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DIECI MOTIVI PER DIALOGARE. CRISTIANI E ISLAMICI ALLA RICERCA DI UN'ETICA COMUNE


ADISTA n. 56 del 22.7.2006

DOC-1763. ROMA-ADISTA. Un decalogo di cose possibili da fare sulla via del dialogo cristiano-islamico, per tentare di costruire un'etica comune fondata sul rispetto integrale dell'altro/a, che corrisponde al comandamento del "non uccidere" comune a tutte le religioni. È questa l'idea contenuta in un documento in dieci punti elaborato da Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba all'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano; Stefano Allievi, docente di sociologia all'Università di Padova; Silvio Ferrari, docente nelle Università di Milano e Lovanio; Mario Scialoja, presidente della Lega musulmana mondiale-Italia, pubblicato sul sito de Il dialogo (www.ildialogo.org). Un documento che - propone il direttore de Il dialogo Giovanni Sarubbi - potrebbe rappresentare una base per la V Giornata del dialogo cristianoislamico, in programma il prossimo 20 ottobre: un appuntamento nato dal basso ma diventato quasi un evento istituzionale nella realtà italiana. "Lo slogan per la giornata - afferma Sarubbi - potrebbe essere proprio quello di "Dieci motivi per dialogare", per sottolineare anche come siano molte le iniziative che si possono mettere in campo per rendere concreto il dialogo, mentre per la guerra, l'odio, la xenofobia e quant'altro basta una sola grande bugia". Di seguito il documento.

ISLAM, CHE FARE? UN DECALOGO


 di Paolo Branca, Stefano Allievi, Silvio Ferrari, Mario Scialoja

La presenza di musulmani in Italia ha ormai raggiunto una tale "massa critica" da non consentire che il fenomeno sia gestito soltanto attraverso forme d'intervento estemporanee e improvvisate, com'è spesso stato finora. L'impegno di molti che si sono prodigati, sia da parte italiana che da parte islamica, con numerose iniziative conferma le potenzialità di un tessuto sociale vivo e attivo, ma proprio per non vanificare tali energie e al fine di evitare derive che hanno interessato di recente altri paesi europei, ci sembra indispensabile che le istituzioni e i cittadini - italiani e non - coinvolti a vario titolo nella questione trovino modalità per riflettere e agire insieme all'interno di un progetto comune ispirato a principi chiari e condivisi.
Per questo, mentre il nostro Paese vive un decisivo mo-mento di riformulazione degli equilibri politici e delle sue pro-spettive di riforma, riteniamo doveroso richiamare alcuni punti che ci paiono di cruciale importanza nel compito comune che ci troviamo ad affrontare. Va da sé che i musulmani condivido-no con immigrati di altra origine molte problematiche simili. Sarebbe pertanto indebito ritenere le considerazioni che se-guiranno come pensate esclusivamente per loro, anche se il presente documento ne tratta in modo specifico: una buona legge sulla libertà religiosa, ad esempio, andrebbe incontro alle esigenze di tutte le comunità e non solamente di quella islamica.
La globalizzazione in atto, contrariamente a quanto ci si poteva ingenuamente aspettare, invece che a un indebolimento delle identità (reali o immaginarie) sta conducendo piuttosto a un loro irrigidimento che non sembra cogliere sufficientemente le potenzialità positive pur presenti nell'inedito incontro di uomini e culture che si sta producendo, bensì tende a en-fatizzare diffidenze e timori che inducono alla chiusura e alla contrapposizione.
Siamo consapevoli dei rischi insiti in un vacuo relativismo che potrebbe portarci a poco auspicabili confusioni e allo svilimento delle tradizioni culturali e religiose di ciascuno: ma il valore che attribuiamo alla nostra e altrui identità ci spinge a ritenere necessaria una gestione coraggiosa e consapevole di questo processo di incontro e convivenza, l'unica in grado di portare a buoni risultati nell'interesse comune. Per questa ragione pensiamo che vada scoraggiato con ogni mezzo lo spirito di sospetto e di rivalsa che in taluni, da entrambe le parti, sembra purtroppo prevalere.
I punti che ci pare necessario richiamare sono:
1. Incoraggiare la collaborazione con le istituzioni a ogni livello per promuovere una reale partecipazione. dimostrando che le regole della democrazia tutelano e premiano i compor-tamenti migliori. A tale scopo è utile in particolare partire dal censimento e dalla valorizzazione delle molteplici esperienze in atto anche al fine di contrastare una comunicazione basata su semplici opinioni, anziché su evidenze empiriche. Interventi formativi all'interno delle pubbliche amministrazioni (scuola, sanità, carcere, personale di polizia...) sulle tematiche relative al pluralismo culturale nelle aree di loro competenza, con un taglio che privilegi la concretezza delle situazioni su considera-zioni di ordine astrattamente teologico, ideologico o politologi-co. Il confronto con esperienze internazionali che già affronta-no da tempo temi e situazioni analoghe consentirebbe di valu-tarne gli esiti e di ispirarsi alle pratiche (legislative e operative) più efficaci.
2. Scoraggiare con fermezza ogni forma di illegalità per evitare il formarsi di società parallele o gruppi che si percepi-scano e si presentino come corpi estranei: il diritto alla dif-ferenza non può e non deve mai diventare pretesa di una differenza nei diritti e nei doveri.
3. Valorizzare le iniziative che si pongono nella prospettiva della condivisione di valori, interessi e impegno comune al servizio della collettività.
4. Dare priorità alle donne e ai giovani che, senza rinunciare alla propria specificità culturale e religiosa, dimostrano di voler sviluppare, con chi condivide i loro problemi e le loro aspira-zioni, attività che favoriscono contatti, scambi e integrazione.
5. Offrire, a livello universitario, percorsi di maturazione e di formazione a quanti intendono svolgere funzioni di servizio alle comunità, specie nei ruoli di orientamento e di guida. Non si tratta di formare i ministri del culto, ma di favorire l'emer-sione e il consolidamento di competenze e capacità specifiche tra coloro che già operano nei diversi gruppi affinché la loro azione sia maggiormente adeguata alle finalità dell'integrazione e della partecipazione alla vita del paese in cui risiedono.
6. Stimolare, specie nelle scuole, la valorizzazione degli apporti delle differenti culture del Mediterraneo alla costruzio-ne di una comune civiltà. Laddove siano presenti numerosi alunni arabofoni, appositi corsi per la conservazione e lo sviluppo della lingua d'origine (del resto già in atto, in forma sperimentale) andrebbero diffusi e sostenuti. Tali interventi non sarebbero ad esclusivo vantaggio degli immigrati, ma contribuirebbero alla trasformazione dell'intero settore scolasti-co che non sarebbe adeguato alla realtà di un mondo sempre più interdipendente se restasse ancorato a forme di istruzione centrate soltanto sulla cultura locale.
7. Incoraggiare i mass media a dare spazio alle numerose esperienze di collaborazione e di condivisione tra persone di fede e di cultura diversa, evitando di diffondere e/o amplificare soltanto fatti e notizie che confermino mutui pregiudizi. Non si tratta evidentemente di occultare le problematicità, ma an-cora una volta di partire dalla realtà che è più ricca delle sue rappresentazioni, mediante inchieste sul campo, lavoro di terreno empirico, informazione completa e imparziale.
8. Promuovere politiche che migliorino le condizioni di vita delle società di provenienza degli immigrati, con riferimento non soltanto alla situazione economica ma anche allo sviluppo della società civile, al rispetto dei diritti umani e alla valoriz-zazione del pluralismo ad ogni livello.
9. Valorizzare l'azione delle istituzioni locali, che sono a contatto diretto con le realtà di base, nel promuovere iniziative che, per la qualità degli interventi e le loro ricadute positive sul territorio, possono costituire dei modelli validi anche per analo-ghe situazioni, in stretto contatto con le agenzie culturali e religiose che già operano in tal senso.
10. Approfondire la conoscenza reciproca, nel mutuo rispetto pur senza rinunciare allo spirito critico e autocritico, non solamente con sporadiche iniziative informative, ma attraverso il lavoro permanente e sistematico di gruppi che affrontino insieme tematiche specifiche di comune interesse. Ciò favorirebbe inoltre lo sviluppo di prospettive professionali che facciano tesoro delle competenze e delle capacità di chi si distingue nel lavoro interculturale.