NON CI NEGATE DI ESISTERE. LETTERA APERTA DI PRETI OMOSESSUALI CATTOLICI
ADISTA n°89 - 34.12.2005
33136. ROMA-ADISTA. Non abbiamo nulla da nascondere, e voi? La
domanda sale dalla lettera aperta che un gruppo di preti omosessuali sottopone
alla comunità cristiana e alla gerarchia cattolica che con la recente
Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica li vorrebbe far
scomparire dalla ‘presentabilità' ecclesiastica. Non sono nostri gli istinti
irrefrenabili nascosti dentro una castità coatta, non è nostra la vostra
pedofilia, non è nostro il vostro essere ossessionati dal sesso, non siamo noi
ad identificarci con una tendenza sessuale. Noi ci riteniamo e vogliamo essere
persone, solo persone. Non vogliono avere nulla da nascondere i preti
omosessuali che hanno consegnato ad Adista in esclusiva la lettera aperta. E
proprio per questo, questa Chiesa li costringe a nascondersi, a celare il loro
volto: costretti a chiedere la garanzia dell'anonimato, pur avendo il coraggio
di firmarsi a viso aperto nella redazione di Adista.
A firmare la lettera sono 39 preti: 26 diocesani e 13 religiosi, provenienti da
tutte le regioni d'Italia (complessivamente 18 diocesi e 6 Istituti religiosi).
Di seguito, la lettera integrale
La recente "Istruzione della Congregazione per l'Educa-zione Cattolica
circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze
omosessuali" ci spinge a presentare alcune riflessioni a riguardo. Ci
rivolgiamo ai fratelli nel sacerdozio, ai Pastori e ai Superiori religiosi, ai
consacrati e alle consacrate, agli uomini e donne della società.
Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e
il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti. Alcuni di noi
hanno speso la loro vita in missione, altri sono parroci e pastori d'anime,
amati e stimati dalla loro gente, altri ancora vivono il loro sacerdozio
nell'insegnamento con dedizione e professionalità.
La nostra tendenza omosessuale, come il documento farebbe credere, non è stato
un impedimento a far si che la vita del ministro sacro sia animata dal dono di
tutta la sua persona alla Chiesa e da un'autentica carità pastorale (1). La
nostra omosessualità non ci mette in una situazione tale da ostacolare
gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne come afferma il documento
al secondo paragrafo: come uomini e sacerdoti ci sentiamo feriti da questa
affermazione assolutamente gratuita. Non abbiamo problemi maggiori degli
eterosessuali a vivere la castità, perché omosessualità non è sinonimo di
incontinenza, né di istinti irrefrenabili: non siamo malati di sesso e la
tendenza omosessuale non ha intaccato la nostra salute psichica (2) né le
nostre doti morali e umane (3).
Il documento definisce determinante per il candidato il fatto che eventuali
tendenze omosessuali transitorie siano chiarite e superate tre anni prima
dell'ordinazione diaconale. Ora la maggior parte dei preti hanno vissuto il
periodo del se-minario come un momento sereno dal punto di vista sessuale.
Infatti confrontandoci tra noi sacerdoti in varie occasioni, come ritiri o
esercizi spirituali, ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali
come per gli omosessuali, sono venuti dopo, causati non dalla tendenza sessuale,
ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati e,
qualche volta, abbandonati dai propri superiori, dai confratelli, dalle nostre
comunità. Inoltre, per quanto ci riguarda, vari di noi hanno preso coscienza
della loro omosessualità solo dopo l'ordinazione.
Si ha la sensazione che questo documento nasca come reazione ai casi di
pedofilia recentemente manifestati, soprattutto nella Chiesa americana e
brasiliana: ma la tendenza omosessuale non è assolutamente sinonimo di
pedofilia.
Si ha pure un'altra impressione: che si pensi agli omosessuali come
necessariamente inseriti in una cultura gaia, esibizionista, pungente, fuori
degli schemi, una filosofia di vita che spesso appare agli occhi di molti come
contraria ad ogni regola morale, in cui tutto è permesso. Certe manifestazioni
del mondo gay nascono come rivalsa da anni di ghetto e di persecuzione in cui è
stato imprigionato il mondo omosessuale, ma non tutto il mondo gay condivide
tali manifestazioni. In ogni caso nessun di noi assume atteggiamenti stravaganti
né accetta un permissivismo edonistico in cui non esistono leggi morali.
Nel documento sembrerebbe che il problema maggiore per poter essere buoni preti
sia la tendenza sessuale, per poi sorvolare su certi stili di vita che pur
ineccepibili dal punto di vista sessuale, creano scandalo tra i fedeli: ci
riferiamo al lusso, all'attaccamento al denaro, alle egemonie di potere, alla
lontananza dai problemi della gente. Noi, invece, consideriamo la nostra
omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere
l'emarginazione e la sofferenza di tante persone: per parafrasare san Paolo,
possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli
emarginati.
L'esperienza mostra che la nostra condizione omosessuale, vissuta alla luce del
Vangelo e sotto l'azione dello Spirito, ci mette in condizione di sostenere e
appoggiare nel loro cammino di fede i fratelli e le sorelle con tendenze
omosessuali, attuando quella pastorale che la Chiesa riconosce come necessaria e
desiderabile.
Quella Chiesa che ha ricevuto il ministero della riconciliazione (4) ha bisogno
di riconciliarsi con l'omosessualità, realtà di tanti credenti, figli e figlie
di Dio: uomini e donne di buona volontà che hanno il diritto di trovare in essa
il tetto della loro anima.
Chiaramente come tutte le persone oneste non possiamo negare le nostra fragilità,
condizione della natura umana: portiamo il dono di Dio in vasi di creta (5), ma
la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di
Dio.
Ora, dopo la pubblicazione del citato documento, proviamo maggiore disagio, come
se la nostra vocazione non fosse autentica. Ci sentiamo figli abbandonati e non
amati da quella Chiesa alla quale abbiamo promesso e dato fedeltà e amore. Ci
sentiamo "fratelli minori" in un presbiterio in cui sembra di essere
entrati quasi clandestinamente.
(1) Cfr. Presbyterorum Ordinis, n.14 .
(2) Cfr. C.I.C., can 1051.
(3) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 35.
(4) Cfr. 2 Cor. 5,18.
(5) Cfr. 2 Cor. 4,7.