RUINI L'IRRESISTIBILE
CARRIERA ECCLESIASTICA
ADISTA n° 11 del11.2.2006
33214. ROMA-ADISTA. La "carriera" di Ruini comincia
nel lontano 1985. A quell'epoca Ruini aveva 54 anni. Da due anni era vescovo
ausiliare di Reggio Emilia. Non era certo un teologo, e anche la sua azione
pastorale era sino ad allora stata piuttosto grigia. Ma mons. Ruini capì che
qualcosa nella Chiesa italiana stava cambiando, e si propose come guida di un
processo che avrebbe rappresentato una svolta, un cambiamento radicale di
prospettive e di classe dirigente. Papa Wojtyla aveva infatti deciso di fare i
conti con quella parte della Chiesa ancora legata agli orientamenti conciliari,
disposta a riconoscere un ruolo specifico ed autonomo dei laici nella vita
ecclesiale, a dialogare con le diverse culture sociali, ad impegnarsi in una
prospettiva realmente ecumenica. Quella Chiesa aveva, tra gli altri, un sicuro
punto di riferimento nell'allora presidente della Cei, il card. Anastasio
Ballestrero, religioso carmelitano, arcivescovo di Torino; un supporto teologico
e pastorale nel card. Carlo Maria Martini, religioso getuita, arcivescovo di
Milano, e, nell'Azione Cattolica di Alberto Monticone, uno strumento di presenza
attiva e capillare nelle realtà territoriali e nella formazione del laicato.
Tra il 9 ed il 13 aprile 1985 a Loreto, si celebrava il II Convegno della Chiesa
italiana dal titolo "Riconciliazione cristiana e comunità degli
uomini". Martini e Ballestrero avevano preparato il convegno in modo tale
che la Chiesa ribadisse l'opzione strategica della "scelta religiosa'', la
distanza dal coinvolgimento diretto nella politica e nelle questioni interne
alla Dc. Bisognava evitare il rischio di una eccessiva esposizione della Chiesa
su questi temi. Giovanni Paolo II (Ruini era vice presidente del comitato
preparatorio del Convegno) impose invece una svolta 'interventista',
riproponendo quel modello di pervasiva presenza della gerarchia ecclesiastica
nella vita sociale e politica già sperimentata negli anni precedenti.
Così, la linea conciliare di Ballestrero alla fine risultò sconfitta. Il 26
giugno 1986, Giovanni Paolo II nominò Ruini segretario della Cei. Presidente,
dall'anno precedente, era stato nominato il card. Ugo Poletti. Ma Ruini, uomo
forte di Wojtyla, ci mise pochissimo a imporre la sua egemonia dentro la
Conferenza ed a subentrare de facto, prima ancora che de iure, a Poletti
(esautorato progressivamente di ogni potere decisionale). Gli succedeva il 6
gennaio 1991. Il 28 giugno 1991 veniva nominato cardinale.
Ruini, insieme al papa, cominciò una forte politica di sostegno ai movimenti
ecclesiali (a Loreto Giovanni Paolo II aveva definito i movimenti "canale
privilegiato per la formazione e promozione di un laicato attivo e consapevole
del proprio ruolo nella Chiesa e nel mondo"), in particolare a Comunione e
Liberazione, negli anni ‘80 rivale dell'Azione Cattolica nel contendere una
posizione egemonica nella formazione e nella guida del laicato cattolico. L'Ac,
nell'ottica della destra curiale che aveva vinto a Loreto, incarnava troppe
delle spinte progressiste e conciliari della Chiesa montiniana; Comunione e
Liberazione, alla funzione di "mediazione" che l'Ac tentava di
conservare all'interno del contesto ecclesiale e politico di quegli anni,
contrapponeva la "presenza" in tutti i luoghi dove si formava e
gestiva il potere politico.
Pressata all'esterno, combattuta all'interno: furono Dino Boffo (allora giovane
dirigente Ac) e Mario Agnes, (ex presidente di Ac passato a dirigere
l'"Osservatore Romano"), a lavorare, dentro e fuori l'Azione
Cattolica, per conto del cardinale, opponendosi in maniera radicale alla linea
monticoniana, tentando di screditarne ed esautorarne la figura e guidando la
battaglia 'restauratrice' all'interno dell'Ac. Monticone e la maggioranza
dell'associazione che si era stretta attorno a lui resistettero. Ma negli anni i
rapporti di forza mutarono: presidenze meno carismatiche di quella monticoniana
cedettero alle fortissime pressioni normalizzatrici che arrivavano dal
Vicariato. Il fermento ecclesiale nell'Ac si spense rapidamente, anche perché
Ruini provvide personalmente ad occuparsi di nominare assistenti diocesani e
generali che si facessero garanti e custodi della linea imposta a Loreto.
Nel 1991 arrivò anche la censura e la riduzione al silenzio dei 63 teologi
italiani che avevano firmato un documento che faceva eco alla famosa
"Dichiarazione di Colonia". Sistemata la questione di un laicato
troppo "effervescente", e di un dibattito teologico troppo
"vivace" (operazione a cui Ruini accompagnò anche un capillare lavoro
di normalizzazione delle parrocchie romane, attraverso la rimozione di parroci
di vedute troppo larghe, sostituiti da preti più "affidabili"), il
cardinale passò ad affrontare la questione dell'informazione cattolica,
contrassegnata da una eccessiva pluralità di punti di vista. Nel 1994 Ruini
mise Dino Boffo alla guida di Avvenire, trasformando il quotidiano della Cei
nella voce del suo presidente. Nei mesi precedenti il III convegno della Chiesa
italiana (Palermo, novembre 1995), Ruini tentò di convincere (assicurando che
era un desiderio del papa) alcuni religiosi paolini, primo fra tutti l'allora
direttore di "Jesus", don Stefano Andreatta, ad accettare un piano di
riorganizzazione della stampa cattolica italiana sotto l'egida della CEI. Al
progetto i paolini avrebbero dovuto portare "in dote" le loro
prestigiose riviste, in primis "Famiglia Cristiana", "Jesus",
"Vita pastorale". I paolini, dopo qualche incertezza, declinarono
l'invito. Furente, Ruini reagì chiedendo, ed ottenendo, l'intervento del papa:
l'11 febbraio 1997 Giovanni Paolo II firmò un decreto pontificio di
commissariamento della Congregazione paolina. (v. g.)
RUINI L'INEVITABILE "CARRIERA POLITICA"
33215. ROMA-ADISTA. Dal 1991 Ruini non ha mancato di dare
direttive politiche: ha sollecitato, finché ha potuto, il mantenimento
dell'unità politica dei cattolici nella Dc, delegata alla protezione degli
interessi e dei privilegi ecclesiastici; poi, morta la Dc, si è assunto in
prima persona il compito di contrattare con le forze politiche (specie di
destra) le questioni che più stanno "a cuore" alla Chiesa:
"difesa" della vita, bioetica, finanziamento pubblico delle scuole
cattoliche, parità scolastica, famiglia, cultura cattolica. Negli anni recenti,
ha ottenuto la centralizzazione blindata della gestione dei fondi dell'8 per
mille (circa 1 milione di euro l'anno), gestito il grande evento del Giubileo
del 2000 e il mega raduno dei giovani cattolici a Tor Vergata. Ha ricompattato
l'associazionismo cattolico (sua l'idea della "pace" tra Cl e Azione
Cattolica nell'agosto 2004), riunendolo, durante la campagna referendaria sulla
fecondazione assistita, nel Comitato Scienza e Vita. L'obiettivo a medio termine
(v. Adista n. 9/06) è oggi quello della fondazione di un "partito di
Dio": un'unica mente, Ruini, due gambe: la promozione dell'orizzonte etico
cattolico ("difesa" della vita, famiglia, bioetica) affidato alle
"cure" del Comitato Scienza e Vita; la dimensione sociale
(immigrazione, welfare, pace, sussidiarietà, cooperazione, no-profit) appaltata
all'azione di Retinopera, altra creatura cara al cardinale.
Anche in "politica estera" Ruini ha preso per mano la Chiesa italiana,
specie dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001, scostandosi anche
dalle posizioni "pacifiste" del papa. "Non fuggiremo davanti a
loro [i terroristi], anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio".
"Affidiamo [a Dio] (…) tutti gli italiani, militari e civili, che sono in
Iraq e in altri Paesi per compiere una grande e nobile missione, e, con loro,
questa nostra amata Patria, la pace nel mondo e il rispetto per la vita
umana", disse Ruini nell'omelia pronunciata al funerale dei carabinieri
uccisi a Nassiriya, il 18 novembre 2003.
Oggi, però, la nuova frontiera della presenza cristiana caldeggiata da Ruini -
lotta per i valori occidentali, per l'identità cattolica e le radici cristiane,
contrapposizione all'Islam e alla deriva laicista dell'Europa - non ha unito i
cattolici come la gerarchia avrebbe auspicato. Tra i vescovi serpeggia sempre più
acuto il malumore per la gestione autoritaria impressa alla Cei; le parrocchie e
le realtà ecclesiali, in emorragia continua di fedeli, sperimentano che la
"cura" prescritta dal cardinale in questi anni non solo non ha
giovato, ma ha allontanato gli spiriti più attivi ed intellettualmente vivaci.
Eppure il cardinale è sempre lì. La Cei che ha governato per ben 21 anni
arranca, ma lui sembra aver fatto del detto latino "hic manebimus optime"
una filosofia di vita. (v. g.)