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Alcune riflessioni sui miracoli di Gesù

Dialogo tra don Franco Barbero e la comunità di base di Pinerolo, tratto dal libro “Lazzaro vieni fuori” della cdb di Pinerolo

 

Sono veri i miracoli o no?

 

 

FRANCA: I miracoli costituiscono per me tutt’altro che un aiuto a credere. Mi sembra che dalla descrizione dei miracoli del Vangelo possa derivare la visione di un Gesù “mago”.

 

FRANCO: Effettivamente troppe volte Gesù ci è stato descritto come “colui che fa miracoli” quasi che i miracoli, nel loro aspetto glorioso, fossero il centro dell’evangelo, della vita e del messaggio di Gesù. La concezione di un Gesù “mago” ancora oggi è troppo presente. Ti dirò di più: penso che la interpretazione dei racconti di miracolo costituisca una delle “croci”, uno dei punti caldi, una delle questioni aperte anche tra gli studiosi del Nuovo Testamento.

 

SERGIO: E che cosa ci dicono questi studiosi?

 

FRANCO: Anche per loro parecchie cose restano oscure. Guai a pensare che essi abbiano risolto tutti i problemi e sappiano spiegarci tutto. Certo, ci forniscono, anche per quanto riguarda i miracoli, elementi di conoscenza indispensabili. Inoltre tra gli studiosi esistono anche pareri molto diversi. Ci sono, però, alcuni punti sui quali davvero ci possono aiutare.

 

MARIO: Quali, per esempio?

 

FRANCO: Per esempio ci mettono in guardia da una lettura ingenua, che consideri la narrazione dei miracoli come la cronaca diretta o la fotografia di un avvenimento, di un fatto.

 

GRAZIA: Vuoi dire che ciò che viene narrato non è vero, non è successo o non è successo in quel modo?

 

FRANCO: Direi che, a volte, c’è un nucleo di verità e poi una cornice, una costruzione letteraria e simbolica, un ingrandimento e, spesso, la creazione di certe aggiunte miracolose e (qualche volta) magiche che erano proprie della cultura e del linguaggio del tempo degli scrittori dei vangeli. Forse qualche volta il racconto è quasi solo una eco (come dice G. Theissen) dell’agire di Gesù. Probabilmente più spesso i racconti evangelici di miracolo si possono leggere come azioni simboliche provocate dal Gesù storico nelle quali la figura storica di Gesù è intensificata,ingigantita oltre ogni misura. In qualche modo si potrebbe dire che ogni «miracolo» è un caso a se. Non si può escludere a priori l’ipotesi di una «leggendarizzazione» che ricami su un dato di base o di un puro e semplice aneddoto miracoloso o di una leggenda, come nel caso della moneta d’argento trovata in bocca al pesce per pagare la tassa per il tempio (Matteo 17, 24-27). Certo è davvero difficile individuare ciò che Gesù ha fatto in ogni singolo caso perchè c’è tutta una siepe, un insieme di aggiunte, che rischiano di deviare la nostra comprensione. Per noi è molto difficile renderci conto della mentalità e del linguaggio di allora.

 

ANTONIA: Adesso mi sembra già più chiaro, però...

 

FRANCO: Però... è ancora necessario approfondire un aspetto. La verità di un “miracolo” non consiste nella fotografia di un gesto di Gesù, ma nella individuazione di un messaggio. Ecco ciò che conta. Bisogna giungere al midollo e spogliare il racconto della corteccia, dei rivestimenti spesso letterari e leggendari, per arrivare al cuore del miracolo.

 

ENRICA: Ci sono davvero molte diversità tra un racconto di miracolo e l’altro.

 

FRANCO: Questo è un elemento che va tenuto presente. Pensa quale ventaglio di letterature va sotto la sigla “romanzo”! Anche i racconti di miracolo riproducono una varietà che non può essere ne cancellata, ne sminuita, a tal punto che non è del tutto fuori luogo dire che «ogni miracolo è un caso a se».

 

ENRICA: Quindi le catalogazioni servono, ma solo fino ad un certo punto.

 

FRANCO: Proprio così. Per esempio sarà bene non dimenticare un genere di racconti tutto particolare, quello che è «costruito» in modo da servire come veicolo per un «detto del Signore». Ci sono nel Nuovo Testamento diversi racconti di miracolo che sono riferiti per offrire una cornice o uno sfondo a un detto di Gesù (esempi: Mc 2,1-12; 3,1-6; Lc 13,10-17; 14,1-6; 17,11-16; Mt 8,5-13). 

ENRICA: Ma come si fa ad individuare questi diversi «generi letterari » o queste diverse specie?

 

FRANCO: Leggendo e rileggendo la Bibbia tante differenze e convergenze si colgono più facilmente. È evidente che qui, oltre all’assiduità biblica che «fa l’orecchio», servono le «introduzioni» e i «commentari». Non è affatto necessario averne un mucchio e leggerne una biblioteca, ma poter disporre di alcuni strumenti essenziali e saperli usare.  Gli animatori delle comunità hanno anche il compito di suggerire i libri adatti e di iniziare alla lettura. Questo servizio richiede molta serietà e non può essere trascurato senza un grave danno per tutta la comunità.  ANNA: È vero che tante volte viene ripreso il linguaggio del Vecchio Testamento e ne vengono riportati gli esempi, le immagini, lo stile miracoloso?

 

FRANCO: Questo è un elemento importantissimo. Faccio un esempio. È impossibile capire che cosa significhi nei vangeli la moltiplicazione dei pani (tra l’altro, sia detto così... di passaggio, la parola «moltiplicazione» è nostra e non figura nel testo biblico) se non ci si riferisce alle pagine dell’Esodo in cui Dio assicura la manna al suo popolo che cammina nel deserto e alle pagine in cui gli inviati di Dio (i profeti) moltiplicano il pane in tempo di ristrettezza per Israele. In Gesù, il definitivo inviato di Dio, non si compiranno queste «meraviglie» di Dio stesso? Ciò che viene detto dei profeti come Eliseo non sarà detto mille volte di più di Gesù?

 

PIA: E allora che cosa ci può insegnare una pagina come quella che tu citavi della «moltiplicazione” dei pani?

FRANCO: Tantissime lezioni ci dà questa pagina. Gesù è venuto a praticare personalmente, a insegnare a noi e ad inaugurare nel mondo la strada della condivisione. Se ognuno portasse i pochi pani e i pochi pesci di cui dispone... ce ne sarebbe per tutti. La condivisione, e non l’accumulo, sono la via di Dio. Non si tratta necessariamente di pensare ad un Gesù che moltiplica il pane, ma alla sua chiamata che convince i presenti a condividere le loro modeste scorte di viaggio. Dov’è che si manifesta la volontà di Dio? Questa pagina ci fa vedere la realizzazione della volontà di Dio nella «prassi di condivisione». Ecco una possibile chiave di lettura tra le altre. Bultmann, invece, dice che il segno del pane ha « un significato simbolico speciale in quanto presenta la rivelazione come cibo

LINO: Ce ne sarebbero altre?

 

FRANCO: Certamente. Esiste una chiave di lettura che ricaviamo ancora dal Vecchio Testamento, precisamente dall’Esodo: Quando il popolo povero si mette in viaggio sulla strada della liberazione, Dio cammina con lui e gli dà il “pane del cammino”, cioè la forza, la speranza, il coraggio necessario per far fronte alle difficoltà. Altrove, nei libri profetici, Dio inaugura i giorni dell’abbondanza per i poveri e gli affamati attraverso i profeti (1-2 Re). 

VALENTINA: Ma perchè insisti tanto sul Vecchio Testamento?

 

FRANCO: Perchè esso ha costituito una fonte di estrema importanza per le comunità e per gli scritti del Nuovo Testamento, anche per i racconti di miracolo. 

LINO: Ma, allora, in che senso il racconto di miracolo è «vero» e non ci narra delle menzogne?  FRANCO: Si tratta di un racconto teologicamente vero perchè contiene, sotto una forma letteraria del tempo di allora, una “verità” incredibilmente valida per il nostro tempo; anzi, per tutti i tempi. Questa è la verità più profonda dei miracoli.

 

LUISA: Ma, allora, la parola miracolo è un po’ fuori posto e può facilmente indurre in errore.  FRANCO: La parola “miracolo” è veramente ambigua e può fare pensare ad un Gesù che compie delle magie, ad un Gesù “stregone” oppure ad un Gesù onnipotente, che può fare tutto. Proprio per questo la metterei tra virgolette. Ma, ben compresa, questa parola è tutt’altro che da gettare via. Del resto ogni vocabolo che usiamo, ogni parola non è mai capace di dire tutto e di esprimerlo adeguata-mente, senza alcuna ambiguità.

 

MEMO: Faccio un passo indietro. Portami un esempio che mi aiuti a capire come gli scrittori degli evangeli possano aver “utilizzato” in modo creativo qualche testo del Vecchio Testamento.

 

FRANCO: Prendi la narrazione del miracoloso salvataggio, cioè la tempesta sedata (Marco 4, 35-41). Vuoi ora cercare la narrazione della tempesta nel libro di Giona, che si trova appunto nel Vecchio Testamento? Il brano del Vangelo di Marco rivela numerosi e stretti paralleli, fin nelle citazioni, con il primo capitolo del libro di Giona (e con il salmo 107, 23-32). Non farai fatica a trovarli, se leggi attentamente. Gesù dorme come Giona. ..Come in Giona 1, 10 e 16 i discepoli hanno paura... Il messaggio è chiaro: qui c’è uno che sorpassa Giona, gli è molto superiore; Gesù placa la tempesta perchè in lui agisce la mano di Dio. Non voglio dire con questo che gli evangelisti abbiano semplicemente copiato. Hanno preso le «pietre» del Vecchio Testamento e se ne sono serviti per esporre la novità evangelica. Questo intendo per utilizzo creativo e libero. 

ANTONIA: Mi sembra, però, che tu fai riferimenti, illustri con esempi, insisti molto sui significati dei racconti, ma «scappi» un po’ quando ti viene domandato che cosa è successo con precisione in un certo miracolo.

 

FRANCO: Hai colto nel segno. Ho molta diffidenza verso ogni interpretazione che tenti di «fotografare» l’accaduto, il «fatto» che può stare sotto un racconto di miracolo. L’agire di Dio che si è manifestato in modo sommo nella esistenza storica di Gesù, il «figlio di Dio», probabilmente va lasciato nella sua totale alterità, novità e stravaganza. Dio può agire e aver agito al di là di ogni nostra congettura e analisi. Vorrei non manomettere questa libertà di Dio e non costringerla dentro gli orizzonti della mia logica. Il credente che studia e approfondisce scientificamente i dati storici e le strutture letterarie di un racconto di miracolo è lo stesso che, pregando, adorando e contemplando le «meraviglie» di Dio, diventa sempre più attento a non legare la Parola e l’azione di Dio (manifestatesi in Gesù) ad una sola interpretazione. Non riesco mai ad esprimere pienamente questa esperienza che sento come costitutiva del mio essere credente. Questa mia incapacità di esprimermi mi fa soffrire. Ho sempre paura che, quando si trasmettono informazioni esegetiche, qualcuno le prenda come gli strumenti per «spiegare» un miracolo e «smontarlo» in pezzi! Per me le conoscenze storiche, letterarie ed esegetiche sono semplicemente i passi fragili ed adoranti per accostarmi al mistero di Dio. Guai a perdere questa profonda coscienza dell’insondabile azione di Dio! 

 

ANTONIA: Da una parte tu insisti continuamente sull’esigenza di appropriarsi di strumenti, dall’altra ci parli di un Dio che non può mai essere catturato dalle nostre « spiegazioni ».

 

FRANCO: Ricordi la pagina di Mosè che si avvicina al roveto ardente? La Bibbia ci riporta questa esperienza con grande vigore mettendo sulla bocca di Dio una frase estremamente significativa proprio quando Mosè pensò di avvicinarsi al cespuglio: «“Fermati lì! Togliti i sandali, perchè il luogo in cui ti trovi è terra sacra! lo sono il Dio di tuo padre, lo stesso Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe” .Mosè si coprì la faccia perchè aveva paura di guardare Dio» (Esodo 3). Mosè che viene invitato a togliersi i calzari e a riconoscere la “terra sacra» non allude forse a questa coscienza adorante che teme di calpestare 1’opera di Dio? Nel nostro cammino verso Dio... forse dobbiamo imparare ad adorare di più. Il che non vuole assolutamente dire - e ci tengo a ribadirlo -che si debba studiare di meno. Ma perchè dovremmo, con un viziaccio tutto occidentale, dissociare la ragione dalla adorazione? Non apprezzo la teologia e la scienza biblica quando rinunciano al rischio. Occorre rischiare e dare interpretazioni, ma non va mai dimenticata o oscurata la distanza che esiste tra fatto, racconto, messaggio e interpretazione. Per questo direi che il «che cosa è successo» è una domanda comprensibile, ma non centrale e, spesso, rischia di essere posta in termini scorretti e, personalmente, non mi sembrano mai produttive le risposte categoriche che non lasciano spazio ad altre possibilità. lo combatto la battaglia per i diritti di Dio, in primo luogo per la sua libertà

Ma questo Gesù... sempre da scoprire!

 

DORANNA: Ma tu sembri mettere in dubbio che Gesù è onnipotente.

 

FRANCO: Hai proprio ragione. Gesù, essendo l’Inviato di Dio nel senso che è uno di noi comuni mortali, che però Dio ha scelto per una missione unica e particolare, non è necessariamente un essere onnipotente. Egli partecipa, in tutto e per tutto, della nostra limitatezza ed impotenza.  Non bisogna confondere Dio, il Padre, con Gesù. Questa distinzione va tenuta ben ferma. Per quel che riesco a capire, Gesù è destituito di onnipotenza assoluta. Gesù può fare tutto ciò per cui Dio l’ha scelto; tutto ciò per cui Dio gli dà la forza.

 

FRANCA: Ti dirò francamente che questo Gesù senza onnipotenza davvero mi può interessare ed essere vicino perchè io non potrei mai e poi mai pensare di diventare discepola di uno che è onnipotente. Uno che muore, ma sa già, fin nei dettagli, come e quando risorgerà, uno che può guarire al solo tocco i ciechi e i sordi, che risuscita i morti e risolve qualunque problema e difficoltà con un tocco magico o con una parola, come potrebbe essere da me seguito? Se invece il Vangelo mi dice che la volontà di Dio è stata vissuta appieno proprio da un essere impotente e debole come me, allora posso tentare di mettermi su questa strada.

 

FRANCO: E non credere che questo sia un Gesù «più facile». Infatti se l’uomo Gesù, debole come noi, ha compiuto le scelte che ha compiuto solo perchè ha accolto fino in fondo la chiamata di Dio, allora... non ci sono più scuse per noi. Ora tocca a noi rispondere come lui alla volontà del Padre.

 

SERGIO: Però, sinceramente, qualche volta pensare ad un Gesù che fa miracoli magicamente... mi fa piacere!

 

FRANCO: Ci fa piacere O comodo? Non significa forse rivolgerci ad un Gesù che ci risolve magicamente, con un bel miracoletto, i nostri problemi e ci dispensa dall’assumere fino in fondo le nostre responsabilità? Dio non dà ai suoi figli l’onnipotenza, nemmeno ai suoi inviati, ma li accompagna con la sua mano, li sostiene con la sua forza, li sorregge con la sua speranza. Poi vuole che siamo noi ad assumere fino in fondo, nel lungo e tortuoso cammino della liberazione, tutte le nostre responsabilità. Ti accorgi quanto è più «scandalosa», ma insieme affascinante, questa fede?

 

GRAZIA: Tutto questo ha conseguenze molto dense e profonde per la nostra vita di ogni giorno come cristiani, discepoli di Gesù?

 

FRANCO: Mi pare proprio di sì. Innanzitutto è scandaloso dire che la manifestazione di Dio, cioè il suo Figlio, è un uomo terribilmente fragile, uno che sarà sconfitto. Ma questa è la “sconcertante novità” del messaggio evangelico. Il Dio che non sta dalla parte dei faraoni e dei potenti si manifesta nella carne di un uomo perdente, povero, sconfitto. Noi vorremmo una fede gloriosa, vittoriosa, una fede che sfonda, che passa di trionfo in trionfo. Invece... Gesù, colui che incarna la vera fede in Dio, colui che vive la sua volontà, non è assolutamente un essere glorioso, un uomo che ha successo! Ma c’è di più. Mi sembra che una fede «miracolosa» autorizzerebbe in noi una pericolosa tentazione: quella di spingerci sempre verso qualche «padre», qualche «potente», qualche «mago» che risolva per noi i problemi. Siamo sempre tentati di usare Dio come tappa-buchi e la fede in lui come sostitutiva del nostro impegno.

 

COSTANZA: Sto scoprendo, da un po’ di tempo, che davvero i miracoli in senso magico o nel senso dei gesti onnipotenti, probabilmente non esistono, Se vogliamo cambiare i rapporti tra di noi, cambiare questa società non fraterna, non ci resta che la via della responsabilità. Forse allora

il miracolo in senso vero avviene quando noi, ascoltando il messaggio biblico e mettendoci sulla strada di Gesù, non ci tiriamo indietro e perseveriamo nella speranza e nell’impegno. Sai, Franco, che per me il più grande miracolo è appunto perseverare. Trovo che la gente parte, è sensibile, incomincia, poi però si stanca tanto presto e molla. Lo constato a scuola e un po’ dovunque. Per me uno che per tutta la vita abbia fiducia in Dio, non ritiri il suo impegno e non si lasci stancare nei tempi lunghi, costui è un miracolo vivente.

 

FRANCO: Non è forse in questo senso, non in singoli atti di onnipotenza e di magia, che tutta la vita di Gesù è un miracolo reso possibile dall’aiuto di Dio? Ma... bisogna esser impotenti per fare questo miracolo e scoprire Dio che è all’opera nel mondo e in noi. È lui che rende possibile questo.

 

LUISA: Dunque, quando leggiamo di brani che ci parlano del Dio che viene in aiuto al popolo che soffre, che colpisce il faraone, che fa prodigi magici e improvvisi, dobbiamo forse intendere che il Signore ha fatto nascere nei poveri e negli sfruttati la voglia di lottare, di organizzarsi di cercare con tutti i mezzi di combattere l’ingiustizia. Poi, quando si stancavano, ha risuscitato la loro speranza.  GIANNI: E... soprattutto li ha resi perseveranti..., è sorgente di perseveranza.

F

RANCO: Anch’io leggo così quelle pagine bibliche e la penso proprio così, anche perchè in me e nella storia del mondo e delle nostre comunità, Dio non è forse Colui che ci risveglia, ci rimette in cammino, ci dà fortezza e speranza? Certo che Dio è libero di manifestarsi come vuole e io devo essere attento, come una sentinella, per cogliere tutti i guizzi o le tracce della sua presenza. E sovente è come un ladro: arriva nella notte. Voglio dire che sovente i segni di Dio sono proprio là dove noi non li aspettiamo. Non crediamo di averlo compreso esaurientemente con queste riflessioni: sarebbe una bestemmia! Lasciamo a Dio intatta la sua libertà di agire anche in mille altri modi. Non dobbiamo credere che l’azione di Dio coincida con le nostre interpretazioni che sono sempre dei tentativi di «farci una idea». Esse sono sempre parziali e riduttive. Una cosa, comunque, è certa: chi incontrò in profondità Gesù incontrò la salvezza. Proprio la salvezza di Dio raggiungeva le persone attraverso le parole e le azioni di Gesù. I miracoli sono anche il racconto di questa esperienza dell’amore di Dio che, tramite Gesù, salva. Questi racconti vogliono «provocare» oggi in noi lo stesso incontro «salvifico » con la persona di Gesù per aprire i nostri cuori alla salvezza di Dio.

 

CARLA: Quando sento dire «salvezza» mi si drizzano un po’ le orecchie come se risentissi una di quelle parole evanescenti e misteriose che, per dire tutto, non indicano nulla di preciso. Questa però è solo la prima impressione. Infatti, se situo il concetto di salvezza all’interno delle riflessioni che stiamo ora compiendo, mi accorgo che non si tratta affatto di una realtà impalpabile. Anzi, salvezza indica, se capisco bene, l’azione di quel Dio che vuole il nostro bene concreto, la nostra felicità. E il Dio della vita che ci porta salvezza. Per me salvezza comprende senso della vita, salute, libertà, conversione, superamento dei limiti, vittoria sui mille volti e risvolti del peccato, vittoria sulla morte, promessa della «compagnia » di Dio durante il nostro cammino di donne e di uomini. Come si può dire che la salvezza non è una «cosa» concreta?

 

Ma... perchè hanno scritto tanti miracoli?

 

GIORGIO: Queste cose me ne chiariscono parecchie altre, ma... mi resta una domanda: «Perchè gli evangelisti ci hanno messo tanti miracoli nei loro Vangeli»?

 

FRANCO: La tua è una domanda grossa, di quelle che esigono un volume per rispondere! Vediamo di sintetizzare con alcune risposte flash che, con il tempo, approfondiremo insieme. Ti dico quello che mi sembra di capire, con tutti i miei limiti, e quello che ho trovato stimolante per la mia vita di fede. C’era alle spalle e nella mente dei credenti di allora un «immaginario», cioè un modo di concepire l’intervento di Dio, che era fortemente caratterizzato dalla immagine di un Dio che supera in potenza gli altri dèi. Q’era anche, probabilmente, qualche contagio di magia perchè la loro fede (come del resto la nostra di oggi) risentiva della cultura, dell’ambiente, delle idee di quel tempo. In più gli scrittori di questi Vangeli scrissero alla luce di una fede che era fortemente radicata nel Vecchio Testamento e nel suo linguaggio ed essi attinsero abbondantemente dal Vecchio Testamento. Quando parlavano di Dio o dei suoi profeti ed inviati erano profondamente condizio-nati da questa loro «educazione veterotestamentaria». 

 

CRISTINA: Per noi è difficile renderci conto che il loro modo di pensare e di esprimersi era davvero diverso. I millenni non passano invano e bisogna tenere conto di questa distanza nel tempo che crea differenza nella mentalità. Cultura qui, se capisco bene, vuol dire appunto mentalità, concezioni, immagini, linguaggio

 

GRAZIA: Allora bisogna sempre capire il nocciolo, ciò che ci sta sotto. Adesso, per esempio, capisco meglio il fatto che nei Vangeli si dice che Gesù è “luce del mondo, agnello di Dio, figlio di Dio, vita, verità, pane vivo” e altre espressioni del genere. Sono delle metafore, delle immagini, delle descrizioni della funzione di Gesù. Figlio perchè è creatu-ra di Dio, suo amico intimo, suo porta-parola. 

COSTANZA: Adesso capisco perche, per leggere i Vangeli, è tanto importante conoscere il Vecchio Testamento. È un po’ come la grammatica... con le sue regole... 

F

RANCO: Certo, è essenziale amare e percorrere in lungo e in largo il Vecchio Testamento. Lo facciamo troppo poco. Esso non è solo come una grammatica; è addirittura la prima parte di quell’unica grande avventura d’amore che Dio vive e annuncia a tutti noi e che la Bibbia ci testi-monia.

 

FRANCA: Dunque, nei racconti di miracolo bisogna saper cogliere, come altrove, non un resoconto di cronaca, ma il linguaggio di fede di una comunità che cerca, con i suoi pregi e i suoi limiti, il modo, le immagini e le similitudini per annunciare Gesù alla gente, ai contemporanei.

 

FRANCO: Franca ha ribadito un tasto importante, che mi permette di fare una ulteriore annotazione. Parto con un esempio: ricordate il brano della tempesta sedata (Marco 4, 35-41 )? Questo Gesù potente che con un gesto si fa obbedire dal vento e dalla burrasca, viene un po’ creato con «pietre» e materiali e anche immaginari del Vecchio Testamento (ricordate che lo abbiamo accennato?) ma anche dalle esigenze missionarie, cioè di predicazione, di allora. Mi spiego meglio: come presentare un Gesù credibile in un mondo in cui tutti i grandi predicatori venivano celebrati per i loro strepitosi prodigi? Non si poteva certo tacere la sua morte, ma limitarsi a narrare di un uomo che aveva vissuto amando e predicando e poi aveva fatto fiasco, non sembrava ai discepoli d’allora molto presentabile alla gente.

 

ANNA: E allora?

 

FRANCO: Per avere un minimo di accoglienza in un ambiente pagano pensano che occorreva presentare Gesù come superiore, non da meno dei vari «uomini divini.. che l’antichità conosceva in quelle zone della prima missione evangelizzazione. Oggi diremmo che questo presentare un Gesù potente era un’esigenza di concorrenza missionaria, come scrive lo studioso cattolico A. Pesch, con tutti i rischi che tale scelta poteva comportare. Gesù è superiore, sembra dirci il brano, ai guaritori miracolosi (taumaturghi) ellenistici. Nessuno può reggere al suo confronto.  Se Cesare rivendicava una potenza «protettrice» durante la tempesta tanto da poter dire: « Non temere nulla! Tu porti Cesare e la fortuna di Cesare viaggia con te! », come leggiamo in Plutarco; se Cicerone scrive di Pompeo «che alla sua volontà non solo acconsentivano i cittadini, aderivano gli alleati e obbedivano i nemici, ma si piegavano persino i venti e le tempeste»; se di Apollonio di Tiana si diceva che era ambito accompagnarlo nei viaggi e nelle navigazioni più arrischiate perchè con Apollo anche il mare restava calmo, come non dire di Gesù che, al cenno della sua voce, si placavano anche le tempeste più scatenate? Così la tradizione che ci parla di Gesù cercò allora di proclamare che in lui operava la mano di Dio. Gesù viene così rappresentato

come “l’uomo di Dio” che supera tutti i taumaturghi e i salvatori del mondo ellenistico. Non bisogna esagerare l’influenza ellenistica, ma essa in qualche modo fu presente. Pesò molto di più l’eredità del Vecchio Testamento.

 

Anche formulazioni ambigue?

 

MEMO: Se però le cose stanno così, mi sorgono altri interrogativi. Allora vuoi dire che già nei Vangeli ci sono delle formulazioni ambigue, delle riflessioni molto imperfette e datate su Gesù.

 

FRANCO: Probabilmente non potrebbe essere diversamente. In tutto il Nuovo Testamento, anzi in tutta la Bibbia , noi troviamo la Parola di Dio seminata in mezzo a mille e mille parole umàne, imperfette e contingenti, veramente datate. Il bello è che Dio si serve di parole umane per farci giungere la sua Parola vivente. Del resto, se ci pensiamo bene, non potrebbe essere diversamente. Chi ha scritto la Bibbia ? Erano persone come noi, con un linguaggio ed una mentalità particolari, situati in un tempo particolare. Anche oggi noi non troviamo mai una persona o una realtà in cui si incarni allo stato puro e perfetto la volontà di Dio. L’oro va cercato tra le pietre, in mescolanza e in contaminazione! Perciò, nel loro annuncio di Gesù, gli evangelisti ci lasciano la testimonianza preziosa della loro fede, con i suoi lati luminosi e con le sue zone d’ombra. Dietro di loro c’è la vita delle comunità di allora, piene di problemi, ricche di tensioni, con mille incertezze, ma con lo sguardo e il cuore fisso su Gesù, nel costante tentativo di capirne sempre qualcosa in più, per poterlo seguire più fedelmente soprattutto. Non ti stupire: noi saremmo oggi capaci di parlare «perfettamente» delle opere che Dio ha compiuto attraverso Gesù? Neanche per sogno! 

 

LUISA: Qui non c’è scampo. Non c’è davvero la «rivelazione» di Dio che ci piove dal cielo, direttamente, magicamente. Bisogna scavare con fatica comunitaria e personale. Adesso mi è anche un tantino più chiaro perchè leggere la Bibbia letteralmente, così com’è scritta, senza sapere la storia delle comunità credenti di cui essa è testimonianza, significa tradirla o, almeno, correr dei rischi di manipolazione.

 

FRANCO: Come una maniera più grave di tradire la Bibbia è quella di leggerla intellettualisticamente, solo con la mente, fuori della vita, senza cuore e senza pregare il Signore che ce la faccia gustare.

 

SERGIO: Non so se dico un’eresia, ma a me sembra che,dietro i racconti di miracoli, faccia capolino anche la «poca fede» degli evangelisti. Anche per loro è stato difficile seguire un maestro che ha fatto fiasco, che non ha vinto e allora hanno «abbellito» la sua vita e il suo messaggio con un pugno di miracoli. È possibile che sia successo anche questo?

 

FRANCO: A me sembra più che possibile. Anche quando testimoniamo la nostra fede viene fuori la nostra poca fede. Noi siamo sempre tentati di colorare di gloria la vita di Gesù e già nel Nuovo Testamento questa infezione della gloria e della onnipotenza forse non è del tutto assente.  Certi testi ci presentano una «cristologia alta», cioè un Gesù glorioso! Facciamo di tutto per dimenticare la vicenda storica e reale di Gesù di Nazareth, colui che ci ha fatto vedere le scelte «ingloriose» di Dio. In una società dell’apparenza, della efficienza... Gesù è un prodotto che non determina concorrenza. Ma questo scandalo è proprio l’originalità di quel Dio che Gesù è venuto a mostrarci con le sue scelte di vita

C

RISTINA: Insomma, Gesù ha proprio uno stile diverso da quello spettacolare e trionfalistico di Wojtyla... 

DORANNA: Prima il togliere tutta questa cipria di gloria a Gesù mi sembrava lo rendesse meno significativo, che quasi lo diminuisse di importanza per la nostra vita di fede.  Ora mi sembra invece di capire che solo il Gesù della « non-gloria» può davvero significare molto per la nostra vita di fede. Lo sento mio compagno di strada e di vita, colui che ci ha aperto una via e ci assicura che è possibile percorrerla. Questo Gesù che fa fatica, che non ha tutte le idee chiare, che cerca nella notte, che ha paura della sofferenza, ma che ha una fiducia totale in Dio e lo ama come suo Padre, mi può insegnare tante cose e mi dà fiducia. 

PIA: Franco, noto che da quando discutemmo un anno fa la prima volta di miracoli, anche tu hai detto cose diverse, più vicine alla vita. È vero?

 

FRANCO: È vero! Le vostre domande mi hanno molto stimolato a riflettere, a studiare questo argomento, a prendere sul serio questa vostra passione per Gesù. È importante non dirci cose in cui non crediamo; non barare mai, non dirci parole vuote. Da quando ho cominciato, da tanti anni in verità, a scoprire questo Gesù debole e povero, come colui che il Padre ci ha donato come apri strada della nostra carovana, la mia fede è diventata più essenziale, vorrei dire umilmente più sostanziosa. Questo Gesù mi appassiona sempre di più e il Padre mi appare sempre più un Dio «originale» che semina in noi voglia di vivere e tanta speranza. La nostra vita è piccola cosa, ma in questo «piccolo» egli è presente ed agisce. Del resto, non è forse vero che Gesù nei suoi incontri pieni di amore liberante fece «miracoli»? A me verrebbe la voglia di dire che ogni donna e ogni uomo che amano davvero, che cercano di rea-izzare la pratica liberante e liberatrice di Gesù, seminano attorno gioia, speranza, perseveranza... e fanno «miracoli», proprio come Gesù. Ma si tratta di quei miracoli anche non miracolosi che possono sbocciare in ogni vita che si apre all’amore. Ci sono certe cose che solo un amore, simile a quello di Gesù, rende possibili. Gesù, essendo unito a Dio in modo tutto particolare, è fonte di «salute», di guarigione, di ogni bene. Questa è la concezione biblica della vita dei profeti: essi sono in profonda comunione con Dio e perciò il loro agire è portatore di benessere fisico e morale: solleva e guarisce. Qui non c’è nulla di magico.  C’è la mano di Dio che può benissimo permettersi di far cose «straordinarie» attraverso i suoi inviati. Per questo motivo non sono d’accordo con la demitizzazione radicale

 

VALENTINA: Gesù «privilegia» qualche categoria di persone nelle azioni di amore che libera e guarisce? 

FRANCO: Eccome! Non voglio dire che Gesù escluda qualcuno dal suo amore. Gesù non fa mai del razzismo, nemmeno alla rovescia. Gesù non fa i « privilegi » che tagliano fuori qualcuno. Però è evidente, leggendo gli evangeli, che Gesù si indirizza verso coloro che sono più segnati dalla sofferenza, dall’indigenza, dalla emarginazione e dalla miseria: tutte forme di bisogno e di povertà. Con loro impegna il suo amore. Dio, attraverso Gesù, sceglie i poveri.

 

Ora tocca a noi fare miracoli

 

VALENTINA: Si potrebbe dire che i miracoli sono azioni politiche?

 

FRANCO: Sì, sono parte della «politica» di Dio attuata attraverso Gesù. Il senso politico dei miracoli sta anche nel fatto che essi denunciano ogni ideologia e ogni pratica di rassegnazione di fronte alla ingiustizia e alla emarginazione. l miracoli sono una dichiarazione di guerra contro l’e-marginazione e contro ogni genere di sofferenze che possano in qualche modo essere superate o limitate.  Ora tocca a noi fare miracoli...

 

GIANNI: Certo, questo Gesù è davvero singolare e dovette essere un tipo fuori moda anche al suo tempo. Se penso a quello che abbiamo letto dei suoi rapporti con il tempio, con i poveri, con le donne, con i potenti, allora capisco come i discepoli lo hanno potuto chiamare « figlio di Dio». Nella sua vita potevano vedere come ama Dio. Egli era per loro la rivelazione di Dio nel senso che Dio cominciava a diventare una parola meno vuota se dalle opere di Gesù potevano intravvedere la volontà di Dio, quello che Dio vuole da noi .

 

DORANNA: Chissà come è avvenuta in quest’uomo di Nazareth la scoperta che Dio gli aveva dato una « vocazione», una «funzione» tutta speciale? Forse lo avrà capito anche lui, a poco a poco, tra gioia e fatica, tra speranza e paura. Anche per Gesù c’è stato un cammino di fede, un crescere...

 

FRANCO: Penso che abbiamo troppa paura di parlare dei tormenti interiori, delle incertezze, delle esitazioni, dei limiti e delle ricerche che accompagnarono la vita di Gesù.  Anch’egli, come noi, ha fatto l’esperienza dei condizionamenti che venivano dalla sua «cultura» paesana, dei limiti derivanti dalla propria educazione. Oggi parlare delle «ombre» di Gesù potrebbe quasi sembrare blasfemo. Mi sembra un falso pudore che ci impedisce di farci più vicini al Gesù storico nel quale riconosciamo il figlio di Dio, colui nella cui carne Dio ha fatto fiorire il Suo volto, le Sue scelte, la Sua strada.

 

DORANNA: Tutto questo, dopo un primo moto di sgomento, mi sembra sanamente provocatorio. Come donna credo che molte fette della storia vadano ricuperate e ricostruite anche attraverso l’intuizione. Ebbene... che Gesù sia stato un uomo che, per esempio, ha dovuto superare il condizionamento maschilista della sua cultura, me lo dicono la mia esperienza e la mia intuizione. Ma... anche questa è stata per me una intuizione negata, «peccaminosa». Però alla intuizione vorrei aggiungere anche un po’ di motivazioni, di seria esegesi. Nei testi biblici non riesco a trovare traccia di tutto questo cammino di Gesù.

 

FRANCO: Invece a me sembra che ci sia più di un brano biblico che dovrebbe essere attentamente vagliato. Ne prendo in considerazione uno solo, quello in cui si parla della fede di una donna pagana (Matteo 15, 21-28). Non sono così ingenuo da non conoscere quanto gli studi biblici hanno tentato di chiarire riguardo alle trasformazioni che il passo ha subito nella tradizione e nella redazione matteana in particolare. Le evidenti e consistenti differenze tra il testo di Matteo e quello di Marco ne sono spia più che sufficiente. Ma “anche se il brano evangelico appare fortemente elaborato in senso teologico e segnato dai problemi della chiesa primitiva, è però a livello Gesù che esso trova il suo fondamento storico necessario. Il detto sulla missione particolaristica non può che risalire a lui” (G.  BARBAGLIO). Ebbene a me sembra possibile pensare che quando Gesù raccontò la parabola del buon samaritano si trovava in un tempo successivo all’episodio di cui ci parla Matteo al capitolo 15. Non è avventato dire che sono proprio i dialoghi con i non ebrei, specialmente con le donne, che mettono in crisi Gesù e lo provocano ad una ulteriore “apertura” all’azione di Dio, alla completa conversione.

 

DORANNA: Mi piace pensare che siano state delle donne a «convertire» Gesù!

 

FRANCO: Schalom Ben-Chorin, uno studioso ebreo particolarmente attento nei suoi studi sulla figura e l’opera di Gesù (Fratello Gesù, Morcelliana, Brescia 1985), parla espressamente dei vari pregiudizi che il rabbi di Nazareth ha progressivamente superato: “ Lo stesso Gesù, originariamente, non era affatto libero da preconcetti nei confronti dei samaritani..., ma poi deve avere evidentemente riesaminato i propri pregiudizi, sicchè possiamo ipotizzare che egli abbia pronunciato la parabola del buon samaritano dopo l’incontro presso il pozzo di Giacobbe” (pag. 145). Riguardo ai dialoghi con le donne, sia quella samaritana che quella pagana, lo stesso Autore aggiunge: “Questi dialoghi sono decisivi per l’evoluzione interiore di Gesù: sono delle donne a eliminare i suoi pregiudizi nazionalistici” (ivi, pag. 170).

 

DORANNA: Una ricerca affascinante sarebbe proprio questa: trovare le donne che sono attive e  “visibili” nelle pagine della Bibbia. Lo facciamo troppo poco.

 

FRANCO: Come ringraziare Dio, il Padre, che ci ha dato in questo uomo di Nazareth un dono unico, irrepetibile, eppure totalmente uno di noi? Entrando nella strada di Gesù, come “figli nel figlio”. Non ci troviamo, dunque, davanti a un eroe o ad un superuomo, ma davanti ad una persona che Dio ha scelto ed incaricato di una missione per noi cristiani assolutamente unica tanto che, in forza di questa investitura, lo chiamiamo “figlio di Dio”. 

GRAZIA: Per me è ancora importante un fatto: i miracoli, sia pure in una comprensione rinnovata, ci insegnano a non fermarci alle parole. Gesù ha detto e fatto; anzi Gesù ci mette in guardia dal pericolo di dire senza far seguire le opere. Anche noi dobbiamo concretizzare, agire, altrimenti le parole non valgono nulla.

 

FRANCO: Per me è molto importante questo invito di Dio ad agire. I miracoli sono “provocazioni” di Gesù, stimoli che egli offriva ai discepoli e alla gente per andare contro l’immobilismo, la passività, la rassegnazione; contro quel comodo viziaccio che abbiamo di lasciar correre, di lasciare le cose come stanno. No, non si lasciano le cose come stanno! Dio, attraverso queste opere d’amore di Gesù che lotta contro la malattia e l’emarginazione, ci invita a prendere una posizione di lotta di fronte a tutte le situazioni di sofferenza e di oppressione, a credere nell’impossibile, nel “mai visto” (Marco 2, 12). Egli stuzzica la fantasia verso l’utopia, verso ciò che non ha ancora luogo oggi, ma potrà essere domani. Ma aggiungo una annotazione non meno importante, una “chiave” essenziale per avvicinarci alla comprensione di Gesù. Quando diciamo che Gesù era “Figlio di Dio” intendiamo affermare apertamente che la luce e la forza per compiere queste scelte venivano a lui da quel Dio che egli ci insegnò a chiamare e a pregare come Padre. Gesù sapeva che la sorgente della vita e della liberazione erano in Dio; era felice di riconoscere il “Dio più grande di lui” (Giovanni 14, 28) e ne cantava le lodi. Sapeva ricevere da Lui con gioia. Questo sarà il nostro essere figli imparando da Gesù: cercare nel Padre (e non in noi e nelle nostre sole forze) la sorgente della libertà e la forza per andare avanti. Questa “dipendenza” da Lui sarà il massimo della nostra libertà!

 

MARIO: Se capisco bene, i miracoli in pratica sono le opere e le scelte che compiva Gesù: la sua lotta contro l’ingiustizia e gli egoismi, la sua perseveranza, la sua capacità di resistere, di stare vicino a chi soffre tentando ogni strada per superare quella situazione di infelicità. 

MEMO: Allora diventa chiaro che ognuno di noi, in questo senso, è chiamato a fare miracoli... Ma io sono colpito da questa insistenza che ha Gesù nel rifarsi e nel rimandare anche noi costantemente al Padre. Ci hanno forse voluto lanciare un messaggio gli scrittori degli evangeli con questa insistenza?

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RANCO: Gesù doveva aver parlato in modo tale e talmente nuovo e vivo del Padre da lasciare nei discepoli una impressione fortissima che, in qualche modo, fu recepita dalla redazione degli evangeli. Gesù era profondamente segnato da questo rapporto vivificante e, forse, era cosciente che per noi è così facile essere preda della prigionia di noi stessi e della dimenticanza di Dio. Gesù conosceva bene il richiamo profetico: “Popolo mio, non dimenticare il tuo Dio”.

 

GIORGIO: Memo ha detto che i miracoli sono le opere di Gesù, cioè le sue scelte, fatte da noi oggi. In che senso? 

FRANCO: In Giovanni 14, 12 leggiamo come parole di Gesù: “In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perchè io vado al Padre”. Questa consegna e questa promessa sono per noi. Se ci alimentiamo alla Parola di Dio, se ac-cettiamo di essere la vite che il Padre pota, porteremo questi frutti. Ecco il nostro fare miracoli: continuare a far crescere nel mondo le opere e le scelte di Gesù. Sapendo che Dio fa fiorire molti miracoli fuori dalle chiese cristiane perchè Dio non ama affatto i cristiani più degli altri. E noi non abbiamo proprio nessun monopolio... 

LETIZIA: Certo che oggi, con quel poco che riusciamo a fare, i nostri miracoli non avranno proprio nulla di miracoloso. ..nel senso di strepitoso.

 

FRANCO: Senza nulla togliere alla libertà di Dio e senza pretendere di aver capito tutto dell’agire di Gesù, forse ora abbiamo un po’ più chiaro che non si tratta di sognarci nelle vesti di qualche taumaturgo o di qualche mago. Ricadremmo nelle manie di gloria e nella trappola dell’onnipotenza. Lo stile di Gesù era tutto in questa sua semplicità: si fidava del Padre che rende possibile l’impossibile, che di un gruppo di schiavi ha fatto un popolo libero, che ha aperto strade nel deserto, ha fatto fiorire la steppa, ha fatto scaturire acqua fresca dalla roccia arida, ha fatto vincere le formiche sandiniste contro il faraone Somoza. Dio fa “miracoli” in quanto ci aiuta a scoprire e percorrere strade impensate. Egli è un “produttore” inesauribile di novità. L’imprevisto in Gesù è diventato realtà perchè egli si è reso disponibile alla chiamata di Dio.

 

COSTANZA: In questo senso il linguaggio simbolico dei miracoli sarà come un albero che fiorisce di sempre nuovi significati e può produrre sempre nuovi frutti.

 

FRANCO: In questo senso mi sembra che le comunità primitive hanno scoperto la funzione dei racconti di miracolo e ci danno una testimonianza che può servirci anche oggi. Siamo assediati dal male, dai limiti, dalla malattia, dalla morte, dallo sfruttamento, dalla miseria, dalla fame. Fare memoria del Gesù liberatore nei racconti di miracolo significa invitarci a fare nostra la pratica di rovesciamento, di sovversione delle situazioni di iniquità, senza lasciarci paralizzare dalla massiccia presenza del male. Per molti teologi «abbiamo qui il motivo radicale della memoria comunitaria dei racconti di miracolo» (Charles Perrot). Se la nostra fede non vuole ridursi ad un mucchietto di ciance cristiane... deve fare i conti con questa provocazione che ci viene dal vissuto storico di Gesù e dai racconti di miracolo