Peccato contro natura?

Gabriella Lettini

(dal libro: Omosessualità, Claudiana editrice, pagg. 21-33)

Cosa la Bibbia dice e non dice

Per i cristiani e le cristiane che si propongono di riflettere sull'omosessualità da una prospettiva di fede, il confronto con le Scritture assume un' importanza fondamentale.

Ma il suo esito non è mai scontato. Succede spesso, infatti, che sulla base degli stessi testi biblici ci si ritrovi ad appoggiare risoluzioni etiche completamente opposte. Questo è vero in particolar modo per quanto riguarda l'omosessualità. Le discussioni sul tema finiscono spesso in una chiara polarizzazione: da una parte, chi ritiene senza ombra di dubbio che la Bibbia la condanni come un abominio agli occhi di Dio; dall'altra chi pensa, invece, che il messaggio evangelico non comporti affatto tale condanna.

È dunque evidente che la discussione sull'omosessualità, in ambito cristiano, diventa presto una discussione su come leggiamo la Bibbia. In ambito protestante, in particolare, questa discussione si fa particolarmente accesa, vista la centralità e unicità che la Scrittura occupa nella nostra fede. Per i protestanti, il sola Scrittura significa che la rivelazione divina ha un primato fondamentale sulla sapienza, sulle leggi e le tradizioni umane, e che, dunque, la Parola di Dio rivelata nella Bibbia è per noi guida e insegnamento. La parola di Dio è «una lampada al nostro piede e luce sul nostro cammino», come dicono le parole del Salmo 119,105. Ma anche questa immagine non manca di contraddizioni, come il nostro rapporto con la Bibbia non manca di generare una serie di problemi. Come fa notare il filosofo ebreo francese Emmanuel Levinas, il cristianesimo occidentale ha sempre amato fare uso della metafora luce per parlare della verità. Ma spesso ci si è dimenticati che, quando si fa luce nelle tenebre, si proietta anche la propria ombra. La nostra visione delle cose è pur sempre parziale, viziata dalla nostra fisicità e umanità. E' possibile che chi ha scritto i testi biblici lo abbia fatto senza proiettare in qualche modo la sua ombra, cioè i propri valori culturali e morali, sulla parola di Dio?

A questa domanda noi protestanti rispondiamo in maniera diversa, non avendo un'autorità centrale che defìnisce quale sia una lettura «corretta» dei testi, in quanto crediamo che essi vadano letti e interpretati da ciascuno e ciascuna senza la mediazione di un'autorità ecclesiastica che predetermini il significato. C'è chi adotta un'interpretazione «letterale» del testo, che vede come rivelazione divina di per sé: una posizione che viene definita «fondamentalista». E c'è chi crede che la parola di Dio non possa incidere esattamente con le parole umane - e quindi legate a un determinato contesto storico, sociale e culturale - utilizzate da chi ha scritto la Bibbia (lettura cosiddetta «storico-critica»). Nella Bibbia troveremmo dunque una testimonianza umana della rivelazione di Dio.

Nel corso dei secoli, l'interpretazione biblica ha subito cambiamenti sostanziali. Per fare un esempio molto noto, circa centocinquant'anni fa, nel Sud degli Stati Uniti, a preminenza protestante, la schiavitù di uomini e donne neri era vista come un'istituzione ordinata da Dio e fondata su un certo ordine della creazione, secondo il quale uomini e donne nere sarebbero stati parte di una categoria di esseri sub-umani di poco superiore agli animali (la Bibbia, tra l'altro, non condanna la schiavitù). Numerosi trattati sull'argomento furono scritti da teologi e pastori, e stampati da società bibliche. Interpretazioni bibliche analoghe sono state alla base della teologia dell'apartheid in Sudafrica. Molte chiese, negli Stati Uniti ed in Sudafrica, confessano oggi la propria colpa per gli abusi nei confronti dei propri fratelli e sorelle e verso la Parola di Dio che avevano travisato e distorto. È cambiata la Bibbia o è cambiato il modo di leggere la Bibbia?

Noi oggi guardiamo con orrore a queste forme di abuso e oppressione giustificate a suon di versetti. Eppure penso che, come cristiani, non possiamo mai essere sicuri di non commettere altre ingiustizie, proprio sulla base dei testi biblici. Dobbiamo stare bene in guardia, visto che la nostra tradizione è macchiata da una serie infinita di tragici errori d'interpretazione, basata non solo su incomprensioni culturali, ma anche su scelte di comodo, su interpretazioni che guarda caso, finivano per incrementare proprio i nostri interessi: basti pensare al substrato culturale fornito allo sterminio degli ebrei e delle popolazioni native americane. Altro esempio classico è quello della subordinazione e oppressione della donna all'interno della tradizione cristiana. La Bibbia è stata scritta in un contesto storico e culturale che vedeva la donna come oggetto di proprietà dell'uomo dal punto di vista economico, sessuale e giuridico, e ne è stata fortemente influenzata. Il messaggio liberatorio e dirompente di Gesù Cristo non è stato colto nella sua pienezza così da cambiare subito tale situazione, in modo chiaro, inequivocabile e definitivo. La tradizione cristiana ha preferito svilupparsi sulla linea del contesto storico e culturale del tempo, invece che seguire gli insegnamenti radicali e rivoluzionari di Gesù. Oggi molte chiese, teologi e credenti riconoscono la natura patriarcale del contesto storico in cui i testi biblici sono stati letti e interpretati, mentre altri cristiani, che adottano un'interpretazione «letterale» delle Scritture, pensano che i gruppi cristiani più aperti si siano lasciati trascinare dalle «mode», quali la lotta per l'emancipazione della donna e il femminismo, e abbiano dimenticato gli insegnamenti biblici che danno alla donna un ruolo ben preciso, di complementarità nella soggezione rispetto all'uomo.

I versetti «incriminati»

A questo punto penso che sia fondamentale soffermarsi su alcuni dei passi e versetti che vengono normalmente citati nell'ambito della discussione sull'omosessualità. Tuttavia, prima di andare avanti vorrei condividere con voi alcuni dei miei fondamentali criteri d'interpretazione.

In primo luogo, credo che l'evangelo non sia mai contenuto in un solo versetto. Non solo ogni versetto biblico, per essere compreso, va situato nel suo contesto storico, culturale e letterario, ma va sempre messo in tensione critica con gli altri testi.

Questo mi porta al secondo criterio: io leggo la Bibbia alla luce del messaggio d'amore, grazia e liberazione datoci da Dio già nelle Scritture ebraiche (l'Antico Testamento) e poi in Gesù Cristo nelle Scritture cristiane (il Nuovo Testamento). Questo, per me, è l'evangelo, la buona notizia. Se non riconoscessi la centralità di questo messaggio di salvezza, la Bibbia potrebbe apparirmi come una raccolta di racconti, detti e poesie più o meno «datati» e a volte in contraddizione fra loro.

Infine, credo che la Bibbia abbia molto da dirci su come vivere oggi. Ma non la leggo come se fosse un libro di ricette, da seguire alla lettera per arrivare quasi alla perfezione. Essa non ha prescrizione etiche dettagliate e adatte a ogni situazione. Per me, è piuttosto simile a una cassetta degli attrezzi, dove possiamo trovare gli strumenti che ci aiutino a costruire una vita che possa essere gradita agli occhi di Dio.

Il peccato di Sodoma (Genesi 19,7-25)

Qual era il peccato di Sodoma? Una tradizione vuole ci fosse proprio l'omosessualità (da qui il termine sodomia). Le città di Sodoma e Gomorra sarebbero state distrutte da Dio perché si sarebbero macchiate di questo peccato. Molti interpreti biblici contemporanei non sono però d'accordo con questa interpretazione. Nel capitolo 18 di Genesi, Dio manda due angeli a Sodoma, dove Lot, il nipote di Abramo, li persuade ad accettare l'ospitalità della sua casa. Nel capitolo successivo, i vicini di Lot gli chiedono di far uscire i due ospiti, così che essi «potessero conoscerli». Il temine ebraico usato, yadha, generalmente significa «avere una conoscenza completa»; potrebbe riferirsi a voler esaminare le credenziali dei visitatori. Tuttavia, in molti casi indicala conoscenza carnale. Se così fosse - ed è l'interpretazione più attestata - il racconto si riferirebbe a un tentativo di stupro di gruppo. Nell'antichità, alcune società sottoponevano gli stranieri, le popolazioni vinte o coloro che avevano oltrepassato una certa frontiera, alla penetrazione fallica, usata come segno di subordinazione e sottomissione. Ma Lot sa che già Abramo, intrattenendo due stranieri, aveva in realtà ospitato due messaggeri di Dio (Genesi 18,1-15). Per non permettere dunque questa abietta violazione dei codici d'ospitalità, Lot cerca di proteggere i suoi ospiti offrendo alla folla impazzita le proprie due figlie. Certo un'azione ingiustificabile e deplorevole secondo la nostra sensibilità, ma che non viene commentata nel testo. Comunque, la gente di Sodoma rifiuta l'offerta, e gli angeli li rendono ciechi. Lot e la sua famiglia vengono messi in salvo dagli angeli, e Sodoma e Gomorra vengono distrutte. Innumerevoli commenti sono stati fatti a proposito di questo racconto. Perché Dio condanna queste due città ancor prima di questo terribile incidente? Se il problema era di natura prettamente sessuale, sorge una serie di domande. Nei capitoli successivi, Lot commette incesto con le fìglie (Genesi 19,30-38). Il tabù nei confronti dell'incesto è uno dei più forti in moltissime culture, dall'antichità a oggi. Se Dio distrugge Sodoma e Gomorra perché condanna l'omosessualità, e protegge Lot che prima offre le fìglie vergini per essere violentate dalla sfolla e poi ha rapporti sessuali con loro, vuol dire che la violenza sulle donne e l'incesto sono comportamenti sessuali accettabili? Inoltre, quando in altri passi biblici si fa riferimento a questo testo, non si parla mai semplicemente di omosessualità. Se anche i Sodomiti volessero proprio violentare i due stranieri, questo atto di violenza di per sé non avrebbe nulla a che vedere con l'omosessualità in generale. In primo luogo, la violenza sessuale è sempre un'aberrazione della sessualità, che sia compiuta da omosessuali o da eterosessuali. In secondo luogo, sappiamo bene che lo stupro è stato, ed è spesso usato come strumento di potere, a livello individuale e collettivo, come ci ricorda la tragedia degli stupri di massa nella ex Jugoslavia, Infine, è bene ricordare che, anche in epoca moderna, in caserme, carceri, campi di concentramento, collegi, bande giovanili, lo stupro di uomini etero o omosessuali da parte di maschi eterosessuali è stato ed è praticato spesso, non per soddisfare un istinto sessuale, ma come strumento per infliggere dolore, provocare vergogna, asserire il proprio disprezzo e affermare il proprio potere sulla vittima. La violenza che i sodomiti volevano praticare sugli stranieri è espressione del loro odio per il diverso, che dei loro costumi sessuali.

Il libro del profeta Ezechiele fa riferimento al racconto della distruzione di Sodoma: al capitolo 16, Dio si rivolge così alla città di Gerusalemme: «Questa è stata la colpa Sodoma: era orgogliosa di vivere nell'abbondanza e nella sicurezza. Non aveva preoccupazioni, tuttavia non ha aiutato i poveri e gli oppressi. È diventata arrogante e ha commesso azioni che io detesto. Allora io l'ho fatta scomparire dalla faccia della terra come tu sai» (Ezechiele 16, 49-50). È chiaro che il peccato di cui si parla in questi versetti si riferisce all'ingiustizia e all'idolatria.

I divieti del Levitico

Quando si parla di omosessualità, molti credenti fanno riferimento ai divieti del Levitico: «Non dovete avere relazioni sessuali con un uomo come si hanno con una donna è una pratica mostruosa» (Lev. 18,22), e ancora «Se un uomo ha relazioni con un altro uomo, fa una cosa disgustosa e tutti e due devono essere messi a morte. Essi sono responsabili della loro morte» (Lev. 20,13). Secondo molti cristiani, questi versetti condannerebbero in modo inequivocabile l'omosessualità, e senza dubbio il loro significato non lascia spazio per altre interpretazioni. Tuttavia, chi li utilizza per una condanna pura e semplice dell'omosessualità, si dimentica di situarli nel più ampio contesto culturale e storico del libro in cui essi si trovano. Questo non è un ennesimo tentativo di arrampicarsi sugli specchi per dimorare l'indimostrabile, ma un richiamo all'onestà: chi, fra i cristiani del XX secolo, si sognerebbe di interpretare come legge del Signore tutte le altre regole presenti nel libro del Levitico? Esso è un codice di santità, una sorta di manuale che insegna a eliminare ogni cosa che ostacola la comunione con Dio, Offre regole per i sacrifìci, che noi non compiamo. È estremamente preoccupato del concetto di purità, che oppone alla «sporcizia» e alla «contaminazione», cose che allontanerebbero da Dio. Per esempio, vieta di mangiare il maiale, «perché ha l'unghia divisa, ma non rumina» (Lev. 11,7). Quando si riferisce alle donne, il Levitico riveda chiaramente il profondo pregiudizio di una società patriarcale: la donna è impura quando ha le mestruazioni oppure dopo il parto, e deve sottoporsi a un periodo di purificazione e offrire dei sacrifìci prima di essere riammessa nella comunità (Lev. 12). Proprio alcuni versetti prima di parlare dell'omosessualità, il Levitico (Lev. 18,7) vieta a un uomo di avere rapporti sessuali con una delle donne del parlare (chiaramente non la madre): oggi noi non giustifichiamo certo la poligamia. Spesso, poi, non siamo attenti a osservare le prescrizioni relative alla giustizia sociale. Per esempio, sarebbe vietato chiedere interessi per un prestito concesso a una persona nel bisogno, sia essa nostra connazionale o straniera (Lev. 25,35-37). Non si vedono molti cristiani protestare indignati davanti a banche e società fiduciarie. L'esempio del Levitico è un classico esempio dell'incoerenza, se non dell'ipocrisia, delle interpretazioni «letteralistiche» della Bibbia. Chi accusa altri cristiani di scegliere solo quello che li aggrada dalla Bibbia, dovrebbe interrogarsi seriamente sulla propria pratica di prendere alcuni versetti come rivelazione ultima di Dio su un certo argomento, per poi dimenticare completamente gli altri. Sarebbe più serio e coerente riflettere su come possiamo davvero incontrare la parola di Dio in una raccolta dì libri scritti da persone viventi in altri tempi e contesti storici. Inoltre, sarebbe anche bene imparare a confrontarsi in modo critico con gli interessi o i pregiudizi che ci accompagni quando leggiamo la Bibbia. Potremmo scoprire che la nostra paura nei confronti dell'omosessualità ci sta influenzando in modo significativo.

È fondamentale sottolineare che i rapporti omosessuali conosciuti da chi ha scritto i testi biblici - quali la prostìtuzione sacra tipica di tanti culti pagani, la pederastìa, la violenza sui vinti - non sono affatto le relazioni d'amore, paritarie, consenzienti e durature che conosciamo nelle nostre società. Questo sarà ancora più evidente quando discuteremo gli scritti dell'apostolo Paolo. Infine, l'esegeta Normann Gottwald ci ricorda che nell'antico Israele l'omosessualità maschile era molto probabilmente aborrita in quanto comportava quello che veniva visto come uno spreco di seme maschile. In una cultura che attribuiva un valore altissimo alla fertilità e alla procreazione, e che pensava che lo sperma «fecondante» fosse limitato in termini di quantità e potenza, un uomo che sprecava il proprio seme metteva in serio pericolo la progenie della propria famiglia, disonorandola e portandola alla rovina. La dispersione del seme è vista in modo negativo anche all'intemo di rapporti eterosessuali. In un racconto del libro della Genesi, un uomo, Onan, che disperde per terra il proprio seme dopo aver avuto rapporti sessuali con la moglie, viene messo a morte da Dio (Gen. 38,1-11). Proprio da Onan deriva il nostro termine onanismo, che si riferisce al coito interrotto e alla masturbazione.

La posizione dell'apostolo Paolo

La maggior parte dei libri del Nuovo Testamento, inclusi i Vangeli, non affronta il tema dell'omosessualità. Paolo è l'unico autore che vi faccia riferimento. Una delle sue affermazioni più lapidarie si trova al capitolo 1 della lettera ai Romani: «Perciò gli uomini non hanno alcun motivo di scusa: hanno conosciuto Dio, poi si sono rifiutati di adorarlo e ringraziarlo come Dio. Si sono smarriti in stupidi ragionamenti e così non hanno capito più nulla. Essi, che pretendono di essere sapienti, sono impazziti, adorano immagini dell'uomo mortale, di uccelli, di quadrupedi e di rettili, invece di adorare il Dio glorioso ed immortale. Per questo, Dio li ha abbandonati ai loro desideri... Dio li ha abbandonati lasciandoli travolgere da passioni vergognose: le loro donne hanno avuto rapporti sessuali contro natura, invece di seguire quelli naturali. Anche gli uomini, invece di avere rapporti con le donne, si sono infiammati di passione gli uni per gli altri. Uomini con uomini commettono azioni turpi, e ricevono così in loro stessi il giusto castigo per questo traviamento» (Rom. 1,20-24,26-27).

Romani 1,26 è l'unico versetto nella Bibbia ad avere un possibile riferimento al lesbismo. Ma il suo significato non è chiaro, tanto che alcuni commentatori vi hanno visto un riferimento a rapporti eterosessuali in cui la donna aveva un ruolo dominante: anche questo, nella società patriarcale del tempo, poteva esser visto come un comportamento contro natura.

Per capire meglio le affermazioni di Paolo, bisogna prendere in considerazione il contesto culturale greco-romano in cui prostituzione maschile e pederastìa erano molto comuni. Paolo potrebbe avere in mente questo tipo di relazioni abusive e degradanti, invece di aver avuto esperienze di relazioni durature di coppie omosessuali basate sul rispetto e sull'amore. L'esegeta nordamericano Robin Scrogg non ha dubbi in proposito: l'omosessualità a cui si oppone il Nuovo Testamento sarebbe la pederastìa, che era una pratica comune nel mondo greco-romano. Altri interpreti si interrogano sul significato di para physin, ovvero contro natura. In termini moderni, questa espressione potrebbe anche indicare un rapporto che va contro il proprio naturale orientamento sessuale. Se accettiamo che l'omosessualità è una cosa naturale, allora un rapporto contro natura potrebbe essere quello di un uomo gay che si imponga di vivere come un eterosessuale. Compiere atti contro natura potrebbe anche essere il non accettare la condizione nella quale si è stati creati, compreso l'orientamento sessuale.

Il teologo biblico statunitense William Countryman porta un interessante contributo al dibattito su questo passo, affermando che l'interpretazione corrente per cui Paolo si stia riferendo all'omosessualità usando la categoria del peccato deve essere radicalmente riveduta. Il peccato di cui Paolo sta parlando in riferimento ai pagani sarebbe l'idolatria. L'omosessualità sarebbe un aspetto sgradevole e riprovevole della cultura dei pagani, che non era di per sé peccato, ma aveva colpito la cultura pagana come punizione per la loro idolatria.

Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo si esprime duramente nei confronti di coloro che, per il loro comportamento, non entreranno nel regno di Dio: «Non illudetevi: nel regno di Dio non entreranno gli immorali, gli adoratori di idoli, i adulteri, i maniaci sessuali, i ladri, gli invidiosi, gli ubriaconi, i calunniatori, i delinquenti». Purtroppo, molti cristiani hanno ancora nelle orecchie traduzioni del tutto inadeguate, dove il termine greco malakos (letteralmente: «molle») era reso con «effeminato», mentre molto più probabilmente riferisce a qualcuno che manca di dirittura morale. In altri passi del Nuovo Testamento, infatti, questo termine non viene mai usato con una connotazione sessuale. Similmente, parola greca arsenokoitai, composta da un termine che signifìca maschi e uno che significa letti, è stata spesso tratta con omosessualità. Ma la tradizione esatta di questa parola, presente solo un'altra volte nel Nuovo Testamento, è alquanto discutibile. Secondo John Boswell, autore di numerosi studi sull'omosessualità nella Bibbia e nella tradizione cristiana, arsenokoitai potrebbe molto probabilmente ferirsi alla prostituzione maschile, ampiamente praticata tra i pagani e che Paolo considera come cosa impura e sconveniente.

Il silenzio di Gesù

Nei Vangeli non troviamo nessuna forma di condanna dei confronti dell'omosessualità. Secondo il vescovo episcopale statunitense John Shelby Spong, che molto ha scritto e molto si è battuto per portare la sua chiesa a sviluppare un nuovo atteggiamento nei confronti dell'omosessualità, questo silenzio sarebbe già il segno che questo per Gesù non costituiva un problema fondamentale, e forse non era affatto un problema. Secondo alcuni esegeti, tuttavia, almeno un racconto neotestamentario metterebbe Gesù in contatto con una persona che era, molto probabilmente, omosessuale: è il racconto della guarigione del servo del centurione romano (Matteo 8,5-13, Luca 7,1-10). I due Vangeli usano due termini greci diversi per parlare del servitore: per Matteo è un pois, un ragazzo, per Luca un doulos, un servo. In entrambi i casi, il termine potrebbe riferirsi al costume, abbastanza diffuso nella società romana, di avere al proprio seguito un giovane che era al tempo stesso compagno e servitore. Il testo di Luca (Luca 7,2) sottolinea che questo servitore era «molto caro» al centurione romano, usando il termine entimos, che si traduce con prezioso, caro, importante. L'ufficiale romano era dunque «molto affezionato» (così la Traduzione interconfessionale in lingua corrente, la TILC) a quest'uomo ora in punto di morte, tanto da andare da Gesù e chiedergli di guarirlo. Se tale interpretazione è corretta, il comportamento di Gesù assume per la nostra riflessione una valenza particolare. Gesù non giudica in nessun modo la relazione dei due come «sospetta», ma loda anzi il centurione, un pagano, per la sua fede. Infine, guarisce l'infermo. Questa è una storia di fede, amore e compassione, non di condanna e durezza di cuore.