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"IL PAPA SBAGLIA, LE RADICI DELL'ISLAM NON SONO VIOLENTE" Intervista a Emad Gad


l'Unità - 17 settembre 2006
 di Umberto De Giovannangeli


«Sul piano diplomatico il discorso di Ratisbona può rappresentare un incidente con i Paesi islamici che il Vaticano intende chiudere in fretta e col minor danno possibile. Non sarà facile. Perché le affermazioni di Papa Benedetto XVI hanno aperto una ferita nella coscienza collettiva del mondo musulmano difficile da rimarginare». A sostenerlo è Emad Gad, tra i più autorevoli ricercatori del Centro di studi strategici di al Ahram del Cairo. «Ciò che colpisce maggiormente nelle considerazioni del Papa - sottolinea il professor Gad - è l'aver abbracciato la tesi, non nuova nel cristianesimo, secondo cui l'Islam si è diffuso con la forza della spada, acquisendo sin dalle origini quella dimensione di religione militante che non poteva che sfociare nel fondamentalismo prima e nella sua ulteriore deriva integralista poi. Il fatto grave è che questa tesi sia stata assunta, rilanciata, sistematizzata da colui che rappresenta la Chiesa cattolica», afferma lo studioso egiziano. È come se Benedetto XVI, riflette ancora Emad Gad, «avesse voluto dare una sistematicità teoretica alle diffidenze e alle paure che l'Occidente coltiva non solo nei confronti dell'Islam politico ma dell'Islam tout court che, in questa visione, contiene in sé, nei suoi testi sacri, nei suoi dogmi, nella sua storia, i germi della religione militante, aggressiva, ispiratrice di violenza».
E al centro di questa lettura dell'Is-lam c'è l'interpretazione che nel discorso di Ratisbona Joseph Ratzinger dà del concetto di Jihad. «Quella offerta dal Papa - riflette il professor Gad - è una lettura parziale e al contempo assolutizzante del concetto di Jihad. Parziale, perché sembra prescindere dalla considerazione che nel mondo islamico vi sono più letture e interpretazioni del concetto di Jihad. Il Papa sembra fare sua la lettura più radicale e l'assolutizza. Si tratta di una forzatura non solo dannosa per le conseguenze che può innescare ma errata sul piano concettuale. A deludere, in questa occasione, non è stato solo Ratzinger Papa ma il Ratzinger teologo. Il dialogo interreligioso per essere davvero fecondo deve basarsi su due presupposti fondamentali: la conoscenza e il rispetto reciproci».
Professor Gad, il mondo islamico ha reagito con sdegno al discorso di Ratisbona pronunciato da Benedetto XVI. La Santa Sede sostiene che si sia trattato di un fraintendimento. Autorità politiche e religiose musulmane chiedono al Papa di scusarsi.
«Al capo della Chiesa cattolica più che scuse - la sincerità del suo dispiacere non è in discussione - chiederei un serio ripensamento autocritico su quanto sostenuto a Ratisbona. Il rilancio del dialogo, non solo interreligioso, tra Occidente cattolico e mondo islamico ne ha assoluto bisogno».
Nei Paesi islamici anche i commentatori più moderati sono rimasti colpiti dal fatto che, nel suo discorso di Ratisbona, Benedetto XVI abbia fatto riferimento ad un imperatore bizantino del 14mo secolo Michele II il Paleologo, secondo il quale Maometto non aveva portato nulla di nuovo «se non delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere con il mezzo della spada la fede che egli predicava».
«Sia chiaro: il Papa non ha detto nulla di nuovo, le sue opinioni rappresentano quelle consolidate nel cristianesimo, ma che lo affermi così è un problema. Un grave problema. Per il contesto, il momento storico, e per il fatto, tutt'altro che secondario, che il dotto teologo Ratzinger supporta con la sistematicità del suo ragionare, direi con la razionalità, l'allarme lanciato dal Papa Ratzinger sulle radici militanti, e dunque violente, dell'Islam. La gravità di quelle considerazioni è moltiplicata dall'autorità di chi le ha pronunciate. È come se Benedetto XVI abbia inteso offrire una corazza identitaria a un Occidente in cerca di certezze. Ma questa "certezza" non può essere quella di dover far fronte al Nemico islamico».
La Santa Sede ribatte sostenendo che il Papa si sia scagliato non contro l'Islam ma contro la Jihad.
«Qui è avvenuta una forzatura semplificatrice inaccettabile e densa di rischi. Non vi è dubbio che il Corano accetta il concetto di jihad (guerra santa, ndr) ma come non riconoscere il fatto che nel mondo musulmano vi sono, e si scontrano, concezioni diverse relative alla jihad, sul suo significato, sul modo di condurla. Come sottacere il fatto che c'è chi sostiene che essa sia solo un mezzo di difesa in caso di attacco e che comunque mai l'Islam abbia imposto con le armi la conversione. Nel discorso del Papa a Ratisbona, nei suoi riferimenti storici, nelle sue citazioni, si fa strada l'assolutizzazio-ne della concezione più estrema della Jihad. È come se la teologia di Ratzinger s'integrasse con l'impianto analitico che Samuel Hungtinton pone alla base della sua teoria dello "Scontro di civiltà"».
La protesta nel mondo arabo sta assumendo forme violente. Chiese assaltate, minacce a Roma e al Vaticano.
«Tutto ciò va condannato senza esitazione. Non solo perché sbagliato in sé ma anche perché la protesta violenta alimenta in Occidente l'immagine di un Islam intollerante, estremista, fanatico. I luoghi di culto, siano essi Chiese, Moschee o Sinagoghe, vanno difesi e mai oltraggiati. C'è il rischio che la reazione possa degenerare come e più di ciò che avvenne con le caricature di Maometto. I gruppi radicali soffiano sul fuoco della protesta per fini politici, di potere. Dobbiamo evitare ogni degenerazione violenta, e dobbiamo farlo proprio in nome di quell'Islam del dialogo che non intende farsi arruolare nelle fila dei jihadisti antioccidentali e che, proprio in nome di quei valori di tolleranza e di rispetto verso le altrui convinzioni religiose, può dire a Papa Benedetto XVI: hai sbagliato ma resti un interlocutore con cui dialogare. Alla pari, nel rispetto reciproco».