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LE RISPOSTE NEGATE DI BENEDETTO XVI


il manifesto - 30 maggio 2006
 di Filippo Gentiloni

ADISTA n. 44 del 10.6.2006

Un discorso impegnativo quello di Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau, ma privo di grandi novità. Impegnativo sia per la tragicità del luogo che per il tono solenne che il papa ha voluto dare alla sua presenza nel campo di sterminio.
Nel 1979 già Giovanni Paolo II vi aveva sottolineato la presenza della cattolica Polonia e la condanna del-l'antisemitismo.
Un discorso più arduo, e anche più commovente, per il papa tedesco: una partecipazione certamente più sofferta.
Ma sulla shoah (il papa ha usato questo termine) le posizioni cattoliche ufficiali sono state ripetute, senza sostanziali correzioni. Della tragedia è responsabile un gruppo di criminali, non il popolo tedesco.
Quindi non il cattolicesimo tedesco che viene ricordato, come al solito, per i suoi eroi e le sue vittime (Padre Kolbe, Edith Stein), non per la sua comune partecipazione alla colpa collettiva.
Proprio quella colpa che la storiografia più moderna tende, invece, a sottolineare.
Il papa ha inoltre voluto, ancora una volta, anche nel tragico contesto del campo di sterminio, accostare le due dittature.
La presenza di vittime russe, ha detto, ci fa riflettere «sul tragico duplice significato della loro missione: liberando i popoli da una dittatura, dovevano servire anche a sottomettere gli stessi popoli a una nuova dittatura, quella di Stalin e dell'ideologia comunista».
Ma il papa ha anche rinnovato la domanda più tragica: «Dio, dove eri?». Da Giobbe ad oggi i credenti se lo chiedono di fronte al male, non soltanto quello di Auschwitz. E, onestamente, accettano di non conoscere una risposta.
Così anche il papa: «In definitiva dobbiamo rimanere con l'umile ma insistente grido verso Dio».
Era però logico che non pochi commentatori di fronte alla domanda difficile su dove fosse Dio, domanda senza risposta, chiedessero invece risposta alla domanda più facile: dove era Pio XII?
Anche dopo la visita di Benedetto XVI al campo di sterminio, dunque, rimangono gli interrogativi sul comportamento delle autorità cattoliche in quegli anni.
Interrogativi che una certa ripresa di antisemitismo cattolico proprio in Polonia certamente non aiuta a dimenticare.
Un'altra riflessione è inevitabile dopo quella solenne cerimonia: rito di preghiera e di penitenza non soltanto cattolico ma interreligioso.
Così doveva essere e così è stato, almeno in apparenza.
In realtà il rito è apparso in prevalenza fortemente cattolico. I rappresentanti delle altre fedi sono apparsi assolutamente in secondo piano: così i protestanti, gli ortodossi, i musulmani, ecc.
Il papa di Roma assolutamente al centro.
Ma la vera interreligiosità non richiede la autentica parità dei partecipanti ?
La cerimonia di ieri appariva più come una esaltazione del papa che come una celebrazione della vera eguaglianza fra le varie fedi e della loro confessione comune di colpa.
Un altro episodio di quella «papolatria» che sta dilagando in Polonia e anche in Italia.
Una esaltazione del cattolicesimo che è apparsa tanto più stonata proprio perché celebrata là dove le principali vittime, quasi tutte, non erano state né cristiane né cattoliche ma ebree, mentre cristiani, anche se poco convinti, erano stati i carnefici.
Un altro colpo a quelle presunte «radici cristiane dell'Europa» che non pochi, compreso il papa, vorrebbero recuperare ed esaltare.
Un'altra faccia dell'antico e intramontabile antisemitismo.