la battaglia del teologo singalese contestato dal Vaticano
Roma scomunica... poi torna sui suoi passi
di François Houtart*
da Le monde diplomatique 2.1998
Il 2 gennaio 1997 la Congregazione della dottrina per la
difesa della fede (Cdf), presieduta dal cardinale Ratzinger, notificava la
scomunica a padre Tissa Balasuriya
(1)
Sacerdote di nazionalità singalese, quest'uomo di settantatre anni si vedeva
così colpito dalla più severa delle sanzioni di cui dispone la Chiesa
cattolica. Il suo"crimine" consisteva nell'aver pubblicato, sette
anni prima, un libro dal titolo Marie ou la libération humaine (2)
L'opera, di cui sono state tirate poche centinaia di copie, sarebbe forse
passata inosservata se la Conferenza episcopale singalese non si fosse
dichiarata scandalizzata, fin dalla sua uscita, e non avesse fatto ricorso
alla Congregazione della dottrina, un tempo detta del Sant'Uffizio (a sua
volta erede del tribunale dell'Inquisizione). La scomunica per eresia
significa esclusione dalla Chiesa e rappresenta una pena ben più pesante di
tutte le misure prese nei confronti di altri teologi, europei o americani, o
contro i preti che avevano partecipato al governo sandinista del Nicaragua
durante gli anni Ottanta, o anche nei confrondi del teologo brasiliano
Leonardo Boff (3)
Nel caso di padre Balasuriya si è determinato un
conflitto per molti versi identico a quello che continua a esistere tra Roma e
i teologi della liberazione dell'America latina (4).
Un conflitto che vede in campo due visioni teologiche diametralmente opposte.
Per gli uni l'espressione teologica passa necessariamente per il canale del
magistero, ovvero della gerarchia ecclesiastica. Per gli altri costituisce una
riflessione all'interno di un contesto in continuo rinnovamento: quello della
storia umana, che si trasforma in vero e proprio soggetto teologico.
Padre Balasuriya s'inscrive in questa seconda
corrente, privilegiando, come i teologi latino-americani, l'interesse per i più
poveri e la lotta per la giustizia sociale. E' così che, nella sua ultima
opera, si distacca dalla mariologia tradizionale che, ci dice, presenta
Maria"ora come un'arma offensiva: Maria delle Vittorie, in nome della
quale si è sparso sangue; ora come una figura umile, obbediente e sottomessa,
presentando così un'immagine di asservimento femminile"."Ho cercato
di capire, aggiunge, chi è veramente Maria... [Si tratta di] una donna forte,
adulta e coraggiosa". La sua visione della madre di Gesù sostiene, nei
paragrafi incriminati estratti dal libro, che:"Un approccio mariano al
terzo mondo dovrebbe ispirarsi alla sensibilità e al progetto incarnato dal
Magnificat: nutrire gli affamati e sollevare gli umili".
Su questo punto padre Tissa Balasuriya
è particolarmente incisivo. Ogni volta che affronta le questioni teologiche
lo fa in relazione alla liberazione dei popoli oppressi. E del resto è autore
di numerosi saggi sulla giustizia sociale (5),
scritti in cui descrive lungamente le condizioni di centinaia di milioni di
oppressi, soprattutto in Asia. Vi denuncia la condizione delle donne, private
delle cure più elementari e che muoiono di parto tutti gli anni; quella dei
milioni di bambini che scompaiono in tenera età o ancora quella delle operaie
e degli operai sfruttati da un capitalismo senza scrupoli, soprattutto nelle
zone franche.
La questione del potere nella Chiesa Dunque per il teologo srilankese Maria è
prima di tutto una donna che ha conosciuto, a sua volta, la povertà,
l'ingiustizia e l'esilio, prima di vivere il rifiuto e l'esclusione di suo
figlio, la sua agonia, e infine la sua morte. Padre Balasuriya
nella sua opera affronta da una prospettiva asiatica una serie di temi
particolarmente delicati, come l'Immacolata Concezione, la verginità di
Maria, il sacerdozio delle donne. Egli crede, in effetti, che la fede
cristiana attuale si esprima nel quadro di una certa visione occidentale,
troppo lontana dalla mentalità asiatica.
Nonostante si sia degnata di riconoscere al sacerdote alcune lodevoli
intenzioni (come quella di facilitare il dialogo tra cristianesimo e religioni
orientali, o di presentare un'immagine positiva della femminilità di Maria),
la Congregazione romana si è molto più accanita nel denunciare la rimessa in
discussione di punti essenziali della fede cristiana. In un documento di
undici pagine, la Cfd elencava, nel luglio 1994, la lista delle colpe gravi
commesse dal teologo nella sua opera Marie ou la libération humaine. Padre Balasuriya
vi si vedeva accusato alla rinfusa di mettere sullo stesso piano tutte le
religioni e i loro fondatori, di fare della dottrina del peccato originale
un'ipotesi e un mito, di seminare il dubbio sulla nascita verginale, di
sottovalutare l'importanza della tradizione, di non riconoscere il ruolo
dell'autorità nella Chiesa, di minare il dogma dell'infallibilità del Papa e
infine di essere favorevole al sacerdozio delle donne.
L'accusato non accetta quanto ritiene un coacervo di generalizzazioni
improprie, di equivoci e perfino di falsificazioni del suo libro e del suo
pensiero. Così, a sua volta, nel marzo 1995 fa pervenire alla Cfd una
risposta consistente in un testo di cinquantacinque pagine. Al tempo stesso,
per dimostrare l'autenticità della sua fede, vi si dichiarava pronto a
sottoscrivere il credo di Paolo VI (6).
Pur sottolineando le divergenze rispetto a Roma circa il modo di fare
teologia, replicava a ciascuna delle accuse rivoltegli, refutandole e
aggiungendo ogni volta un commento sulle sue convinzioni, cosa sentita dalla
Congregazione romana come un'ulteriore disubbidienza e una nuova provocazione.
Scriveva per esempio di non negare il peccato originale,"nella misura in
cui tutti noi sperimentiamo un'inclinazione al male". Allo stesso modo
rifiutava l'accusa di aver negato la divinità di Gesù e il concepimento
verginale, senza però rinunciare a proporre ancora una volta la
domanda:"Cosa ci sarebbe di male a essere una madre normale, secondo la
natura umana, così come l'ha fatta il Creatore?".
Quel documento, com'è facile immaginare, non è stato gradito in Vaticano. La
risposta della Congregazione della dottrina per la difesa della fede è
piombata come una mannaia:"Insoddisfacente".
Padre Balasuriya fu informato della scomunica dopo
un lungo scambio epistolare, senza incontri o dialogo. Peggio ancora: l'ultimo
contatto col Vaticano prima della condanna prese la forma di una vera e
propria ingiunzione. Nel maggio 1996, il teologo si vide chiamato a
sottoscrivere una dichiarazione di fede redatta dalla Congregazione romana,
nella quale riconosceva solennemente l'infallibilità pontificia, la verginità
di Maria, Dio come autore dei Libri della Bibbia, nonché l'origine divina (e
non socioculturale) dell'interdizione al sacerdozio per le donne.
Un'imposizione del genere non poteva che risultare inaccettabile per padre Balasuriya,
che rifiutò di cedere. Invece appose la sua firma in calce alla professione
di fede di Paolo VI, precisando che lo faceva nel"contesto dello sviluppo
teologico e delle pratiche della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II e della
libertà e responsabilità dei cristiani e dei teologi, stabilite dal diritto
canonico". La Congregazione romana non apprezzò quel nuovo atto di
indipendenza e pronunciò allora la scomunica, la prima nei confronti di un
teologo dopo il Concilio Vaticano II (7).
L'interessato allora fece appello alla Segnatura apostolica (il tribunale
supremo del Vaticano) che concluse che non c'era ricorso possibile, poiché il
Papa aveva approvato personalmente e in maniera specifica quella sanzione.
Una gran parte delle accuse mosse al teologo singalese ricordavano quelle
mosse ai teologi latino-americani della liberazione negli anni Ottanta. I
discorsi del cardinale Ratzinger, il 24 gennaio 1997, in occasione di una
conferenza stampa a Roma, sono del resto rivelatori. Non si possono ridurre le
divergenze tra padre Balasuriya e la Congregazione
romana alla questione dell'ordinazione femminile al sacerdozio, sottolineava
in sostanza il presidente della Cfd, perché nel libro Marie ou la libération
humaine sono tante le affermazioni assolutamente inaccettabili. Ratzinger non
nascondeva tra l'altro il riferimento all'influenza del marxismo sul pensiero
dell'autore e sulla sua opera, in particolare quando padre Balasuriya
affronta il tema del potere nella Chiesa. Proprio questa potrebbe essere la
posta in gioco dell'"affaire Balasuriya".
E bisogna riconoscerne la rilevanza, poiché la riflessione proposta da
numerosi teologi presuppone un'altra concezione dell'autorità nella Chiesa.
Per la Congregazione romana il magistero è il detentore esclusivo della verità.
Per una nuova generazione di teologi, è piuttosto un catalizzatore.
Secondo questi ultimi è più importante porsi in ascolto delle diverse
espressioni della fede in un mondo in cui l'Occidente ha perduto la sua
egemonia culturale. Si tratta di favorire la comunicazione tra cristiani, di
aiutarli a sostenersi a vicenda e a trovare insieme il senso, in questo
scorcio di millennio, dell'espressione e della pratica della fede ispirata dal
Vangelo.
Il cardinale Ratzinger ha un bel difendersi dall'accusa di"voler imporre
una teologia particolare, come unica e normativa"; di fatto riduce lo
spazio della diversità autorizzata, culturalmente marchiato dall'Europa e
fortemente segnato dall'apparato gerarchico (8).
Col suo pensiero e i suoi scritti contestatari, il teologo solleva la
questione dell'autorità nella Chiesa, e per questo rappresenta una minaccia
per il Vaticano.
A questo si aggiunge un altro elemento, quello della dottrina sociale della
Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II rivendica in questo campo uno statuto
privilegiato che porrebbe quella dottrina al di sopra di ogni critica da parte
delle scienze umane. Se denuncia con forza le ingiustizie in nome del Vangelo,
è però ben lontana dal mettere in discussione i rapporti sociali
dell'economia capitalista. Ciò permette alla Chiesa di coesistere con quel
sistema e di svolgere un ruolo di istanza critica, di denuncia degli abusi del
capitalismo, e dunque in fin dei conti permette la sua riproduzione. Mentre
padre Balasuriya e i teologi della liberazione
vanno più lontano, contestando la logica stessa del capitalismo e la
legittimità del suo funzionamento, fonte di ineguaglianza e di ingiustizie.
Un avvertimento ai vescovi asiatici L'Asia è una realtà multiforme e
complessa. In quel continente, caratterizzato da condizioni di estrema povertà,
si sono radicate grandi tradizioni di pensiero religioso (9).
Sono questi gli aspetti che alcuni intellettuali cattolici, sacerdoti o laici,
desiderano mettere in luce, in stretto collegamento con i protagonisti dei
movimenti sociali.
Sembra proprio che la Santa sede abbia voluto lanciare un avvertimento alle
chiese asiatiche. Un sinodo delle chiese asiatiche dovrebbe infatti tenersi a
Roma nell'aprile del 1998, dopo quelli che hanno visto riunirsi, in questi
ultimi anni, i vescovi d'Africa, d'America, e d'Europa. Ma il documento
preparatorio elaborato dal Vaticano all'inizio del 1997 è fortemente critico
nei confronti dei vescovi giapponesi. Per questi ultimi quel testo
dimostra"una mancanza di comprensione della cultura asiatica".
La sanzione inflitta a padre Balasuriya, a prima
vista di una durezza incomprensibile, può dunque, in questo contesto, essere
interpretata come un'intimazione diretta al cattolicesimo asiatico, tentato di
prendersi troppe libertà nei confronti delle posizioni del Vaticano.
Ma la scomunica ha scioccato più d'uno, in particolare in Asia, dove le
reazioni sono state molte e vigorose: la congregazione religiosa
dell'interessato, gli Oblati di Maria Immacolata (10),
branca singalese, così come la Commissione asiatica per i diritti umani,
l'Associazione ecumenica dei teologi d'Asia, l'Associazione internazionale dei
teologi del terzo mondo, il Forum delle religioni per la solidarietà mondiale
o ancora il Movimento degli studenti cattolici d'Asia e del Pacifico, hanno
protestato e manifestato apertamente la loro solidarietà con l'interessato.
Ci sono state perfino manifestazioni di buddhisti e di induisti.
Anche nel resto del mondo molti si sono schierati dalla parte dello
scomunicato. La sezione belga dell'Associazione dei teologi cattolici e
numerosi organismi di laici o di religiosi dell'America del Nord,
dell'Australia e dell'Europa hanno reagito, né vanno dimenticati teologi
famosi come il gesuita indiano Samuel Ryan o il domenicano australiano Phillip
Kennedy. Dal mondo intero più di diecimila lettere di solidarietà sono state
inviate al prete"eretico".
Padre Tissa Balasuriya
ha senza dubbio sofferto della scomunica che l'ha colpito. Questa punizione è
venuta a interrompere brutalmente una vita di lavoro intellettuale e
spirituale al servizio della Chiesa; ma ritenendo di essere stato oggetto di
un'ingiustizia (11),
il sacerdote ha continato a celebrare tutti i giorni la messa e a denunciare
le situazioni che, in ogni parte del mondo e soprattutto in Asia,
costituiscono un attentato alla dignità della persona umana. E l'ha fatto
richiamandosi al Vangelo.
Roma è poi tornata sui suoi passi e ha ritirato la sanzione. Il processo a
Giovanna d'Arco non fu forse rivisto proprio in virtù del diritto alla
difesa? E' da poco che a Roma è stato dato inizio alla pratica di
beatificazione di Savonarola. Eppure il celebre predicatore era stato
scomunicato da papa Alessandro VI Borgia nel 1497, prima di essere impiccato e
poi bruciato a Firenze!"La sua riabilitazione spiegava il comunicato
diffuso dal Vaticano fu annunciata da Giovanni Paolo II, nel contesto della
penitenza per gli errori storici commessi dalla Chiesa"... Nel caso di
padre Balasuriya c'è mancato poco che si dovesse
aspettare l'anno di grazia 2498.
(Traduzione di M.B.)