La
direzione intrapresa non è promettente.
Riflessioni
ad un anno dall'elezione di Benedetto XVI
"Noi siamo Chiesa”- Italia - Roma, 18 aprile 2006
Prima
del Conclave dell’aprile 2005 “Noi Siamo Chiesa” cercò di farsi
espressione del sentimento diffuso tra tanti credenti auspicando “una nuova
primavera che rendesse più facile un nuovo e più credibile annuncio del
Vangelo di Gesù all’uomo d’oggi”. Questa speranza si intrecciava con
l’attesa di una svolta nella Chiesa cattolica
che liberasse le tante energie positive e perché venissero meno le
incomprensioni, le rotture e le estraneità che si erano consolidate negli anni,
solo oscurate – ma niente affatto cancellate – dalla personalità e dalla
presenza mediatica di Giovanni Paolo II, e dal suo così lungo, complesso e
contraddittorio pontificato.
A
prescindere dalle perplessità suscitate in noi (come, del resto, in larga parte
dell’opinione pubblica cattolica) dalle ben note posizioni teologiche del
card. Joseph Ratzinger, a noi sembrò giusto, il 19 aprile 2005, evitare di
esprimerci su quello che avrebbe potuto fare, o non fare, Benedetto XVI, per
attuare concretamente il Concilio Vaticano II. Ma, adesso, trascorso un’anno
dalla sua elezione, ci sembra di poter formulare alcune valutazioni, che
naturalmente sono aperte e in revisione in base a quello che nel prossimo futuro
il pontefice farà. Seppure provvisorio, il nostro giudizio nasce sempre da un
sentimento vivo e sofferto di appartenenza alla Chiesa cattolica, e di volontà
– per quello che possiamo – di contribuire a mantenere viva e feconda
l’eredità dell’”evento” innescato dall’ardire profetico di papa
Giovanni.
La
continuità con Giovanni Paolo II
La
continuità con il pontificato precedente, sia per la personalità e la storia
del card. Ratzinger sia per le tante emozioni suscitate dalla scomparsa di
Giovanni Paolo II, era del tutto prevedibile e ci sembra, fino ad oggi,
confermata in gran parte dalle iniziative e dalle prese di posizione di
Benedetto XVI. Evidenti, ci sembra, sono questi segni: il richiamo esplicito ed
insistente all’insegnamento del suo predecessore e la stessa decisione di
assecondare la richiesta di iniziarne subito il processo di canonizzazione; la
conferma di tutte, indistintamente, le precedenti responsabilità nella Curia
(salvo i cambiamenti – in senso “conservatore”, però – decisi in
febbraio e marzo); il richiamo verbale ad una maggiore collegialità nella
gestione della Chiesa non seguito, però, da decisioni attuative concrete; la
celebrazione del Sinodo dei vescovi di ottobre che, pur concedendo qualche
maggior spazio di dialogo, ha saldamente mantenuto all’organismo il suo
carattere del tutto consultivo; l’insistente riconferma di tutte le vecchie
“ortodossie” precedenti sul ruolo della donna nella Chiesa, sul celibato
obbligatorio del clero latino, sugli omosessuali (con il duro documento di
novembre che vieta la loro ammissione in seminario); la riproposta delle
indulgenze in agosto a Colonia e per i quaranta anni dalla conclusione del
Concilio in dicembre; l’insistente richiamo alla necessità di riscoprire le
“radici cristiane” dell’Europa; la permanente chiusura al rapporto con le
aree critiche presenti nella Chiesa (l’udienza, in settembre, ad Hans Küng,
infatti, non ha aperto un reale dialogo del Vaticano con il mondo teologico
“non ufficiale”).
L’
arretramento
Oltre
alle continuità rispetto a prima (come la conferma della tradizionale posizione
sugli anticoncezionali, ribadita in giugno ai vescovi dell’Africa australe,
cioè a rappresentanti di paesi flagellati dall’Aids) ci sembra che ci siano
stati anche degli arretramenti: per esempio la soppressione di fatto del
Consiglio per il dialogo interreligioso o l’appoggio esplicito e ripetuto alla
discutibile linea della Conferenza episcopale Italiana di intervento diretto
nella politica legislativa del nostro paese (referendum sulla legge n. 40,
progetti di legge sui Pacs). Questa presenza più diretta del papa sulla scena
italiana fa crescere inevitabilmente nella cultura laica comprensibili
manifestazioni di anticlericalismo che poi si trasformano in diffidenza ed
ostilità nei confronti dello stesso messaggio evangelico.
Concilio
: la polemica con l’”ermeneutica della discontinuità”
La
linea di “raffreddamento” delle posizioni innovative del Concilio, che era
di Giovanni Paolo II, è stata direttamente confermata da Benedetto XVI nel suo
discorso alla Curia romana, il 22 dicembre. La sua vivace critica
all’”ermeneutica della discontinuità” nel valutare il Vaticano II,
interpretazione che, a suo parere, avrebbe causato solo confusione, non può
essere condivisa da chi ha vissuto
il Concilio come una riscoperta delle radici evangeliche della fede e delle sue
possibilità di parlare di nuovo all’uomo d’oggi
di ogni condizione e di ogni latitudine. E’ vero, d’altra parte, che
– nello stesso discorso – Ratzinger ha sostenuto la piena legittimità di
giudicare il Vaticano II interpretandolo come un “concilio di riforma”.
Parole che appaiono promettenti ma che,
però, finora non hanno avuto nessuna concreta, visibile e indubitabile
concretizzazione.
A
rendere difficile a Benedetto XVI l’attuazione di riforme ecclesiali nella
direzione indicata dal Concilio è anche – così, almeno, ci sembra – la
scelta da lui fatta di arrivare ad una pacificazione con i seguaci di mons.
Lefebvre. Tutti sanno, infatti, che i lefebvriani molto difficilmente
accetteranno una realizzazione della collegialità episcopale che ripensi il
ruolo del papato come pensato dal Vaticano I, per aprirlo alle prospettive
aperte nel Vaticano II dalla costituzione sulla Chiesa Lumen gentium; o una
riforma liturgica che prenda sul serio la partecipazione di tutto il popolo di
Dio alla celebrazione eucaristica. Temiamo che, pur di porre fine allo scisma
dei cattolici tradizionalisti, papa Ratzinger prosegua con una interpretazione
minimalista del Concilio fino a svuotarlo di molte sue potenzialità teologiche
e pastorali.
Discontinuità
ed eurocentrismo
Dal
complesso di tutti i suoi numerosi interventi ed atti di governo appare
evidente che Benedetto XVI ha un’ottica fortemente eurocentrica o, meglio,
attenta soprattutto all’Occidente, e alle filosofie, culture e dinamiche che
in esso si sono sviluppate nel secolo XX. Benedetto XVI cita, episodicamente, i
problemi dei popoli emergenti, e in generale del Sud del mondo, ma questi non
costituiscono l’asse del suo pensiero; una tale “sottovalutazione”
costituisce un elemento di discontinuità con Giovanni Paolo II il quale, pur
respingendo la proposta della teologia della liberazione di fronte alla fame ed
al sottosviluppo, aveva affrontato con largo respiro i problemi posti dalla
globalizzazione e dalla guerra. E’ anche venuta meno, finora, la denuncia
della guerra preventiva in Iraq che
è stata l’ultimo grido profetico di Giovanni Paolo II. Su di essa è caduto
il silenzio. L’Iraq è solo “nel lutto quotidiano nel corso di questi anni
per degli atti terroristici sanguinosi” (discorso al Corpo diplomatico del 10
gennaio), con riferimento evidente agli attentati dei kamikaze islamici, mentre
i fatti di Falluja, di Abu Graib e tanti altri – e cioè le gravissime
responsabilità anglo-americane (sostenute anche dal governo italiano) per
l’illegale attacco contro Baghdad, e per le atrocità compiute dagli eserciti
invasori anche contro la popolazione civile -
sono dimenticati. Il
linguaggio ed i silenzi papali sembrano avvicinare la linea del Vaticano a
quella degli USA.
Ancora,
appare del tutto assente, negli interventi di Benedetto XVI, una presa di
posizione radicale contro la guerra e, in positivo, a favore della nonviolenza;
a favore dell’obiezione di coscienza all’esercito, tanto più se esercito
invasore; a favore delle missioni di pace dal basso (che sono la pratica dei
movimenti pacifisti cristiani).
E poi, nella sua riflessione generale contenuta nel messaggio per la
giornata della pace del primo gennaio, Papa Ratzinger parla della pace fondata
sulla verità piuttosto che della pace fondata sulla giustizia. Ma la pace, ci
sembra, si deve fondare anzitutto sulla giustizia e quindi sulla tutela e la
promozione di quei diritti umani e sociali di cui parla la prima parte della
“Pacem in terris”, tutti riconosciuti o riconoscibili da differenti storie e
culture e da ogni uomo e da ogni
donna di buona volontà, ateo o agnostico o in ricerca che sia.
Emergono,
poi, anche altre contraddizioni ed incoerenze per quanto riguarda la posizione
della Santa Sede in campo internazionale. Quando, per esempio, il Vaticano
chiede un profondo rinnovamento dell’Onu (nel messaggio per la giornata della
pace) o la promozione dei diritti delle donne in ogni campo (intervento all’Ecosoc
dello scorso marzo) esso non sembra rendersi conto che bisognerebbe dare il buon
esempio e agire anzitutto perchè la struttura stessa della Chiesa cattolica
sia profondamente riformata per affrontare adeguatamente i problemi
sollevati, soprattutto per quanto riguarda la pienezza dei diritti della donne
all’interno della stessa Chiesa, ed i problemi di “genere”.
Altri
aspetti del pontificato
Ci
sono naturalmente altri aspetti del primo anno di pontificato che possono essere
visti in modo positivo o, almeno, di per sé suscettibili di avere sviluppi che
scuotano lo status quo. Pensiamo, per esempio, all’ipotesi di nuovi rapporti
con
La
seconda parte dell’enciclica ripropone la tradizionale dottrina sociale della
Chiesa ma si colloca in una dimensione atemporale, al disotto delle necessità
dell’oggi per quanto riguarda la presenza sociale e politica dei credenti in
un mondo in cui i problemi del
rapporto Nord/Sud, del sottosviluppo, delle malattie, dell’ambiente, dello
spreco delle risorse ecc….
si stanno aggravando.
Perché
aspettare a percorrere strade nuove ?
Insieme
a tante e tanti cattolici che, in
Italia e nel mondo, lo sperano, anche “Noi siamo Chiesa” ribadisce un
auspicio: è necessario che nella Chiesa romana si interrompa lo stallo nelle
riforme, in atto da oltre un quarto di secolo, e si intraprenda l’attuazione,
purtroppo interrotta, di quelle profonde modifiche, pastorali e istituzionali,
che il Concilio prospettò, o che, comunque, sono la logica conseguenza delle
sue affermazioni e, soprattutto, del suo “evento”. Perché rammaricarsi in
futuro di aver aspettato ad intraprendere, seguendo la traccia indicataci dal
Vaticano II, strade nuove che saranno comunque, prima o poi, inevitabili per
adempiere al comando evangelico di testimoniare e predicare il Vangelo ad ogni
creatura ? Dopo questo primo anno di pontificato, secondo noi deludente,
vogliamo comunque continuare a sperare; ma ribadendo, però, che la direzione
intrapresa non ci sembra molto promettente. Essa, infatti, pare voler
“razionalizzare” l’esistente, ma non intraprendere una grande riforma.
Naturalmente, se le prossime mosse di Benedetto XVI, a cominciare dalla riforma
della Curia, smentissero il nostro pessimismo, ne saremmo ben lieti.
Condividiamo
quanto ha scritto Hans Küng, su