Don Franco Barbero: «La Chiesa sempre più lontana dalla sua gente»
Emilio Carnevali
Liberazione 10 luglio 2007
chi è Franco Barbero
A colloquio con il presbitero della comunità cristiana di base di Pinerolo che critica la messa in latino e il ripristino dell'antica preghiera per la conversione degli ebrei: «E' un atto di ostilità. L'ebraismo considerato di serie B»
Nell'ottobre del 2003, in occasione dell'approvazione da parte della Camera di un provvedimento di finanziamento all'Istituto "San Pio V" di Roma, il deputato leghista Salvatore Bricolo prendeva la parola in aula per pronunciare lo straordinario elogio «di uno dei più grandi Papi della storia della Chiesa». «Un papa padano, san Pio V»; «un grande inquisitore» che «si batté contro l'islam», «indisse la crociata contro i turchi» e «rese perenne la messa in latino in rito romano antico». Quattro secoli dopo, però, arrivò il Concilio Vaticano II: «Paolo VI - disse Bricolo - ruppe con la continuità di duemila anni di tradizione liturgica e promulgò la Costituzione apostolica Missale Romanum. Si trattava di un cambiamento radicale, eseguito in spirito ecumenico; si "protestantizzò" la liturgia, si girarono gli altari, ma soprattutto si crearono i presupposti e si aprì la strada per un processo di riforma liturgica che ora permette a sacerdoti sempre più disorientati di celebrare messe con rappresentanti di altre religioni, di celebrare messe con la bandiera della pace sull'altare, di introdurre tamburi, chitarre, ballerini nelle chiese, di servire la comunione non più in ginocchio in segno di riverenza ma in piedi o addirittura nelle mani, di fare confessioni comuni, cambiando talvolta il significato stesso della Messa da sacrificio redentivo a banchetto conviviale».
Bricolo, e tanti come lui, trovano oggi un motivo di grande soddisfazione. Con il Motu proprio «sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970» papa Ratzinger, a quarant'anni dal Vaticano II, "liberalizza" l'utilizzo del vecchio rito pre-conciliare, fino ad oggi consentito solo a gruppi specifici di fedeli esplicitamente autorizzati dal vescovo. Il gesto di Ratzinger rappresenta una mano tesa verso gli ultratradizionalisti della Fraternità di San Pio X, detti anche "lefebvriani" dal nome del vescovo scomunicato Marcel Lefebvre, che non hanno mai riconosciuto le riforme introdotte dal Vaticano II. Ma il rito tridentino non è che un tassello, pur di grande valore simbolico, di un progetto ben più ampio, di una visione generale della Chiesa e del suo ruolo nella società, che con il nuovo papa sta subendo una vigorosa accelerazione. Alla vigilia dell'uscita del Motu proprio la rivista cattolica francese Témoignage Chrétien ha pubblicato un ironico editoriale in latino in cui si legge: «Coloro che sono fedeli al Concilio non hanno paura della lingua latina, né dei campanelli, ma del modo di guardare il mondo di quelli che difendono il rito tridentino». «Il rito di Pio V è quello di una Chiesa che si credeva unica detentrice della verità» e rifiuta «i risultati fondamentali del Concilio: lo sguardo positivo sull'umanità, il riconoscimento del ruolo dei laici e l'apertura alle altre religioni».
Non è un caso, infatti, che spesso i movimenti dell'estrema destra "identitaria" in Europa trovino nelle organizzazioni fondamentaliste come quella dei lefebvriani degli alleati nello "scontro di civiltà" sia contro l'islam e le comunità di migranti musulmani, sia contro l'"arrendevole" relativismo laicista che indebolisce l'unità interna della "Cristianità" (solo per rimanere in Italia basta pensare ai legami tra la Confraternita di Pio X ed esponenti di primo piano della Lega Nord e di Forza Nuova).
Sulle novità introdotte dal Motu proprio pontificio, e sulle sue conseguenze, abbiamo chiesto un parere a don Franco Barbero, presbitero della comunità cristiana di base di Pinerolo.
Oltre all'utilizzo della lingua latina, quali sono le caratteristiche principali della messa pre-conciliare reintrodotta da papa Ratzinger?
E' molto importante soffermarsi su questi aspetti, perché è ciò che sta "sotto" i vari simboli della liturgia a rivelare un diverso orizzonte teologico. Nel rito tridentino il prete gira le spalle al popolo. Questo significa contraddire ciò che è stato espresso dal Concilio: l'assemblea è fatta dal ministro e da tutte le persone che partecipano. Si intende così dividere il popolo dal clero. Qui si rivela, direi, lo "stile teologico" di papa Ratzinger. Una divisione netta: bisogna che i ministri cosiddetti "sacri" siano ben visibili e distinguibili dal popolo. E' inoltre significativo che nessun giornale abbia fatto menzione di un aspetto fondamentale del contenuto del Motu proprio papale. Le nuove disposizioni riguarderanno anche i sacramenti del battesimo, della cresima, del matrimoni, l'unzione degli infermi e la celebrazione delle esequie. Il rito tridentino potrà essere utilizzato in tutte queste celebrazioni liturgiche. Siamo quindi di fronte ad un'impostazione che tende davvero a "risacralizzare" la funzione del prete, ad affermare una "teologia divisoria".
Ha suscitato molte polemiche il fatto che il messale "di San Pio V" contenga espressioni "antisemite". Che conseguenze potrà avere tutto ciò sul dialogo tra ebrei e cristiani?
Intanto va sottolineato che queste annotazioni sono vere. Nella preghiera del Venerdì Santo c'è l'invocazione per la conversione degli ebrei, per «l'accecamento di quel popolo, affinché riconosciuta la verità della tua luce, che è il Cristo, sia sottratto alle sue tenebre». Con le modifiche di Giovanni XXIII viene tolta l'espressione "perfidi giudei", ma rimane la preghiera di conversione. E se io chiedo ad un ebreo di convertirsi al cristianesimo significa che ritengo che l'ebraismo sia "finalizzato" al cristianesimo: come la notte prima del giorno. Insomma, l'ebraismo viene considerato "inferiore" al cristianesimo. Qui non siamo di fronte ad una scorrettezza, ma ad una vera e propria eresia che calpesta il dialogo ecumenico. Ma come ci permettiamo di dire ad un credente di un'altra religione che per essere un vero credente deve convertirsi alla nostra? A parte il fatto che Gesù non si è mai "fatto cristiano"; Gesù era un ebreo, è stato completamente un ebreo. Che presunzione abbiamo! Questa preghiera si inserisce all'interno di un più generale atteggiamento che ritengo estremamente allarmante, un atteggiamento di mancanza di rispetto, se non addirittura di disprezzo, nei confronti delle altre religioni. E' un disprezzo magari velato, che non si manifesta sempre in modo eclatante. Alla fine si ritorna sempre allo spirito del discorso di Ratisbona. Là il riferimento era agli islamici, qui agli ebrei. Ma l'arroganza è sempre la stessa.
Quali rapporti possono essere individuati tra questa deriva interna alla Chiesa e l'affermarsi nelle società occidentali di forze politiche che spingono verso uno "scontro di civiltà"?
Questo è un problema che ha radici profonde. Basta pensare a tutto il dibattito, nato inizialmente negli Stati Uniti, sul "disegno intelligente" e sul creazionismo. Siamo su terreni paralleli. In realtà esiste a mio avviso, anche in Italia, una forte componente di quella destra planetaria che usa l'elemento religioso per supportare ideologicamente delle politiche di restaurazione. Anche nel nostro Paese vi è una forte corrente di pensiero che caldeggia questo "ritorno all'antico". E non mi riferisco qui al problema del latino nella liturgia, che tra l'altro è una lingua che amo e che ho insegnato per molti anni. Mi riferisco ad un più complessivo progetto che intende rimettere in discussione alcune fondamentali conquiste della modernità. Assistiamo al ritorno di un universo mentale che passando attraverso battaglie ideologiche come quella sul creazionismo - ma si potrebbero fare molti esempi - arriva fino alla negazione effettiva di diritti. Pensiamo a cosa è successo in Italia rispetto alla legge 40. Per me questi sono tutti elementi che trovano un filo conduttore in una "politica planetaria di restaurazione". In tal senso i legami tra componenti politiche e componenti religiose sono organici e profondi.