LO STRAPPO DI RATZINGER
La débacle in cui è precipitata la Santa Sede
dopo Regensburg, una vera e propria Waterloo che ha costretto il pontefice a
scusarsi personalmente e pubblicamente, è molto più che un incidente di
comunicazione. L´infelice citazione anti-Maometto, seguita dalle violenti
reazioni del mondo islamico e dall´amara indignazione dei musulmani moderati
europei, ha portato violentemente alla luce lo strappo compiuto da Ratzinger nei
confronti della strategia condotta per oltre due decenni con successo da
Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla era tutt´altro che un buonista. Era
perfettamente consapevole sia degli elementi di violenza presenti nella
tradizione islamica sia delle pulsioni aggressive e intolleranti.
Pulsioni che contraddistinguono alcune parti del Corano e delle sue
interpretazioni e che sempre hanno convissuto con il comandamento della
tolleranza e del rispetto per i fedeli dei grandi monoteismi ebraico e
cristiano. Wojtyla non si nascondeva nulla e meno che mai la pericolosità del
rinascente fondamentalismo, che con l´avvento di Khomeini ha caratterizzato
proprio l´inizio del suo pontificato. Lo sanno i suoi intimi, lo sanno le
personalità che hanno potuto affrontare con lui l´argomento. Mistico di animo,
ma anche filosofo della storia e leader religioso-politico, Giovanni Paolo II ha
però costruito su questa analisi spassionata della realtà una strategia di
sistematico dialogo e coinvolgimento delle élite islamiche di tutto il mondo.
Da Casablanca al Cairo, dal Sudan alla Siria, a qualsiasi angolo in cui fosse
presente una rappresentanza musulmana significativa Giovanni Paolo II ha
predicato la fede comune nell´unico Dio dei figli di Abramo, la loro preghiera
comune – il suo sogno era di realizzarla anche sul Monte Sinai – e il comune
impegno di ebrei, cristiani e musulmani a favore della pace e della giustizia.
Non era retorica. Era la volontà di mettere insieme nel segno della fratellanza
spirituale una piattaforma condivisa da cui partire per ripudiare la violenza
religiosa, il terrorismo religiosamente motivato e qualsiasi manipolazione del
nome di Dio per giustificare di progetti sanguinari. Con questa impostazione
Giovanni Paolo II ha creato una rete di contatti e di rapporti di estrema
importanza in un´epoca in cui la «questione Islam» è esplosa a livello
planetario. Il Papa di Roma è diventato nel mondo musulmano un leader
spirituale rispettato e ascoltato, comunque mai identificato dalle élite
religiose e politiche come un «nemico occidentale».Tutto questo si è
tragicamente spezzato con i fatti di Regensburg (e vedremo se Ratzinger e il suo
Segretario di Stato riusciranno a rimontare la china), ma le origini risalgono
all´inizio dell´attuale pontificato. Già nella messa inaugurale Benedetto XVI
ha cancellato il riferimento ai rapporti fraterni con il monoteismo islamico. Di
colpo quel triangolo costruito da Giovanni Paolo II ha perso un pezzo, restando
solo il rapporto speciale tra ebraismo e cristianesimo. Poi Benedetto XVI ha
archiviato il ruolo autonomo del Consiglio per il dialogo interreligioso,
guidato da un esperto islamista di prima qualità come mons. Michael Fitzgerald,
mandato in esilio diplomatico al Cairo. L´apice di questo progressivo
declassamento si è raggiunto con il ventennale della grande preghiera
interreligiosa di Assisi, che papa Wojtyla convocò nel 1986. Quando l´anno
scorso i responsabili della Comunità di Sant´Egidio hanno chiesto a Ratzinger
come intendesse commemorare l´even-to, si sono sentiti rispondere garbatamente
che non c´era particolare motivo per celebrare un ventennale. Alla fine la
commemorazione si è fatta – ristretta in due giorni – e si è gridato al
miracolo per un messaggio di incoraggiamento del pontefice, che gli stessi
organizzatori fino alla vigilia non erano sicuri potesse arrivare. Conta però,
al di là delle dovute parole di elogio rivolte al predecessore, l´insistenza
con cui Benedetto XVI ha voluto rimarcare che ognuno doveva pregare per conto
suo, che non si dovessero fare confusioni, che si dovessero evitare «relativismi».
Insomma, la teoria del dialogo ma con ognuno ben trincerato a casa propria. Il
fatto che Benedetto XVI in varie occasioni abbia poi ribadito la volontà di
perseguire il dialogo con l´Islam, non cambia il mutamento qualitativo operato
nel suo approccio. Invece di partire dal Dio comune, Joseph Ratzinger è
tormentato dalle preoccupazioni che nascono dai messaggi di violenza intessuti
nel Corano, è dubbioso sulle reali capacità della religiosità islamica di
misurarsi con il problema della laicità, è assillato dagli interrogativi
riguardanti una fede che per lungo tempo ha ridotto gli spazi di una
interpretazione flessibile del testo sacro e che oggi in molte parti del mondo
è sottoposta ad una deriva fondamentalista di cui fanno parte come propaggine
estrema le schegge impazzite terroriste. Ragionamenti giusti, interrogativi
fondati che il pontefice ha cercato di sciogliere disegnando all´ateneo di
Regensburg l´immagine di una fede che si coniuga alla razionalità e che per ciò
stesso deve essere aliena dalla violenza. Ma il mondo non è un´aula
universitaria e i mutamenti in altre società religiose non avvengono ex
cathedra come Benedetto XVI consciamente o inconsciamente sembra portato a
credere. In Vaticano una strategia verso l´Islam ora è tutta da ricostruire.