HOME PAGE          SOMMARIO TEMI


LO STRAPPO DI RATZINGER


la Repubblica - 18 settembre 2006
 di Marco Politi

La débacle in cui è precipitata la Santa Sede dopo Regensburg, una vera e propria Waterloo che ha costretto il pontefice a scusarsi personalmente e pubblicamente, è molto più che un incidente di comunicazione. L´infelice citazione anti-Maometto, seguita dalle violenti reazioni del mondo islamico e dall´amara indignazione dei musulmani moderati europei, ha portato violentemente alla luce lo strappo compiuto da Ratzinger nei confronti della strategia condotta per oltre due decenni con successo da Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla era tutt´altro che un buonista. Era perfettamente consapevole sia degli elementi di violenza presenti nella tradizione islamica sia delle pulsioni aggressive e intolleranti.
Pulsioni che contraddistinguono alcune parti del Corano e delle sue interpretazioni e che sempre hanno convissuto con il comandamento della tolleranza e del rispetto per i fedeli dei grandi monoteismi ebraico e cristiano. Wojtyla non si nascondeva nulla e meno che mai la pericolosità del rinascente fondamentalismo, che con l´avvento di Khomeini ha caratterizzato proprio l´inizio del suo pontificato. Lo sanno i suoi intimi, lo sanno le personalità che hanno potuto affrontare con lui l´argomento. Mistico di animo, ma anche filosofo della storia e leader religioso-politico, Giovanni Paolo II ha però costruito su questa analisi spassionata della realtà una strategia di sistematico dialogo e coinvolgimento delle élite islamiche di tutto il mondo. Da Casablanca al Cairo, dal Sudan alla Siria, a qualsiasi angolo in cui fosse presente una rappresentanza musulmana significativa Giovanni Paolo II ha predicato la fede comune nell´unico Dio dei figli di Abramo, la loro preghiera comune – il suo sogno era di realizzarla anche sul Monte Sinai – e il comune impegno di ebrei, cristiani e musulmani a favore della pace e della giustizia. Non era retorica. Era la volontà di mettere insieme nel segno della fratellanza spirituale una piattaforma condivisa da cui partire per ripudiare la violenza religiosa, il terrorismo religiosamente motivato e qualsiasi manipolazione del nome di Dio per giustificare di progetti sanguinari. Con questa impostazione Giovanni Paolo II ha creato una rete di contatti e di rapporti di estrema importanza in un´epoca in cui la «questione Islam» è esplosa a livello planetario. Il Papa di Roma è diventato nel mondo musulmano un leader spirituale rispettato e ascoltato, comunque mai identificato dalle élite religiose e politiche come un «nemico occidentale».Tutto questo si è tragicamente spezzato con i fatti di Regensburg (e vedremo se Ratzinger e il suo Segretario di Stato riusciranno a rimontare la china), ma le origini risalgono all´inizio dell´attuale pontificato. Già nella messa inaugurale Benedetto XVI ha cancellato il riferimento ai rapporti fraterni con il monoteismo islamico. Di colpo quel triangolo costruito da Giovanni Paolo II ha perso un pezzo, restando solo il rapporto speciale tra ebraismo e cristianesimo. Poi Benedetto XVI ha archiviato il ruolo autonomo del Consiglio per il dialogo interreligioso, guidato da un esperto islamista di prima qualità come mons. Michael Fitzgerald, mandato in esilio diplomatico al Cairo. L´apice di questo progressivo declassamento si è raggiunto con il ventennale della grande preghiera interreligiosa di Assisi, che papa Wojtyla convocò nel 1986. Quando l´anno scorso i responsabili della Comunità di Sant´Egidio hanno chiesto a Ratzinger come intendesse commemorare l´even-to, si sono sentiti rispondere garbatamente che non c´era particolare motivo per celebrare un ventennale. Alla fine la commemorazione si è fatta – ristretta in due giorni – e si è gridato al miracolo per un messaggio di incoraggiamento del pontefice, che gli stessi organizzatori fino alla vigilia non erano sicuri potesse arrivare. Conta però, al di là delle dovute parole di elogio rivolte al predecessore, l´insistenza con cui Benedetto XVI ha voluto rimarcare che ognuno doveva pregare per conto suo, che non si dovessero fare confusioni, che si dovessero evitare «relativismi». Insomma, la teoria del dialogo ma con ognuno ben trincerato a casa propria. Il fatto che Benedetto XVI in varie occasioni abbia poi ribadito la volontà di perseguire il dialogo con l´Islam, non cambia il mutamento qualitativo operato nel suo approccio. Invece di partire dal Dio comune, Joseph Ratzinger è tormentato dalle preoccupazioni che nascono dai messaggi di violenza intessuti nel Corano, è dubbioso sulle reali capacità della religiosità islamica di misurarsi con il problema della laicità, è assillato dagli interrogativi riguardanti una fede che per lungo tempo ha ridotto gli spazi di una interpretazione flessibile del testo sacro e che oggi in molte parti del mondo è sottoposta ad una deriva fondamentalista di cui fanno parte come propaggine estrema le schegge impazzite terroriste. Ragionamenti giusti, interrogativi fondati che il pontefice ha cercato di sciogliere disegnando all´ateneo di Regensburg l´immagine di una fede che si coniuga alla razionalità e che per ciò stesso deve essere aliena dalla violenza. Ma il mondo non è un´aula universitaria e i mutamenti in altre società religiose non avvengono ex cathedra come Benedetto XVI consciamente o inconsciamente sembra portato a credere. In Vaticano una strategia verso l´Islam ora è tutta da ricostruire.