ipotesi di "due Concilii" spiega le due interpretazioni o
ermeneutiche attuali. Il papa Benedetto XVI, nel suo discorso di auguri alla
Curia romana, segnala queste interpretazioni e propone allo stesso tempo la sua
valutazione di esse. È importante notare che, nella sua prospettiva, non
esistono nel Concilio due tendenze contrapposte, ma un pronunciamento unitario e
coerente, caratterizzato dalla ricerca della "novità nella continuità":
continuità con il Concilio ma anche con il preconcilio, cioè con l'integrità
della dottrina cattolica tradizionale. Questo pronunciamento corrisponde al
Concilio che abbiamo definito "conservatore" e che è stato
rappresentato dalla minoranza conciliare e dalla Curia romana. Pertanto, secondo
Benedetto XVI, l'interpretazione corretta del Vaticano II è quella
"conservatrice". Quella "progressista", invece, è
un'interpre-tazione arbitraria ed estremista. (...)
Nonostante la molteplicità di luoghi e di forme nel quale si manifesta questo
dualismo, è possibile avvertire in esso una profonda coerenza. Per approfondire
il senso di questo dualismo e di questa coerenza interna, dobbiamo individuare
il punto di vista e il principio unificante di ognuno dei due Concilii (...).
Ora, con sicura (inevitabile) schematizzazione, penso che i punti di vista e i
principi unificanti siano l'antro-pocentrismo, che interviene nel Vaticano II
come principio di innovazione, e l'ecclesiocentrismo, che interviene come
principio di continuità.
L'ecclesiocentrismo, principio unificante del "Concilio conservatore",
rappresentato dalla minoranza del Vaticano II
Una prima indicazione riguardo al posto che la Chiesa (cattolica) occupa nella
prospettiva conservatrice, proviene da un dato quantitativo che ha un grande
significato quali-tativo. Lo desumo dall'edizione dei documenti conciliari
pubblicata dal Centro Dehoniano di Bologna. L'indice di questa pubblicazione
prende 111 pagine. Di queste, alla voce "poveri" sono dedicate sei
righe, a "povertà" cinque, alle parole "amore" e
"carità" circa una pagina ciascuna, altrettanto alle parole
"Dio", "Vangelo", "Mondo". Alla parola
"uomo" 3 pagine, a "Cristo" 6, a "Chiesa" 20.
Se passiamo in rassegna tutti i documenti, possiamo constatare che in ognuno di
essi la Chiesa cattolica è effettivamente al centro della prospettiva. (...)
Lo stesso documento sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), il cui titolo
lasciava sperare in un'impostazione antropocentrica e laica, comincia avvertendo
che tale libertà lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica, sul dovere
morale degli individui verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo. Della
quale, del resto, si dice che, oggi come ieri, riconosce e favorisce la libertà
religiosa. (...)
Aspetti storici e teologici
L'ecclesiocentrismo svolge un ruolo fondamentale nella storia contemporanea
della Chiesa cattolica, e, in particolare, nel progetto di restaurazione che ha
caratterizzato il pontificato di Giovanni Paolo II e, giudicando dall'andamento
di questi primi mesi, caratterizzerà il pontificato di Benedetto XVI. Ora,
questo progetto non intende in alcun modo opporsi al Vaticano II, ma al
contrario fondarsi su di esso. A nostro parere, il progetto restauratore non si
fonda sull'in-tegralità del Vaticano II, ma sul Concilio conservatore e ignora
(di fatto, anche se non sempre nelle parole) il Concilio innovatore. Tuttavia,
la minoranza conservatrice, e soprattutto la potente Curia romana (e in
particolare il cardinal prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede), pretenderà di imporsi come interprete autentica del Vaticano II e come
freno alle "deviazioni" del postconcilio. Con questa pretesa autorità
dottrinale, procederà a reprimere i teologi che si arrischieranno a sviluppare
gli orientamenti della maggioranza conciliare, in particolare i teologi e le
teologhe della Liberazione, le teologhe e i teologi indigeni, e i sostenitori e
le sostenitrici del pluralismo religioso.
(...) La centralità del "punto di vista della Chiesa gerarchica" per
guardare la storia si fonda su una ecclesiologia secondo la quale la Chiesa sta
al centro del progetto salvifico di Dio, coincide con il Regno di Dio e
costituisce pertanto il luogo teologico fondamentale… Questa Chiesa terrena,
unica Chiesa di Cristo, costruita e organizzata in questo modo, germe e inizio
sulla terra del Regno di Dio, sussiste nella Chiesa cattolica e non è diversa
dalla Chiesa già in possesso dei beni celesti. Pertanto la Chiesa terrena e la
Chiesa dotata di beni celestiali non devono essere considerate come due cose
distinte, perché formano una realtà complessa, costituita da un elemento umano
e uno divino (LG, 2,5,7,8,15).
Questa tesi la formulava crudamente la teologia preconciliare: "fuori dalla
Chiesa (cattolica) non c'è salvezza". Il Vaticano II propone la sostanza
di questa condanna, però allo stesso tempo la rinnova sotto la pressione dell'antropocen-trismo.
I Padri non sembrano, quindi, aver raccolto in proposito le indicazioni di Paolo
VI quando affermava: "la Chiesa è per il mondo" (Discorso di chiusura
della III sessione); e inoltre: "La Chiesa, in questo mondo, non è fine a
se stessa, è al servizio di tutti gli uomini; deve rendere presente Cristo a
tutti, individui e popoli, nel modo più ampio e generoso possibile; questa è
la sua missione (...)" (Discorso di apertura della IV sessione).
Antropocentrismo e richiamo all'amore, principio unificante del Concilio
innovatore
L'aspetto più innovativo del Vaticano II è stato senza dubbio la
"apertura della Chiesa al mondo", cioè il riconoscimento del valore
positivo, dal punto di vista della fede, del processo di secolarizzazione
fondato sulla relativa autonomia dell'uomo. Autonomia che comporta il valore
autonomo dell'amore umano. Compito, questo, che si presentava al Vaticano II per
il fine centrale che perseguiva (secondo l'indica-zione di Giovanni XXIII, nel
discorso d'apertura del Concilio: "presentare il deposito della fede
attraverso categorie culturali in raccordo con le esigenze del mondo
moderno"). Bene, la caratteristica più rilevante e provocatrice del mondo
moderno e della sua cultura, in relazione alla Chiesa, è la laicità, cioè la
rivendicazione dell'autonomia dell'uomo e delle realtà terrene rispetto alla
religione e alla Chiesa.
In definitiva, il Vaticano II si pone, sebbene con molta cautela, il problema
suscitato drammaticamente da Bonhoeffer: che significa parlare di Dio in un
mondo che non ha bisogno di Lui, che si è organizzato senza di Lui? La Chiesa
cattolica, che ha avuto nel Sillabo la sua espressione più drastica, ha
condannato, fra i più gravi "errori moderni", la pretesa di autonomia
da parte dell'uomo, considerata evocazione del diabolico "non serviam":
cioè come una ribellione collettiva dell'uomo verso Dio.
In questo preciso punto il Vaticano II rappresenta un cambio di direzione,
antropologico e antropocentrico: è questa la novità più caratteristica. Ed è
questo, mi sembra, il principio unificante del Concilio innovatore. Il Vaticano
II riconosce, in effetti, che, alla luce della fede, l'assunzione della
responsabilità storica da parte dell'uomo - cioè il processo di
secolarizzazione - è pienamente legittima, e costituisce anche un progresso.
"Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni è e deve essere la
persona umana".
Perché, nel suo senso profondo, questa autonomia non nega la dipendenza da Dio,
ma paradossalmente si fonda in essa. (...) In effetti, "l'uomo è l'unica
creatura della terra che Dio ha amato per se stessa" (Gaudium et spes). Ed
è nella libera e creatrice iniziativa dell'uomo che Dio manifesta il suo potere
creatore (Gaudium et spes): si rivela così come creatore di creatori. Qui il
Vaticano II evoca l'intuizione di s. Ireneo: "La gloria di Dio è l'uomo
vivente". (...)
Il senso cristiano dell'antropocentrismo emerge con chiarezza ancora maggiore
quando si comprende la sua prima e fondamentale implicazione pratica: la
centralità dell'amore per l'uomo. Rinnovarsi significa, per la Chiesa
conciliare, riscoprire il comandamento nuovo e dimenticato dell'amore;
riscoprirne la carica innovatrice nel mondo di oggi; vedere in esso "la
legge fondamentale della perfezione umana e, per ciò stesso, anche della
trasformazione del mondo" (Gaudium et spes). Questo tema è una delle
prospettive centrali del Vaticano II, che lo ricorda insistentemente, e fa di
questo la conclusione del suo messaggio.
Inoltre, l'antropocentrismo imprime a tutto il Vaticano II un tono di euforia e
di ottimismo. Per esempio quando afferma: "La Chiesa riconosce e stima
molto il dinamismo del-l'epoca attuale, che sta promuovendo ovunque i diritti
umani" (Gaudium et spes).
Ora, se effettivamente l'essenza del cristianesimo e la sua novità stanno
nell'amore umano, ciò significa che nell'iden-tità cristiana c'è
un'essenziale componente profana. Una componente, quindi, che non si definisce
in funzione di chi crede e di chi non crede in Dio, che non vede, ma tra chi ama
e chi non ama suo fratello, che vede… L'altra componente essenziale è l'amore
di Dio che, tuttavia, nell'ottica di Gesù - ricorda il Vaticano II - non può
darsi senza l'amore umano, itinerario obbligato della stessa conoscenza di Dio.
L'interpretazione del Vaticano II assunta dalla maggioranza conciliare trova una
decisiva conferma nell'autorità di Paolo VI, conferma e difesa contro le accuse
formulate dalla prospettiva ecclesiocentrica; in particolare contro l'accusa di
"relativismo", insistentemente formulata da papa Ratzinger. Sarebbe un
importante servizio all'unità della Chiesa che Benedetto XVI tenesse in conto
anche il pensiero del suo predecessore Paolo VI.
Nel Discorso di chiusura della IV sessione, Paolo VI affermava: "Forse mai
come in questa occasione la Chiesa ha sentito la necessità di conoscere, di
avvicinarsi, di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la
società che la circonda e di seguirla; per dir così, di raggiungerla nel suo
rapido e continuo cambiamento. Questo atteggiamento, determinato dalle distanze
e dalle rotture avvenute negli ultimi secoli, nel secolo passato e in questo,
particolarmente tra la Chiesa e la civiltà profana - atteggiamento ispirato
sempre dall'essenziale missione salvatrice della Chiesa -, ha operato
intensamente nel Concilio, fino al punto di far sorgere in alcuni il sospetto
che un tollerante ed eccessivo relativismo rispetto al mondo esterno, alla
storia che scorre, alla moda attuale, alle necessità contingenti, al pensiero
diverso abbia dominato persone e atti del sinodo ecumenico a costo della fedeltà
alla tradizione e con danno per l'orientamento religioso dello stesso Concilio.
Noi non crediamo che questo equivoco si debba imputare né alle sue vere e
profonde intenzioni né alle sue autentiche manifestazioni".
Nello stesso discorso, Paolo VI approfondiva l'interpre-tazione del Vaticano II:
"Vogliamo notare come la religione del nostro Concilio sia stata
principalmente la carità, e nessuno potrà tacciarlo di irreligioso e infedele
al Vangelo per questo principale orientamento, quando ricordiamo che lo stesso
Cristo è colui che ci insegna che l'amore per i fratelli è il distintivo dei
suoi discepoli" (cfr Gv 13,35). Inoltre, sottolineando la prospettiva
fondamentalmente antropocentrica del Vaticano II, il papa ne assume ancora,
fermamente, la difesa: "Tutto questo, e quanto potremmo ancora dire sul
valore umano del Concilio, ha deviato forse la mente della Chiesa nel Concilio
verso la direzione antropocentrica della cultura moderna? Deviato no; rivolto sì".
(...)
La Chiesa nel post-concilio
(...) La continuità con il Concilio ecclesiocentrico è stata rappresentata
specialmente da Giovanni Paolo II, dalla Curia romana, in particolare dalla
Congregazione per la Dottrina della Fede, dal suo prefetto, il cardinal
Ratzinger. Queste autorità hanno esercitato una dura repressione sui teologi e
le teologhe, sui docenti, sugli stessi vescovi e, in generale, sui settori
innovatori della Chiesa; i vescovi progressisti sono stati spesso sostituiti da
vescovi di tendenza opposta, con il compito di rettificare gli errori del
predecessore. Si deve soprattutto all'influsso del centralismo romano il
cambiamento di prospettiva di molti membri della tendenza antropocentrica. Un
altro fattore è stato la difficoltà di molti vescovi di affrontare le
conseguenze del Vaticano II: essi si sono preoccupati per i nuovi atteggiamenti,
pratici e teologici, di sacerdoti e laici delle loro diocesi, che sono loro
sembrate interpretazioni estremiste del Concilio.
Come effetto di questo cambiamento, la maggioranza conciliare si è trasformata
in minoranza; e la minoranza in maggioranza. Altrimenti detto, la prospettiva
ecclesiocentrica è tornata a prevalere su quella antropocentrica (...). La
conversione più vistosa è stata quella del perito conciliare Joseph Ratzinger,
che ha avuto un'influenza decisiva sull'evoluzione (o involuzione?) della
dottrina ufficiale della Chiesa: l'ha avuta come prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, e pertanto come principale responsabile dei
documenti promulgati da essa; l'ha avuta come principale consigliere di Giovanni
Paolo II nel campo dottrinale. Evidentemente l'avrà ancora, questa influenza,
se possibile, come papa Benedetto XVI.
La continuità con il Concilio antropocentrico è rappresentata specialmente dai
teologi della Liberazione, dai teologi indigeni, dalle teologhe femministe.
Tutti costoro hanno elaborato, ispirati dalle esperienze di fede delle basi
cristiane, un'interpre-tazione creatrice del Vaticano II. La centralità
dell'uomo si è approfondita in opzione per i poveri, cioè per gli oppressi e
le oppresse come soggetti. Si sono fatti consapevoli dei limiti dell'antropocentrismo
conciliare, definito eurocentrico (...).
Questo nuovo luogo teologico ha aperto nuovi orizzonti alla ricerca teologica,
ha orientato i cristiani verso una solidarietà più efficace con le oppresse e
gli oppressi, ad una critica più radicale delle ingiustizie sociali verso i
poveri, dei quali i cristiani e le cristiane, le teologhe e i teologi hanno
dovuto condividere il destino di emarginazione e, spesso, di morte. Per ciò
stesso, la "apertura al mondo" è divenuta identificazione con il
Terzo Mondo, cioè con i popoli oppressi del mondo. Pertanto, i frutti più
ricchi del Vaticano II sono la nuova creatività teologica, un impegno più
coerente per la costruzione di un mondo nuovo, la testimonianza dei nuovi
martiri della giustizia.