"DOV'ERA DIO? CHIEDIAMOCI PIUTTOSTO DOV'ERANO LE CHIESE E I CRISTIANI". DANIELE GARRONE SUL DISCORSO DEL PAPA AD AUSCHWITZ
33425. ROMA-ADISTA. "I silenzi sono più eloquenti e più
inquietanti delle parole; le cose dette sono accompagnate dall'omissione di
parole che avrebbero dovuto essere dette". Inizia così il commento di
Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di Teologia di Roma, al discorso
pronunciato da papa Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau, durante la visita
pastorale in Polonia (v. rassegna stampa sul numero verde allegato).
Nella sua analisi, pubblicata sul n. 22 di Nev (l'agenzia di stampa delle Chiese
evangeliche), Garroni prende spunto dagli interrogativi lanciati dal papa dal
lager nazista: "Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare
tutto questo? Dov'era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto?". Sono
le stesse domande che nei Salmi il popolo di Israele pone a Dio, ma - sottolinea
Garrone - un conto è se queste domande, questa protesta, "la pongono
quelli che ad Auschwitz morivano o ad Auschwitz sono sopravvissuti, un conto è
se la pone un cristiano sul luogo del loro patibolo, un tempo circondato da una
massa di cristiani indifferenti, più spesso corrivi o direttamente
complici". "Negli anni del nazismo le chiese cristiane non hanno
invocato il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù perché
intervenisse a favore del suo popolo Israele e neppure lo hanno fatto per molto
tempo dopo". Quindi il papa dovrebbe più legittimamente chiedersi non
tanto "dov'era Dio?", quanto "dove erano i cristiani, in
particolare i vertici delle Chiese?". Il papa, capo della Chiesa cattolica
universale, doveva cioè parlare "Non dell'imperscrutabile segreto di Dio,
ma delle scrutabilissime responsabilità dei cristiani". Doveva dire una
parola sul rapporto tra il secolare e radicato antigiudaismo cristiano,
virulento anche nella sua Chiesa nei decenni che precedono la Shoah, e lo
sterminio nazista. Avrebbe dovuto ricordare che l'odio antiebraico è uno dei
risvolti sinistri delle da lui tanto celebrate radici cristiane dell'Europa e
che è stato propagato da predicatori e teologi di ogni confessione, da vescovi,
cardinali e papi, non da ‘figli della Chiesa' sviati".
Anche perché, spiega Garrone, "solo partendo dal riconoscimento delle
colpe della propria storia, il tema della riconciliazione - una delle parole più
ricorrenti nel discorso papale - avrebbe potuto avere una vera pregnanza e
l'auspicata ‘purificazione della memoria' non avrebbe eluso i drammatici
interrogativi che pone la storiografia". Invece – sostiene Garrone – la
lettura della storia tedesca durante il nazismo fatta dal papa, che parla di un
"popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante
promesse bugiarde", di un popolo "usato e abusato come strumento della
loro smania di distruzione e di dominio", è "una interpretazione
revisionistica". "Come se non sapessimo che, salvo poche, sparute
eccezioni - che il Papa non ha menzionato, dalla Rosa Bianca al gruppo di
cospiratori dell'ammiraglio Canaris - non ci fu una resistenza tedesca a quella
che Bonhoeffer ha definito ‘la grande mascherata del male'. Se di tutto questo
ci si ricordasse, ‘la Chiesa' non sarebbe risparmiata dal fango e dal sangue
della storia umana e le sarebbe molto più difficile parlare ad Auschwitz".
L'immagine della Chiesa presentata da Ratzinger è invece quella di
un'istituzione "che può parlare a nome di tutti i popoli, per tutte le
colpe, perché in fondo essa non ne ha, che può tutto riconciliare e purificare
come se fosse super partes".
Infine, Garrone si chiede come mai il papa, che ha detto di voler parlare anche
come "figlio del popolo tedesco", abbia evitato di parlare il tedesco,
pronunciando il suo discorso in lingua italiana. "La lingua che ad
Auschwitz non può che suonare sinistra a memoria d'uomo avrebbe potuto
esprimere con la massima pregnanza il no all'orrore che essa stessa ha
veicolato. Oppure avrebbe potuto ricordarsi di Willy Brandt, che si inginocchiò
in silenzio. Parla di più un tedesco ammutolito che un tedesco che parla
italiano". (valerio gigante)