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La crisi palestinese può finire

James Zogby

dal sito web ZNet - Washington Watch - 16 Maggio 2006

La crisi umanitaria nei territori Occupati palestinesi ha raggiunto proporzioni inimmaginabili, con l'economia strangolata dal blocco, i salari che non vengono pagati, ed una situazione di emergenza medica che uccide i malati cronici e quelli che richiedono trattamenti immediati.

In un modo significativo, questa crisi palestinese non ha precedenti nella storia recente. Questo non perché la loro situazione sia peggiore di quella del Darfur o del Rwanda, ma perché questa intera tragedia umanitaria è il risultato delle azioni deliberate di uno stato che li ha fatto prigionieri, le cui politiche sono o sostenute o tollerate dai grandi poteri.

E' il piano dell'ex Primo Ministro Ariel Sharon che oggi comincia a dare i suoi frutti. Il vecchio guerriero fu eletto nel 2001 su una piattaforma impegnata a mettere fine al processo di pace di Oslo e a distruggere ogni finzione di un autogoverno palestinese.

Per quattro anni, Sharon ha con successo messo sotto scacco tutti gli sforzi di pace, dal piano Mitchell attraverso le sue modificazioni che portavano alla "Road map". Abilmente Sharon aveva imparato a dire "si" ad ogni iniziativa, così che continuava ad essere visto negli Stati Uniti come un uomo di pace, mentre allo stesso tempo poneva condizioni impossibili sui suoi "si" che ebbero l'effetto di sovvertire l'iniziativa stesso cui aveva dato il suo assenso.

Volta per volta, Sharon aveva sabotato gli sforzi di MItchel, Tenet, Zinni, e Powell. Lui, naturalmente, aveva complici nel cammino. Da una parte, egli aveva il sostegno dell'amministrazione Bush, che si impegnò sempre solo a metà nelle sue stesse iniziative. E poi c'era la stupida brutale tattica usata da Hamas ed altri il cui comportamento serviva solo a fornire legittimazione all'ostruzionismo di Sharon.

Nell'assenza di ogni significativa pressione USA, Sharon riuscì a dichiarare bloccato il processo di pace, e a ritenere necessaria l'azione unilaterale di Israele. Costruì un muro, espanse gli insediamenti, implementò un ridispiegamento unilaterale da Gaza e rafforzò i blocchi dei prigionieri palestinesi preparando lo scenario in cui ci troviamo oggi.

La bizzarra visione di Bush, pronunciata per la prima volta nel Giugno 2002 quando dichiarò che i Palestinesi dovevano creare una vera democrazia prima di conseguire la propria libertà, giocò la sua parte. Questa approccio di porre il "carro davanti al cavallo" servì solo a ritardare veri negoziati e preparò il terreno per la vittoria di Hamas che siglò il fato palestinese.

Oggi i Palestinesi sono in trappola, senza via di uscita. Hamas vinse non , come i risultati hanno dimostrato, per via della corruzione, ma perché dopo 12 anni di un "processo di pace" nel quale i palestinesi divennero meno liberi e più poveri, la "pace" ha acquisito una cattiva nomea ed il partito associato ad essa è stato discreditato.

Gli Israeliani erano ora in grado di dire che non avevano nessuno con cui negoziare e la fecero franca.

I risultati delle elezioni non hanno solo fornito ad Israele una breccia per implementare il loro piano unilaterale per i territori, hanno anche imposto nuovi fardelli per la popolazione palestinese prigioniera.

Oggi non si può parlare di alcuna economia palestinese. La chiusura della West Bank e di Gaza ha conseguenze de vastanti: nessuna importazione o esportazione significa che il raccolto marcisce ai checkpoint e che le fabbriche hanno chiuso. La già debole economia si è ridotta di un altro 27%, la disoccupazione è raddoppiata, la povertà è aumentata del 50% e il reddito personale è diminuito del 30%.

Ora persino l'ultima significativa fonte di impiego per i Palestinesi, il pubblico impiego, è minacciato dall'impossibilità del governo di pagare i salari. Senza denaro in entrata nei territori, Israele che rifiuta di pagare l'imposta l'IVA che è loro dovuta (illegalmente, potrei aggiungere, ma allora è così anche ogni altra cosa che Israele fa a proposito dei Palestinesi), e con l'economia strangolata palestinese che non produce più reddito, le entrate del governo, che lo scorso anno totalizzava quasi 180 miliardi di dollari al mese, ora sono cadute a 25 miliardi. Come risultato 150.000 e più Palestinesi, un quarto della forza lavoro, non guadagnano denaro da tre mesi.

E' stato alla luce di questo disastro che l'Unione Europea è stata in grado di costringere gli USA a ripensare il suo boicottaggio ed ammettere che un ancor vago "meccanismo" sia creato per permettere al denaro di arrivare ai territori.

Una vittoria, forse, ma sembra più una istituzionalizzazione della catastrofe creata da Israele. I Palestinesi ora sopravvivranno come accattoni grazie a donazioni internazionali.

Ricordo che una volta Nabi Shaath disse una volta (nel 1994) che se il processo di Oslo funzionava, Gaza sarebbe diventata come Singapore. Se falliva, sarebbe diventata la Somalia. Lui, naturalmente, sperava per Singapore. Tragicamente, la metafora della Somalia ha vinto.

Il parallelo della Somalia, tristemente, include la lotta fratricida, quando la violenza palestinese si è rivolta all'interno seguendo un tragico, ma inevitabile corso. Questo è quello che accade quando un popolo vive sotto un'insopportabile oppressione per un periodo prolungato, senza speranza di un cambiamento.

Si può fare qualcosa per cambiare questo devastante stato di cose? Si può. Ma ci vuole tempo, coraggio, e volontà politica.

Non ci si può aspettare che i palestinesi si tirino fuori da soli dal buco in cui sono. Mancano di risorse e capacità -- dal momento che hanno mancato di sviluppare entrambe. Mentre la maggior parte dei Palestinesi e degli Israeliani vogliono una giusta pace, il sostegno per queste maggioranze senza potere richiede un sostegno esterno. L'Europa ci tiene, ma agirà colo dentro limiti autoimposti. E non ci si può aspettare che USA agiscano differentemente da come hanno fatto negli anni passati.

Occorre dunque la leadership araba. Occorre mandare un chiaro messaggio ai Palestinesi e all'Occidente. Ai Palestinesi deve essere chiesto con forza di mettere fine alla violenza perché l'unico a guadagnarci è Israele. Hamas e specialmente la sua leadership esterna deve mettere fine al suo ostruzionismo, perché sta distruggendo l'ultima possibilità per una sopravvivenza palestinese. S'è una linea sottile tra l'ottuso dogmatismo alla luce del disastro e il puro e semplice suicidio.

All'Occidente va detto, e non sottovoce, di chiarire alla leadership israeliana che il loro comportamento verso i Palestinesi non è solo "un ostacolo alla pace," è criminale e non sarà tollerato, e siccome le conseguenze di questo comportamento non sono solo l'uccisione di Palestinesi e l'aggravamento delle tensioni israelo-palestinesi, esso sta anche favorendo l'estremismo ed approfondendo la divisione tra il mondo arabo e l'occidente. Il rischio è troppo alto.

Il comportamento di Israele deve essere fermato: le imposte devono essere pagate, il blocco di West Bank e Gaza deve finire, la costruzione del muro e i nuovi insediamenti devono cessare, e gli assassini ed altre forme di repressione devono finire.

Infine, il nuovo governo israeliano, senza scuse, deve essere pressato perché inizi seri negoziati con il Presidente Mahmoud Abbas. La sua posizione dovrebbe essere rafforzata, non indebolita. Sia i Palestinesi che la maggioranza israeliana vogliono veri negoziati che portino alla pace. Sosterranno pressioni esterne che aiuteranno a porre fine al conflitto.

La leadershi araba ha un ruolo da giocare. Sono rispettati in Europa e l'UE ha dimostrato che può spingere gli USA ad agire. Occorre fare forzi ora, prima, prima che questa crisi esca fuori da ogni controllo.

I Palestinesi devono sentire che stanno ricevendo aiuto e speranza dall'esterno. Devono vedere una trasformazione radicale nelle loro vite quotidiane. Se ci si aspetta che loro facciano la scelta giusta, loro devono sentire che hanno una scelta.