QUANTI ERRORI, SUA SANTITÀ. LA RISPOSTA DEI LEADER RELIGIOSI MUSULMANI AL DISCORSO DI RATISBONA
DOC-1785. AMMAN-ADISTA. Apprezzamento, sì, per
la lotta di Benedetto XVI contro materialismo e positivismo, ma soprattutto
dissenso e critiche, seppure espressi in uno spirito di "buona volontà"
e di collaborazione, nei confronti delle tante semplificazioni – quando non
proprio errori – operate dal papa nel contestatissimo discorso di Ratisbona
sul rapporto tra ragione e fede (v. Adista n./06). È questo il contenuto di una
lettera aperta al papa firmata da 38 tra i massimi esponenti dell'islam
mondiale, fatta pervenire a Ratzinger tramite la nunziatura di Amman, in
Giordania, e poi pubblicata integralmente dalla rivista Islamica Magazine
(www.islamicamagazine.com). Una mossa assolutamente inedita, questa, nella
storia dei rapporti tra le religioni, frutto di un'iniziativa condivisa dalle
otto scuole di pensiero e di giurisprudenza islamiche. Tra i firmatari vi sono
il gran muftì d'Egitto, l'ex vicepresidente della Mauritania, oltre ai gran
muftì di Russia, Bosnia, Croazia, Kosovo, Slovenia, Istanbul, Uzbekistan e
Oman, all'ayatollah Muhammad Ali Tashkiri dell'Iran e a svariati studiosi (anche
dell'Occidente) tra cui una donna.
Con parole pacate ma ferme, i firmatari della lunga lettera si soffermano sui
punti che sono stati dal papa semplificati o travisati, come la data a cui
risalirebbe la sura 2,256 del Corano ("Nessuna costrizione nelle cose di
fede"); il concetto di assoluta trascendenza di Dio, che farebbe di Allah
un Dio "capriccioso" estraneo alle categorie umane; il rapporto tra
fede e ragione; il significato reale del termine jihad; la conversione forzata,
che, al contrario, è considerata dall'islam un'iniziativa umana sgradita a Dio;
il "nuovo" "cattivo e disumano" portato da Maometto, secondo
l'imperatore bizantino menzionato dal papa, quando Maometto affermava invece di
non portare nulla di nuovo; la citazione di "esperti" che gli studiosi
islamici non riconoscono come tali.
La lettera aperta deve aver creato qualche imbarazzo in Vaticano, visto che
L'Osservatore Romano non ha dedicato una riga al documento e il quotidiano dei
vescovi italiani Avvenire, il 15 ottobre scorso, ha pubblicato un articolo che
mette soltanto in luce le parole di apprezzamento espresse dai firmatari nei
confronti del papa omettendo completamente la ben più consistente ed articolata
parte critica.
Di seguito il testo integrale della lettera, in una nostra traduzione
dall'inglese. (ludovica eugenio)
LETTERA APERTA A SUA SANTITÀ PAPA BENEDETTO XVI
Nel nome di Dio il compassionevole, il
misericordioso, dialogate con belle maniere con la gente della Scrittura… (Il
Sacro Corano, al-Ankabut, 29,46)
Sua Santità,
riguardo alla sua conferenza all'Università di Ratisbona in Germania il 12
settembre 2006, riteniamo opportuno, in uno spirito di aperto scambio, fare
alcune considerazioni sul Suo utilizzo di un dibattito tra l'imperatore Manuele
II Paleologo e un "dotto persiano" come punto di partenza per un
discorso sul rapporto tra ragione e fede. Mentre plaudiamo ai Suoi sforzi di
contrastare il dominio del positivismo e del materialismo nella vita umana,
dobbiamo rilevare alcuni errori nel modo in cui Lei ha citato l'islam come
contrappunto all'uso corretto della ragione, così come nelle affermazioni a
supporto dei Suoi argomenti.
Nessuna costrizione nelle cose di fede
Lei ha affermato che, "secondo gli esperti", il versetto che inizia
con "nessuna costrizione nelle cose di fede" (al-Baqarah 2, 256)
risale al primo periodo, quando il Profeta "era ancora senza potere e
minacciato", ma questo è sbagliato. Infatti questo versetto notoriamente
appartiene al pe-riodo della rivelazione coranica corrispondente all'ascesa
politica e militare della giovane comunità musulmana. Nessuna costrizione nelle
cose di fede non era un comando ai musulmani affinché rimanessero saldi di
fronte al desiderio dei loro oppressori di obbligarli a rinunciare alla loro
fede, ma era un invito ai musulmani stessi, una volta raggiunto il potere, a non
forzare il cuore di alcuno affinché credesse. Nessuna costrizione nelle cose di
fede si rivolge a coloro che si trovano in una posizione di potere, non di
debolezza. I primi commenti al Corano (come quello di Al-Tabari) spiegano che
alcuni musulmani di Medina volevano obbligare i figli a convertirsi dal
giudaismo o dal cristianesimo all'islam, e questo versetto era proprio diretto a
loro, affinché non cercassero di forzare i loro figli a convertirsi al-l'islam.
Inoltre, i musulmani sono guidati anche da versetti come: "La verità
proviene dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi" (al-Kahf
18,29); e "O miscredenti! Io non adoro quel che voi adorate e voi non siete
adoratori di quel che io adoro. Io non sono adoratore di quel che voi avete
adorato e voi non siete adoratori di quel che io adoro: a voi la vostra
religione, a me la mia" (al-Kafirum 109, 1-6).
La trascendenza di Dio
Lei afferma anche che "per la dottrina musulmana, Dio è assolutamente
trascendente", una semplificazione che può essere fuoviante. Il Corano
afferma "Niente è simile a Lui" (al-Shura 42,11) ma afferma anche
"Egli è la luce dei cieli e della terra" (al-Nur 24,35) e "Siamo
più vicini a lui della sua vena giugulare" (Qaf 50,16) e "Egli è il
Primo, l'Ultimo, il Palese e l'Occulto" (al-Hadid 57,3) e "Egli è con
voi ovunque voi siate" (al-Hadid 57,4) e "Ovunque vi volgiate, ivi è
il Volto di Allah" (al-Baqarah, 2, 115). Inoltre, ricordiamo il detto del
profeta, che afferma che Dio dice "E quando Io lo amerò (il credente), Io
sarò le orecchie attraverso cui ascolterà, gli occhi attraverso cui vedrà, le
mani attraverso cui afferrerà, e i piedi attraverso cui camminerà". (Sahih
al-Bukhari, n. 6502, Kitab al-Riqaq).
Nella tradizione spirituale, teologica e filosofica islamica, il pensatore da
Lei citato, Ibn Hazm (morto nel 1069) è una figura di valore ma molto
marginale, appartenente alla scuola di giurisprudenza Zahiri che oggi non è
seguita da nessuno nel mondo islamico. Se si guarda alle formulazioni classiche
della dottrina della trascendenza, molto più importanti per i musulmani sono
figure come al-Ghazali (morto nel 1111) e molti altri, molto più influenti e
rappresentativi della fede islamica di quanto lo sia Ibn Hazm.
Lei afferma che, poiché l'imperatore è "cresciuto nella filosofia
greca", l'idea che "Dio non si compiace del sangue" è
"evidente" per lui, per il quale l'insegnamento musulmano sulla
trascendenza di Dio viene avanzato come contro-esempio. Affermare che per i
musulmani "La volontà di Dio non è legata a nessuna delle nostre
categorie" costituisce allo stesso modo una semplificazione che può
portare ad un fraintendimento. Dio ha molti nomi nell'islam, tra cui il
Misericordioso, il Giusto, Colui che vede, Colui che ascolta, il Sapiente, Colui
che ama e l'Amabile. La loro convinzione profonda nell'unicità di Dio e nel
fatto che "Niente è simile a Lui" (al-Ikhlas 112,4) non ha portato i
musulmani a negare l'attribuzione da parte di Dio di queste categorie a se
stesso e ad (alcune delle) sue creature (lasciamo da parte per ora la questione
delle "categorie", termine che richiede un approfondimento in questo
contesto). Dal momento che questo riguarda la Sua Volontà, concludere che i
musulmani credono in un Dio capriccioso che potrebbe o non potrebbe ordinarci di
compiere il male significa dimenticare che Dio nel Corano dice che "in
verità Allah ha ordinato la giustizia e la benevolenza e la generosità nei
confronti dei parenti. Ha proibito la dissolutezza, ciò che è riprovevole e la
ribellione. Egli vi ammonisce affinché ve ne ricordiate" (al-Nahl, 16,90).
Allo stesso modo, significa dimenticare che Dio nel Corano afferma "Egli si
è imposto la misericordia" (al- An'am, 6,12; cfr. anche 6,54) e anche
"la Mia misericordia abbraccia ogni cosa" (al-A'raf, 7,156). La parola
utilizzata per "misericordia", rahmah, può essere tradotta anche come
amore, gentilezza e compassione. Da rahmah deriva la formula sacra che i
musulmani ripetono ogni giorno, "Nel nome di Dio, il misericordioso, il
compassionevole". Non è evidente che il versare sangue innocente va contro
la misericordia e la compassione?
L'uso della ragione
La tradizione islamica è ricca nella sua esplorazione della natura
dell'intelligenza umana e della sua relazione con la Natura di Dio e la sua
volontà, e comprende la questione di cosa sia evidente e cosa no. Tuttavia, la
dicotomia tra "ragione" da una parte e "fede" dall'altra non
esiste esattamente nella stessa forma nel pensiero islamico. I musulmani hanno
affrontato piuttosto il potere e i limiti dell'intelli-genza umana a modo loro,
riconoscendo una gerarchia di conoscenza della quale la ragione è parte
determinante. Vi sono due estremi che la tradizione intellettuale islamica è
riuscita in generale ad evitare: uno è quello di fare della capacità analitica
l'arbitro ultimo della verità, e l'altro è di negare il potere della
comprensione umana nell'affrontare le questioni ultime. Cosa ancora più
importante, nelle loro forme maggioritarie e mature le riflessioni intellettuali
dei musulmani nel corso della storia hanno conservato una consonanza tra le
verità della rivelazione coranica e le esigenze dell'intelligenza umana, senza
sacrificare le une alle altre. Dio dice: "Mostreremo loro i Nostri segni
nell'universo e nelle loro stesse persone, finché non sia loro chiaro che
questa è la Verità" (Fussilat, 41,53). La ragione stessa è uno tra i
molti segni in noi che Dio ci invita a contemplare, e con cui contemplare, come
via per conoscere la verità.
Che cos'è la "Guerra Santa"?
Vorremmo rilevare che "guerra santa" è un termine che non esiste
nelle lingue islamiche. Jihad, e questo va sottolineato, significa lotta, e in
particolare lotta sulla strada verso Dio. Questa lotta può assumere varie
forme, tra cui l'uso della forza. Anche se la jihad può essere sacra nel senso
di essere finalizzata ad un ideale sacro, non è necessariamente una
"guerra". Inoltre, è da notare che Manuele II Paleologo afferma che
la "violenza" va contro la natura di Dio, quando invece Cristo stesso
ha usato la violenza contro i cambiavalute nel tempio, e ha detto "Non
pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; io non sono venuto a
portare la pace, ma la spada…" (Mt 10, 34-36). Quando Dio ha fatto
annegare il faraone, andava contro la sua natura? Forse l'imperatore intendeva
dire che crudeltà, brutalità e aggressione sono contro la volontà di Dio, nel
qual caso la legge classica e tradizionale della Jihad nell'islam gli darebbe
pienamente ragione.
Lei dice che "naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni,
sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa".
Tuttavia, come abbiamo rilevato sopra riguardo al "Nessuna costrizione
nelle cose di fede", le suddette istruzioni non erano affatto più tarde.
Inoltre, le affermazioni dell'imperatore sulla conversione violenta mostrano che
egli non sapeva che cosa fossero e che cosa fossero sempre state quelle
istruzioni.
Le norme autorevoli e tradizionali islamiche sulla guerra possono essere
sintetizzate come segue:
1. I civili non possono essere bersagli consentiti o legittimi. Da allora questo
principio è stato sottolineato esplicitamente più volte dal profeta, dai suoi
compagni, e dalla tradizione erudita.
2. La fede religiosa da sola non può rendere nessuno oggetto di attacco. La
comunità originaria musulmana combatteva contro i pagani che li avevano espulsi
dalle loro case, li avevano perseguitati, torturati e uccisi. Perciò, le
conquiste islamiche erano di natura politica.
3. I musulmani possono e devono vivere pacificamente con i loro vicini. "Se
inclinano alla pace, inclina anche tu ad essa e riponi la tua fiducia in
Allah" (al-Anfal, 8,61). Tuttavia, ciò non esclude la legittima difesa e
la conservazione della sovranità.
I musulmani si impegnano ad osservare queste regole come si impegnano a non
commettere furti e adulterio. Se una religione regolamenta la guerra e descrive
le circostanze in cui essa è necessaria e giusta, questo non fa di essa una
religione bellica, così come le norme che regolano la sessualità non rendono
la religione lasciva. Se qualcuno ha trascurato una tradizione lunga e
consolidata a favore di sogni utopici in cui il fine giustifica i mezzi, lo ha
fatto di propria volontà e senza il sigillo di Dio, del Suo Profeta o della
tradizione erudita. Dio dice nel Sacro Corano: "Non vi spinga all'iniquità
l'odio per un certo popolo. Siate equi: l'equità è consona alla
devozione" (al-Ma'idah, 5,8). In questo contesto dobbiamo affermare che
l'assassinio del 17 settembre di una innocente suora cattolica in Somalia, ed
altri similari atti di violenza individuale arbitraria, "in reazione"
alla Sua conferenza all'Università di Ratisbona, sono del tutto non-islamici e
li condanniamo totalmente.
Conversione forzata
L'idea che i musulmani abbiano l'ordine di diffondere la loro fede "con la
spada" o che l'islam in realtà sia stato diffuso ampiamente "con la
spada" non è confermata da un esame attento. È vero però che l'islam,
come entità politica, si è diffuso in parte in seguito alla conquista, ma la
gran parte della sua espansione è venuta dalla predicazione e dall'atti-vità
missionaria. L'insegnamento islamico non prescriveva che le popolazioni
conquistate fossero forzate o costrette alla conversione. Molte delle prime zone
conquistate dai musulmani, al contrario, sono rimaste per lo più non musulmane
per secoli. Se i musulmani avessero voluto convertire tutti con la forza, nel
mondo islamico non sarebbe rimasta in piedi una chiesa o una sinagoga. Il
comando Nessuna costrizione nelle cose della fede ha oggi lo stesso significato
di allora. Il semplice fatto che una persona non sia islamica non ha mai
costituito un casus belli nella legge o nella fede islamica. Come nel caso delle
regole della guerra, la storia mostra come alcuni musulmani hanno violato i
principi islamici riguardo alla conversione forzata e il modo di trattare le
altre comunità religiose, ma la storia mostra anche che si tratta
dell'eccezione che conferma la regola. Siamo assolutamente d'accordo sul fatto
che obbligare gli altri a credere - se ciò fosse davvero possibile - non è
gradito a Dio e che a Dio non è gradito il sangue. Invece, noi crediamo e i
musulmani hanno sempre creduto, che "chiunque uccida un uomo che non abbia
ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come
se avesse ucciso l'umani-tà intera" (al-Ma'idah, 5,32).
Qualcosa di nuovo?
Lei cita l'affermazione dell'imperatore secondo cui ciò che il Profeta ha
portato "di nuovo" erano "cose cattive e disumane, come la sua
presunta direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli
predicava". Ciò che l'imperatore non riusciva a capire - a parte il fatto
(come detto sopra) che un comando del genere non è mai esistito nell'islam - è
che il Profeta non aveva mai detto di portare qualcosa di fondamentalmente
nuovo. Dio afferma nel Sacro Corano: "Non ti sarà detto altro che quel che
fu detto ai messaggeri che ti precedettero" (Fussilat, 41,43) e "Non
costituisco un'innovazione rispetto agli inviati né conosco quel che avverrà a
me e a voi. Non faccio che seguire quello che mi è stato rivelato. Non sono che
un ammonitore esplicito" (al-Ahqaf, 46,9). Quindi la fede nell'unico Dio
non è proprietà di una sola comunità religiosa. Secondo il credo islamico,
tutti i veri profeti hanno predicato la stessa verità a popoli diversi in tempi
diversi. Le leggi possono cambiare, ma la verità è permanente.
"Gli Esperti"
Ad un certo punto, Lei fa un riferimento non meglio specificato a degli
"esperti" (sull'islam) e poi cita due studiosi cattolici, il professor
(Adel) Theodore Khoury e il (professore associato) Roger Arnaldez. Qui è
sufficiente dire che mentre molti musulmani ritengono che vi siano ottimi non
musulmani e cattolici che possono veramente essere considerati
"esperti" sull'islam, i musulmani non hanno, per quanto ne sappiamo,
dato la loro approvazione agli "esperti" che Lei menziona, né li
hanno riconosciuti come rappresentanti delle loro opinioni. Il 25 settembre 2006
Lei ha reiterato la sua importante dichiarazione resa a Colonia il 20 agosto
2005 secondo cui "il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani
e musulmani non può ridursi a una scelta del momento. Si tratta effettivamente
di una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro".
Pur concordando pienamente con Lei, ci sembra che buona parte dell'obiettivo del
dialogo interreligioso consista nello sforzarsi di ascoltare e di considerare le
voci autentiche di coloro con cui dialoghiamo e non soltanto quelle della nostra
stessa convinzione.
Cristianesimo e islam
Il cristianesimo e l'islam sono la prima e la seconda religione al mondo e nella
storia per numero di aderenti. È noto che cristiani e musulmani rappresentano
rispettivamente più di un terzo e più di un quinto dell'umanità. Insieme
raccolgono più del 55% della popolazione mondiale, rendendo la relazione tra
loro il fattore più importante che contribuisce ad una pace significativa nel
mondo. Come leader di più di un miliardo di cattolici ed esempio morale per
molti altri, la Sua è certamente la voce individuale più influente nel
continuare a condurre questa relazione verso una reciproca comprensione.
Condividiamo il Suo desiderio di un dialogo franco e sincero, e riconosciamo la
Sua importanza in un mondo sempre più interconnesso. Su questo dialogo franco e
sincero speriamo di continuare a costruire relazioni pacifiche e amichevoli,
basate sul reciproco rispetto, la giustizia e i punti comuni essenziali nella
nostra comune tradizione abramitica, in particolare "i due massimi
comandamenti" di Mc 12, 29-31 (e, in altra forma, in Mt 22, 37-40):
"Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo
con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il
secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro
comandamento più importante di questi".
I musulmani quindi apprezzano le seguenti parole del Concilio Vaticano II:
"La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio,
vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della
terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il
cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a
cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù
come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine,
Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno
del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure
hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la
preghiera, le elemosine e il digiuno" (Nostra Aetate).
E allo stesso modo le parole del compianto Giovanni Paolo II, per il quale molti
musulmani avevano un grande riguardo e molta stima: "Con gioia noi
cristiani riconosciamo i valori religiosi che abbiamo in comune con l'islam.
Vorrei oggi riprendere quello che alcuni anni fa dissi ai giovani musulmani a
Casablanca: ‘Noi crediamo nello stesso Dio, l'unico Dio, il Dio vivente, il
Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione'"
(Insegnamenti, VIII/2 [1985], p. 497, citato durante un'udienza generale il
5/5/99).
I musulmani hanno anche apprezzato la Sua personale inedita espressione di
dispiacere, e la sua chiarificazione e assicurazione (il 17/9) del fatto che la
sua citazione non rifletteva la Sua personale opinione, così come la conferma
da parte del segretario di Stato card. Tarcisio Bertone (il 16/9) del documento
conciliare Nostra Aetate. Infine, i musulmani hanno apprezzato che (il 25/9) di
fronte ad un folto gruppo di ambasciatori di Paesi musulmani, Lei abbia espresso
"totale e profondo rispetto per tutti i musulmani". Speriamo che noi
tutti eviteremo gli errori del passato e vivremo insieme nel futuro in pace,
reciproca accettazione e rispetto.
E ogni lode appartiene a Dio, e non vi è potere né forza se non per mezzo di
Dio.