Fonte: http://www.truthout.org/docs_2006/021006A.shtml
Tradotto da Elena Cortellini per Nuovi Mondi Media
chi è Pilger Jhon
Washington
attaccherà l'Iran per dimostrare a tutti noi che, nonostante i problemi con
l’Iraq, gli Usa sono in grado di combattere e vincere simultaneamente più
guerre?
Alla fine Tony Blair, il piccolo
Cesare, ha attraversato il Rubicone? Dopo aver sovvertito le leggi del mondo
civile, contribuito a provocare una strage contro una popolazione indifesa e
mandato al massacro parte della sua, dopo aver mentito ripetutamente e citato la
morte di centinaia di soldati inglesi per autocommiserarsi, sta davvero per
commettere un nuovo crimine prima di andarsene?
Probabilmente Blair si trova ora in una
situazione decisamente precaria, come molti hanno suggerito. Il potere porta una
certa dose di pazzia a chi ne abusa, specialmente a chi è naturalmente
predisposto ad abusarne. In The March Of Folly: From Troy To Vietnam, la grande
storiografa americana Barbara Tuchman traccia un ritratto di Lindon B. Jonhson,
il presidente che a causa della sua folle politica attraversò il Rubicone in
Vietnam. “Gli mancava l’ambivalenza di John Kennedy, un po’ di senso
storico, e la capacità di riflettere”, scrive. “Energico, dominatore, un
uomo infatuato di sè, Johnson fu condizionato durante la guerra in Vietnam da
tre caratteristiche fondamentali del suo stesso carattere: un ego insaziabile,
ma mai sicuro di sè; un’infinita capacità di imporre senza inibizioni i
poteri derivanti dal suo mandato; un profondo rifiuto verso ogni idea contraria,
una volta prefissatosi uno scopo preciso”.
Lo stesso discorso vale per Bush,
Cheney, Rumsfeld e tutta la conventicola che ha preso il potere a Washington. Ma
c’è una logica nella loro idiozia – che ha come scopo il predominio. Tale
logica si presta perfettamente anche per parlare di Tony Blair, il cui unico
fine è la vanagloria. Ora sta minacciando di portare la Gran Bretagna
nell’incubo di una guerra in Iran. I suoi superiori a Washington ancora non
hanno richiesto truppe inglesi, per il momento. Inizialmente preferiranno
bombardare da un’altezza sicura, come fece Bill Clinton durante la distruzione
della Yugoslavia. Sono consapevoli del fatto che gli iraniani, come i serbi,
sono un popolo che non scherza, e che sono capaci di difendersi quando si
trovano stretti nella morsa di un lungo assedio. Proprio come gli iracheni nel
2003. Quando il ministro della difesa iraniano promette una “risposta
schiacciante” si può star certi che dica sul serio. Ascoltate quello che ha
detto Blair alla Camera dei Comuni: “È importante dare un segnale di forza”
contro un regime che “ha abbandonato la diplomazia”, sta “esportando il
terrorismo” e sta “facendosi beffe degli obblighi internazionali”.
Dette da una persona che ha portato il
terrorismo fuori dall’Iran, che è scandalosamente venuto meno agli obblighi
internazionali della Gran Bretagna e che ha sostituito la diplomazia con la
forza bruta, queste sembrano le parole di Alice attraverso lo specchio. In ogni
caso, cominciano avere senso quando si vanno a leggere i discorsi di Blair
sull’Iraq, esposti alla Camera il 25 febbraio e il 18 marzo. In entrambi i
dibattiti cruciali (l’ultimo riguardava il voto sull’invasione) ha usato la
medesima espressione per dire che sarebbe rimasto fedele ad una risoluzione
pacifica.
"Ancora oggi stiamo offrendo a
Saddam la prospettiva di un disarmo volontario...”, ha dichiarato. Dalle
rivelazioni contenute nel libro di Philippe Sand, Lawless World il livello di
menzogna raggiunto è chiaro. Il 31 gennaio 2003 Bush e Blair hanno confermato
il pre-esistente impegno segreto di attaccare l’Iraq.
Proprio come l’invasione in Iraq,
anche quella in Iran è gia stata pianificata, e questo non ha niente ha che
fare con l’immaginario regime di Teheran e le sue presunte armi di distruzione
di massa. Washington è riuscita a costringere alcuni membri dell’Atomic
Energy Agency a partecipare ad una finta diplomazia, esattamente come nel 1991
plagiò la comunità internazionale convincendoli come fosse necessario
attaccare l’Iraq. L’Iran non costituisce una minaccia nucleare. Non esiste
prova che possegga le centrifughe necessarie per arricchire l’uranio e
trasformarlo in un’arma letale. Il capo della IAEA, Mohamed El Baradei, ha più
volte ripetuto che gli ispettori non hanno mai trovato nulla che potesse
supportare le denunce degli Stati Uniti e di Israele. L’Iran non ha fatto
nulla di illegale: ha dimostrato di non avere ambizioni territoriali e di non
impegnarsi nell’occupazione di un paese straniero – diversamente da quanto
hanno fatto America, Gran Bretagna e Israele. Si è conformato agli obblighi
sulla non proliferazione del nucleare e ha permesso agli ispettori di “andare
ovunque e vedere tutto” – al contrario degli Stati Uniti e di Israele.
Quest’ultimo poi si è rifiutato di riconoscere il trattato di non
proliferazione, e possiede tra le 200 e le 500 armi termonucleari, puntate verso
l’Iran e altri stati del Medio Oriente.
Quelli che si fanno beffe del trattato
sono gli Usa, la Gran Bretagna e i loro compagni prediletti. Sia l’India che
il Pakistan stanno segretamente costruendo armi nucleari, a dispetto del
trattato. La dittatura militare del Pakistan ha apertamente esportato la sua
tecnologia. La scusa a cui Bush si è aggrappato è la sospensione da parte
dell’Iran della “condivisione delle tecniche di costruzione”, atto
puramente volontario che l’Iran aveva firmato assieme a Gran Bretagna, Francia
e Germania per placare gli Stati Uniti e dimostrare come fossero al di sopra di
ogni sospetto. Sono stati posti sigilli sugli equipaggiamenti nucleari, a
seguito di una concessione data dai negoziatori iraniani, ma che nulla aveva a
che vedere con il trattato di non proliferazione.
L’Iran ha sempre reclamato il proprio
“diritto inalienabile” di arricchire l’uranio per scopi pacifici, come
sottoscritto nel trattato. Non c’è dubbio che questa decisione rifletta il
fermento interno alla vita politica di Teheran e la tensione tra forze moderate
e radicali, tra le quali quella del bellicoso nuovo presidente Mahmoud
Ahmadinejad. I governi europei sembrano capirlo; questo richiede vera
diplomazia, specialmente nel momento storico in cui ci troviamo.
Per più di mezzo secolo la Gran
Bretagna e l’America hanno minacciato l’Iran. Nel 1953, la CIA e il MI6
rovesciarono il governo democratico di Muhammed Mossadeq, un nazionalista
ispirato che credeva che il petrolio iraniano dovesse appartenere all’Iran.
Instaurarono uno Scià corruttibile e, attraverso una mostruosa creazione
chiamata Savak, crearono una delle forze di polizia più feroci dell’era
moderna. La rivoluzione islamica del 1979 fu inevitabile e orribile, ma non
monolitica; attraverso la pressione popolare e la spinta delle elite, l’Iran
cominciò ad aprirsi al mondo – nonostante avesse sostenuto un’invasione di
Saddam Hussein, il quale a sua volta era incoraggiato e spalleggiato da Usa e
Regno Unito.
Nello stesso momento, l’Iran viveva
sotto la minaccia di un attacco, probabilmente nucleare, da parte di Israele,
mentre la comunità internazionale rimaneva in silenzio. Recentemente, uno dei
principali esperti di storia militare, Martin Van Creveled, ha scritto:
“Ovviamente non vogliamo che l’Iran abbia delle armi nucleari; non so se le
stiano costruendo, ma se non lo facessero sarebbero dei pazzi”.
Non sorprende che Teheran abbia
imparato la lezione della Corea del Nord, una dittatura che possiede armi
nucleari, e che ha scacciato il predatore americano con successo senza sparare
un colpo. Durante la guerra fredda, gli strateghi del “deterrente inglese”
usarono la stessa giustificazione per armare la nazione di testate nucleari; i
sovietici stanno arrivando, dicevano. Come però abbiamo appreso, questa era
finzione, al contrario del progetto americano di un attacco all’Iran, reale e
imminente.
Blair lo sa. Conosce anche le vere
ragioni dell’attacco e il ruolo che la Gran Bretagna dovrà ricoprire. Per il
prossimo mese l’Iran ha in programma di cambiare la valuta del petrolio –
ora in dollari – in euro. Nel lungo periodo l’effetto di tale iniziativa si
rivelerà significativo per l'andamento della moneta Usa, se non disastroso. Al
momento il dollaro è, sulla carta, una moneta di poco valore, che si porta
dietro un debito nazionale che oltrepassa gli 8.000 miliardi, e un debito
commerciale di oltre 600 miliardi. Il solo costo dell’avventura in Iraq,
secondo il premio nobel per l’economia Robert Stiglitz, sarebbe di 2.000
miliardi di dollari. L’impero militare americano, con le sue guerre, i suoi
innumerevoli intrighi e le sue 700 e più basi, si fonda sui suoi creditori in
Asia, principalmente sulla Cina.
Il petrolio è commerciato in dollari,
ed è difficile mantenere a lungo questa valuta come moneta di riserva in tutto
il mondo. Quello che il regime di Bush teme non sono le ambizioni nucleari
dell’Iran, ma gli effetti che le azioni del quarto produttore al mondo di
petrolio potrebbero avere sul monopolio del dollaro. Le banche centrali del
mondo cambieranno le loro riserve lasciando da parte il dollaro? Saddam Hussein
minacciava di fare lo stesso quando è stato attaccato.
Il Pentagono non ha nessun piano di
occupazione dell’Iran, ha in mente solo una striscia di terra che confina con
l’Iraq. Il Khuzestan, dove giace il 90% delle riserve di petrolio dell’Iran.
“Il primo passo di un invasore,” riporta il Daily Star di Beirut, “sarebbe
quello di occupare la ricca provincia del Khuzestan, assicurandosi lo stretto di
Hormuz, tagliando le scorte di petrolio all’Iran”. Il 28 gennaio il governo
iraniano ha dichiarato di avere prove di attacchi nascosti in Khuzestan da parte
della Gran Bretagna, incluse azioni di bombardamento, nel corso dell’ultimo
anno. Cosa farà l’esercito britannico di base a Basra – la SAS – se o
quando Bush comincerà a bombardare l’Iran? Con il controllo del Khuzestan e
dell’Iraq, e prossimamente dell’Arabia Saudita, gli Stati Uniti avranno
quello che Ruchard Nixon chiamava “il premio più grande”.
E la promessa dell’Iran di una
“risposta schiacciante”? Lo scorso anno il Pentagono ha consegnato 500 bombe
“bunker buster” ad Israele. Le useranno contro un disperato Iran? Nel 2002
Bush parlava di un attacco preventivo con l’opzione di usare armi nucleari. I
militari di Washington le useranno davvero? Anche solo per dimostrare a tutti
noi che, nonostante i problemi con l’Iraq, sono in grado di combattere e
vincere simultaneamente più guerre? Che un primo ministro britannico prenda in
considerazione anche solo una parte di questa follia deve far pensare ad una
risposta urgente da questo lato dell’Atlantico.