FRANCA: I miracoli costituiscono per me tutt’altro che un aiuto a credere. Mi sembra che dalla descrizione dei miracoli del Vangelo possa derivare la visione di un Gesù “mago”.
FRANCO:
Effettivamente troppe volte Gesù ci è stato descritto come “colui che fa
miracoli” quasi che i miracoli, nel loro aspetto glorioso, fossero il centro
dell’evangelo, della vita e del messaggio di Gesù. La concezione di un Gesù
“mago” ancora oggi è troppo presente. Ti dirò di più: penso che la
interpretazione dei racconti di miracolo costituisca una delle “croci”, uno
dei punti caldi, una delle questioni aperte anche tra gli studiosi del Nuovo
Testamento.
SERGIO:
E che cosa ci dicono questi studiosi?
FRANCO:
Anche per loro parecchie cose restano oscure. Guai a pensare che essi abbiano
risolto tutti i problemi e sappiano spiegarci tutto. Certo, ci forniscono, anche
per quanto riguarda i miracoli, elementi di conoscenza indispensabili. Inoltre
tra gli studiosi esistono anche pareri molto diversi. Ci sono, però, alcuni
punti sui quali davvero ci possono aiutare.
MARIO:
Quali, per esempio?
FRANCO:
Per esempio ci mettono in guardia da una lettura ingenua, che consideri la
narrazione dei miracoli come la cronaca diretta o la fotografia di un
avvenimento, di un fatto.
GRAZIA:
Vuoi dire che ciò che viene narrato non è vero, non è successo o non è
successo in quel modo?
FRANCO:
Direi che, a volte, c’è un nucleo di verità e poi una cornice, una
costruzione letteraria e simbolica, un ingrandimento e, spesso, la creazione di
certe aggiunte miracolose e (qualche volta) magiche che erano proprie della
cultura e del linguaggio del tempo degli scrittori dei vangeli. Forse qualche
volta il racconto è quasi solo una eco (come dice G. Theissen) dell’agire di
Gesù. Probabilmente più spesso i racconti evangelici di miracolo si possono
leggere come azioni simboliche provocate dal Gesù storico nelle quali la figura
storica di Gesù è intensificata,ingigantita oltre ogni misura. In qualche modo
si potrebbe dire che ogni «miracolo» è un caso a se. Non si può escludere a
priori l’ipotesi di una «leggendarizzazione» che ricami su un dato di base o
di un puro e semplice aneddoto miracoloso o di una leggenda, come nel caso della
moneta d’argento trovata in bocca al pesce per pagare la tassa per il tempio
(Matteo 17, 24-27). Certo è davvero difficile individuare ciò che Gesù ha
fatto in ogni singolo caso perchè c’è tutta una siepe, un insieme di
aggiunte, che rischiano di deviare la nostra comprensione. Per noi è molto
difficile renderci conto della mentalità e del linguaggio di allora.
ANTONIA:
Adesso mi sembra già più chiaro, però...
FRANCO:
Però... è ancora necessario approfondire un aspetto. La verità di un
“miracolo” non consiste nella fotografia di un gesto di Gesù, ma nella
individuazione di un messaggio. Ecco ciò che conta. Bisogna giungere al midollo
e spogliare il racconto della corteccia, dei rivestimenti spesso letterari e
leggendari, per arrivare al cuore del miracolo.
ENRICA:
Ci sono davvero molte diversità tra un racconto di miracolo e l’altro.
FRANCO:
Questo è un elemento che va tenuto presente. Pensa quale ventaglio di
letterature va sotto la sigla “romanzo”! Anche i racconti di miracolo
riproducono una varietà che non può essere ne cancellata, ne sminuita, a tal
punto che non è del tutto fuori luogo dire che «ogni miracolo è un caso a se».
ENRICA:
Quindi le catalogazioni servono, ma solo fino ad un certo punto.
FRANCO:
Proprio così. Per esempio sarà bene non dimenticare un genere di racconti
tutto particolare, quello che è «costruito» in modo da servire come veicolo
per un «detto del Signore». Ci sono nel Nuovo Testamento diversi racconti di
miracolo che sono riferiti per offrire una cornice o uno sfondo a un detto di
Gesù (esempi: Mc 2,1-12; 3,1-6; Lc 13,10-17; 14,1-6; 17,11-16; Mt 8,5-13).
ENRICA:
Ma come si fa ad individuare questi diversi «generi letterari » o queste
diverse specie?
FRANCO:
Leggendo e rileggendo
FRANCO:
Questo è un elemento importantissimo. Faccio un esempio. È impossibile capire
che cosa significhi nei vangeli la moltiplicazione dei pani (tra l’altro, sia
detto così... di passaggio, la parola «moltiplicazione» è nostra e non
figura nel testo biblico) se non ci si riferisce alle pagine dell’Esodo in cui
Dio assicura la manna al suo popolo che cammina nel deserto e alle pagine in cui
gli inviati di Dio (i profeti) moltiplicano il pane in tempo di ristrettezza per
Israele. In Gesù, il definitivo inviato di Dio, non si compiranno queste «meraviglie»
di Dio stesso? Ciò che viene detto dei profeti come Eliseo non sarà detto
mille volte di più di Gesù?
PIA:
E allora che cosa ci può insegnare una pagina come quella che tu citavi della
«moltiplicazione” dei pani?
FRANCO:
Certamente. Esiste una chiave di lettura che ricaviamo ancora dal Vecchio
Testamento, precisamente dall’Esodo: Quando il popolo povero si mette in
viaggio sulla strada della liberazione, Dio cammina con lui e gli dà il “pane
del cammino”, cioè la forza, la speranza, il coraggio necessario per far
fronte alle difficoltà. Altrove, nei libri profetici, Dio inaugura i giorni
dell’abbondanza per i poveri e gli affamati attraverso i profeti (1-2 Re).
VALENTINA:
Ma perchè insisti tanto sul Vecchio Testamento?
FRANCO:
Perchè esso ha costituito una fonte di estrema importanza per le comunità e
per gli scritti del Nuovo Testamento, anche per i racconti di miracolo.
LINO:
Ma, allora, in che senso il racconto di miracolo è «vero» e non ci narra
delle menzogne? FRANCO: Si tratta di
un racconto teologicamente vero perchè contiene, sotto una forma letteraria del
tempo di allora, una “verità” incredibilmente valida per il nostro tempo;
anzi, per tutti i tempi. Questa è la verità più profonda dei miracoli.
LUISA:
Ma, allora, la parola miracolo è un po’ fuori posto e può facilmente indurre
in errore. FRANCO: La parola
“miracolo” è veramente ambigua e può fare pensare ad un Gesù che compie
delle magie, ad un Gesù “stregone” oppure ad un Gesù onnipotente, che può
fare tutto. Proprio per questo la metterei tra virgolette. Ma, ben compresa,
questa parola è tutt’altro che da gettare via. Del resto ogni vocabolo che
usiamo, ogni parola non è mai capace di dire tutto e di esprimerlo
adeguata-mente, senza alcuna ambiguità.
MEMO:
Faccio un passo indietro. Portami un esempio che mi aiuti a capire come gli
scrittori degli evangeli possano aver “utilizzato” in modo creativo qualche
testo del Vecchio Testamento.
FRANCO:
Prendi la narrazione del miracoloso salvataggio, cioè la tempesta sedata (Marco
4, 35-41). Vuoi ora cercare la narrazione della tempesta nel libro di Giona, che
si trova appunto nel Vecchio Testamento? Il brano del Vangelo di Marco rivela
numerosi e stretti paralleli, fin nelle citazioni, con il primo capitolo del
libro di Giona (e con il salmo 107, 23-32). Non farai fatica a trovarli, se
leggi attentamente. Gesù dorme come Giona. ..Come in Giona 1, 10 e 16 i
discepoli hanno paura... Il messaggio è chiaro: qui c’è uno che sorpassa
Giona, gli è molto superiore; Gesù placa la tempesta perchè in lui agisce la
mano di Dio. Non voglio dire con questo che gli evangelisti abbiano
semplicemente copiato. Hanno preso le «pietre» del Vecchio Testamento e se ne
sono serviti per esporre la novità evangelica. Questo intendo per utilizzo
creativo e libero.
ANTONIA:
Mi sembra, però, che tu fai riferimenti, illustri con esempi, insisti molto sui
significati dei racconti, ma «scappi» un po’ quando ti viene domandato che
cosa è successo con precisione in un certo miracolo.
FRANCO:
Hai colto nel segno. Ho molta diffidenza verso ogni interpretazione che tenti di
«fotografare» l’accaduto, il «fatto» che può stare sotto un racconto di
miracolo. L’agire di Dio che si è manifestato in modo sommo nella esistenza
storica di Gesù, il «figlio di Dio», probabilmente va lasciato nella sua
totale alterità, novità e stravaganza. Dio può agire e aver agito al di là
di ogni nostra congettura e analisi. Vorrei non manomettere questa libertà di
Dio e non costringerla dentro gli orizzonti della mia logica. Il credente che
studia e approfondisce scientificamente i dati storici e le strutture letterarie
di un racconto di miracolo è lo stesso che, pregando, adorando e contemplando
le «meraviglie» di Dio, diventa sempre più attento a non legare
ANTONIA:
Da una parte tu insisti continuamente sull’esigenza di appropriarsi di
strumenti, dall’altra ci parli di un Dio che non può mai essere catturato
dalle nostre « spiegazioni ».
DORANNA:
Ma tu sembri mettere in dubbio che Gesù è onnipotente.
FRANCO:
Hai proprio ragione. Gesù, essendo l’Inviato di Dio nel senso che è uno di
noi comuni mortali, che però Dio ha scelto per una missione unica e
particolare, non è necessariamente un essere onnipotente. Egli partecipa, in
tutto e per tutto, della nostra limitatezza ed impotenza.
Non bisogna confondere Dio, il Padre, con Gesù. Questa distinzione va
tenuta ben ferma. Per quel che riesco a capire, Gesù è destituito di
onnipotenza assoluta. Gesù può fare tutto ciò per cui Dio l’ha scelto;
tutto ciò per cui Dio gli dà la forza.
FRANCA:
Ti dirò francamente che questo Gesù senza onnipotenza davvero mi può
interessare ed essere vicino perchè io non potrei mai e poi mai pensare di
diventare discepola di uno che è onnipotente. Uno che muore, ma sa già, fin
nei dettagli, come e quando risorgerà, uno che può guarire al solo tocco i
ciechi e i sordi, che risuscita i morti e risolve qualunque problema e difficoltà
con un tocco magico o con una parola, come potrebbe essere da me seguito? Se
invece il Vangelo mi dice che la volontà di Dio è stata vissuta appieno
proprio da un essere impotente e debole come me, allora posso tentare di
mettermi su questa strada.
FRANCO:
E non credere che questo sia un Gesù «più facile». Infatti se l’uomo Gesù,
debole come noi, ha compiuto le scelte che ha compiuto solo perchè ha accolto
fino in fondo la chiamata di Dio, allora... non ci sono più scuse per noi. Ora
tocca a noi rispondere come lui alla volontà del Padre.
SERGIO:
Però, sinceramente, qualche volta pensare ad un Gesù che fa miracoli
magicamente... mi fa piacere!
FRANCO:
Ci fa piacere O comodo? Non significa forse rivolgerci ad un Gesù che ci
risolve magicamente, con un bel miracoletto, i nostri problemi e ci dispensa
dall’assumere fino in fondo le nostre responsabilità? Dio non dà ai suoi
figli l’onnipotenza, nemmeno ai suoi inviati, ma
li accompagna con la sua mano, li sostiene con la sua forza, li sorregge con la
sua speranza. Poi vuole che siamo noi ad assumere fino in fondo, nel lungo e
tortuoso cammino della liberazione, tutte le nostre responsabilità. Ti accorgi
quanto è più «scandalosa», ma insieme affascinante, questa fede?
GRAZIA:
Tutto questo ha conseguenze molto dense e profonde per la nostra vita di ogni
giorno come cristiani, discepoli di Gesù?
FRANCO:
Mi pare proprio di sì. Innanzitutto è scandaloso dire che la manifestazione di
Dio, cioè il suo Figlio, è un uomo terribilmente fragile, uno che sarà
sconfitto. Ma questa è la “sconcertante novità” del messaggio evangelico.
Il Dio che non sta dalla parte dei faraoni e dei potenti si manifesta nella
carne di un uomo perdente, povero, sconfitto. Noi vorremmo una fede gloriosa,
vittoriosa, una fede che sfonda, che passa di trionfo in trionfo. Invece... Gesù,
colui che incarna la vera fede in Dio, colui che vive la sua volontà, non è
assolutamente un essere glorioso, un uomo che ha successo! Ma c’è di più. Mi
sembra che una fede «miracolosa» autorizzerebbe in noi una pericolosa
tentazione: quella di spingerci sempre verso qualche «padre», qualche «potente»,
qualche «mago» che risolva per noi i problemi. Siamo sempre tentati di usare
Dio come tappa-buchi e la fede in lui come sostitutiva del nostro impegno.
COSTANZA:
Sto scoprendo, da un po’ di tempo, che davvero i miracoli in senso magico o
nel senso dei gesti onnipotenti, probabilmente non esistono, Se vogliamo
cambiare i rapporti tra di noi, cambiare questa società non fraterna, non ci
resta che la via della responsabilità. Forse allora
il
miracolo in senso vero avviene quando noi, ascoltando il messaggio biblico e
mettendoci sulla strada di Gesù, non ci tiriamo indietro e perseveriamo nella
speranza e nell’impegno. Sai, Franco, che per me il più grande miracolo è
appunto perseverare. Trovo che la gente parte, è sensibile, incomincia, poi però
si stanca tanto presto e molla. Lo constato a scuola e un po’ dovunque. Per me
uno che per tutta la vita abbia fiducia in Dio, non ritiri il suo impegno e non
si lasci stancare nei tempi lunghi, costui è un miracolo vivente.
FRANCO:
Non è forse in questo senso, non in singoli atti di onnipotenza e di magia, che
tutta la vita di Gesù è un miracolo reso possibile dall’aiuto di Dio? Ma...
bisogna esser impotenti per fare questo miracolo e scoprire Dio che è
all’opera nel mondo e in noi. È lui che rende possibile questo.
LUISA:
Dunque, quando leggiamo di brani che ci parlano del Dio che viene in aiuto al
popolo che soffre, che colpisce il faraone, che fa prodigi magici e improvvisi,
dobbiamo forse intendere che il Signore ha fatto nascere nei poveri e negli
sfruttati la voglia di lottare, di organizzarsi di cercare con tutti i mezzi di
combattere l’ingiustizia. Poi, quando si stancavano, ha risuscitato la loro
speranza. GIANNI: E... soprattutto
li ha resi perseveranti..., è sorgente di perseveranza.
F
RANCO:
Anch’io leggo così quelle pagine bibliche e la penso proprio così, anche
perchè in me e nella storia del mondo e delle nostre comunità, Dio non è
forse Colui che ci risveglia, ci rimette in cammino, ci dà fortezza e speranza?
Certo che Dio è libero di manifestarsi come vuole e io devo essere attento,
come una sentinella, per cogliere tutti i guizzi o le tracce della sua presenza.
E sovente è come un ladro: arriva nella notte. Voglio dire che sovente i segni
di Dio sono proprio là dove noi non li aspettiamo. Non crediamo di averlo
compreso esaurientemente con queste riflessioni: sarebbe una bestemmia! Lasciamo
a Dio intatta la sua libertà di agire anche in mille altri modi. Non dobbiamo
credere che l’azione di Dio coincida con le nostre interpretazioni che sono
sempre dei tentativi di «farci una idea». Esse sono sempre parziali e
riduttive. Una cosa, comunque, è certa: chi incontrò in profondità Gesù
incontrò la salvezza. Proprio la salvezza di Dio raggiungeva le persone
attraverso le parole e le azioni di Gesù. I miracoli sono anche il racconto di
questa esperienza dell’amore di Dio che, tramite Gesù, salva. Questi racconti
vogliono «provocare» oggi in noi lo stesso incontro «salvifico » con la
persona di Gesù per aprire i nostri cuori alla salvezza di Dio.
CARLA:
Quando sento dire «salvezza» mi si drizzano un po’ le orecchie come se
risentissi una di quelle parole evanescenti e misteriose che, per dire tutto,
non indicano nulla di preciso. Questa però è solo la prima impressione.
Infatti, se situo il concetto di salvezza all’interno delle riflessioni che
stiamo ora compiendo, mi accorgo che non si tratta affatto di una realtà
impalpabile. Anzi, salvezza indica, se capisco bene, l’azione di quel Dio che
vuole il nostro bene concreto, la nostra felicità. E il Dio della vita che ci
porta salvezza. Per me salvezza comprende senso della vita, salute, libertà,
conversione, superamento dei limiti, vittoria sui mille volti e risvolti del
peccato, vittoria sulla morte, promessa della «compagnia » di Dio durante il
nostro cammino di donne e di uomini. Come si può dire che la salvezza non è
una «cosa» concreta?
Ma... perchè hanno scritto tanti
miracoli?
GIORGIO:
Queste cose me ne chiariscono parecchie altre, ma... mi resta una domanda: «Perchè
gli evangelisti ci hanno messo tanti miracoli nei loro Vangeli»?
FRANCO:
La tua è una domanda grossa, di quelle che esigono un volume per rispondere!
Vediamo di sintetizzare con alcune risposte flash che, con il tempo,
approfondiremo insieme. Ti dico quello che mi sembra di capire, con tutti i miei
limiti, e quello che ho trovato stimolante per la mia vita di fede. C’era alle
spalle e nella mente dei credenti di allora un «immaginario», cioè un modo di
concepire l’intervento di Dio, che era fortemente caratterizzato dalla
immagine di un Dio che supera in potenza gli altri dèi. Q’era anche,
probabilmente, qualche contagio di magia perchè la loro fede (come del resto la
nostra di oggi) risentiva della cultura, dell’ambiente, delle idee di quel
tempo. In più gli scrittori di questi Vangeli scrissero alla luce di una fede
che era fortemente radicata nel Vecchio Testamento e nel suo linguaggio ed essi
attinsero abbondantemente dal Vecchio Testamento. Quando parlavano di Dio o dei
suoi profeti ed inviati erano profondamente condizio-nati da questa loro «educazione
veterotestamentaria».
CRISTINA:
Per noi è difficile renderci conto che il loro modo di pensare e di esprimersi
era davvero diverso. I millenni non passano invano e bisogna tenere conto di
questa distanza nel tempo che crea differenza nella mentalità. Cultura qui, se
capisco bene, vuol dire appunto mentalità, concezioni, immagini, linguaggio
GRAZIA:
Allora bisogna sempre capire il nocciolo, ciò che ci sta sotto. Adesso, per
esempio, capisco meglio il fatto che nei Vangeli si dice che Gesù è “luce
del mondo, agnello di Dio, figlio di Dio, vita, verità, pane vivo” e altre
espressioni del genere. Sono delle metafore, delle immagini, delle descrizioni
della funzione di Gesù. Figlio perchè è creatu-ra di Dio, suo amico intimo,
suo porta-parola.
COSTANZA:
Adesso capisco perche, per leggere i Vangeli, è tanto importante conoscere il
Vecchio Testamento. È un po’ come la grammatica... con le sue regole...
F
RANCO:
Certo, è essenziale amare e percorrere in lungo e in largo il Vecchio
Testamento. Lo facciamo troppo poco. Esso non è solo come una grammatica; è
addirittura la prima parte di quell’unica grande avventura d’amore che Dio
vive e annuncia a tutti noi e che
FRANCA:
Dunque, nei racconti di miracolo bisogna saper cogliere, come altrove, non un
resoconto di cronaca, ma il linguaggio di fede di una comunità che cerca, con i
suoi pregi e i suoi limiti, il modo, le immagini e le similitudini per
annunciare Gesù alla gente, ai contemporanei.
FRANCO:
Franca ha ribadito un tasto importante, che mi permette di fare una ulteriore
annotazione. Parto con un esempio: ricordate il brano della tempesta sedata
(Marco 4, 35-41 )? Questo Gesù potente che con un gesto si fa obbedire dal
vento e dalla burrasca, viene un po’ creato con «pietre» e materiali e anche
immaginari del Vecchio Testamento (ricordate che lo abbiamo accennato?) ma anche
dalle esigenze missionarie, cioè di predicazione, di allora. Mi spiego meglio:
come presentare un Gesù credibile in un mondo in cui tutti i grandi predicatori
venivano celebrati per i loro strepitosi prodigi? Non si poteva certo tacere la
sua morte, ma limitarsi a narrare di un uomo che aveva vissuto amando e
predicando e poi aveva fatto fiasco, non sembrava ai discepoli d’allora molto
presentabile alla gente.
ANNA:
E allora?
FRANCO:
Per avere un minimo di accoglienza in un ambiente pagano pensano che occorreva
presentare Gesù come superiore, non da meno dei vari «uomini divini.. che
l’antichità conosceva in quelle zone della prima missione evangelizzazione.
Oggi diremmo che questo presentare un Gesù potente era un’esigenza di
concorrenza missionaria, come scrive lo studioso cattolico A. Pesch, con tutti i
rischi che tale scelta poteva comportare. Gesù è superiore, sembra dirci il
brano, ai guaritori miracolosi (taumaturghi) ellenistici. Nessuno può reggere
al suo confronto. Se Cesare
rivendicava una potenza «protettrice» durante la tempesta tanto da poter dire:
« Non temere nulla! Tu porti Cesare e la fortuna di Cesare viaggia con te! »,
come leggiamo in Plutarco; se Cicerone scrive di Pompeo «che alla sua volontà
non solo acconsentivano i cittadini, aderivano gli alleati e obbedivano i
nemici, ma si piegavano persino i venti e le tempeste»; se di Apollonio di
Tiana si diceva che era ambito accompagnarlo nei viaggi e nelle navigazioni più
arrischiate perchè con Apollo anche il mare restava calmo, come non dire di Gesù
che, al cenno della sua voce, si placavano anche le tempeste più scatenate? Così
la tradizione che ci parla di Gesù cercò allora di proclamare che in lui
operava la mano di Dio. Gesù viene così rappresentato
come
“l’uomo di Dio” che supera tutti i taumaturghi e i salvatori del mondo
ellenistico. Non bisogna esagerare l’influenza ellenistica, ma essa in qualche
modo fu presente. Pesò molto di più l’eredità del Vecchio Testamento.
Anche formulazioni ambigue?
MEMO:
Se però le cose stanno così, mi sorgono altri interrogativi. Allora vuoi dire
che già nei Vangeli ci sono delle formulazioni ambigue, delle riflessioni molto
imperfette e datate su Gesù.
FRANCO:
Probabilmente non potrebbe essere diversamente. In tutto il Nuovo Testamento,
anzi in tutta
LUISA:
Qui non c’è scampo. Non c’è davvero la «rivelazione» di Dio che ci piove
dal cielo, direttamente, magicamente. Bisogna scavare con fatica comunitaria e
personale. Adesso mi è anche un tantino più chiaro perchè leggere
FRANCO:
Come una maniera più grave di tradire
SERGIO:
Non so se dico un’eresia, ma a me sembra che,dietro i racconti di miracoli,
faccia capolino anche la «poca fede» degli evangelisti. Anche per loro è
stato difficile seguire un maestro che ha fatto fiasco, che non ha vinto e
allora hanno «abbellito» la sua vita e il suo messaggio con un pugno di
miracoli. È possibile che sia successo anche questo?
FRANCO:
A me sembra più che possibile. Anche quando testimoniamo la nostra fede viene
fuori la nostra poca fede. Noi siamo sempre tentati di colorare di gloria la
vita di Gesù e già nel Nuovo Testamento questa infezione della gloria e della
onnipotenza forse non è del tutto assente.
Certi testi ci presentano una «cristologia alta», cioè un Gesù
glorioso! Facciamo di tutto per dimenticare la vicenda storica e reale di Gesù
di Nazareth, colui che ci ha fatto vedere le scelte «ingloriose» di Dio. In
una società dell’apparenza, della efficienza... Gesù è un prodotto che non
determina concorrenza. Ma questo scandalo è proprio l’originalità di quel
Dio che Gesù è venuto a mostrarci con le sue scelte di vita
C
RISTINA:
Insomma, Gesù ha proprio uno stile diverso da quello spettacolare e
trionfalistico di Wojtyla...
DORANNA:
Prima il togliere tutta questa cipria di gloria a Gesù mi sembrava lo rendesse
meno significativo, che quasi lo diminuisse di importanza per la nostra vita di
fede. Ora mi sembra invece di capire
che solo il Gesù della « non-gloria» può davvero significare molto per la
nostra vita di fede. Lo sento mio compagno di strada e di vita, colui che ci ha
aperto una via e ci assicura che è possibile percorrerla. Questo Gesù che fa
fatica, che non ha tutte le idee chiare, che cerca nella notte, che ha paura
della sofferenza, ma che ha una fiducia totale in Dio e lo ama come suo Padre,
mi può insegnare tante cose e mi dà fiducia.
PIA:
Franco, noto che da quando discutemmo un anno fa la prima volta di miracoli,
anche tu hai detto cose diverse, più vicine alla vita. È vero?
FRANCO:
È vero! Le vostre domande mi hanno molto stimolato a riflettere, a studiare
questo argomento, a prendere sul serio questa vostra passione per Gesù. È
importante non dirci cose in cui non crediamo; non barare mai, non dirci parole
vuote. Da quando ho cominciato, da tanti anni in verità, a scoprire questo Gesù
debole e povero, come colui che il Padre ci ha donato come apri strada della
nostra carovana, la mia fede è diventata più essenziale, vorrei dire umilmente
più sostanziosa. Questo Gesù mi appassiona sempre di più e il Padre mi appare
sempre più un Dio «originale» che semina in noi voglia di vivere e tanta
speranza. La nostra vita è piccola cosa, ma in questo «piccolo» egli è
presente ed agisce. Del resto, non è forse vero che Gesù nei suoi incontri
pieni di amore liberante fece «miracoli»? A me verrebbe la voglia di dire che
ogni donna e ogni uomo che amano davvero, che cercano di rea-izzare la pratica
liberante e liberatrice di Gesù, seminano attorno gioia, speranza,
perseveranza... e fanno «miracoli», proprio come Gesù. Ma si tratta di quei
miracoli anche non miracolosi che possono sbocciare in ogni vita che si apre
all’amore. Ci sono certe cose che solo un amore, simile a quello di Gesù,
rende possibili. Gesù, essendo unito a Dio in modo tutto particolare, è fonte
di «salute», di guarigione, di ogni bene. Questa è la concezione biblica
della vita dei profeti: essi sono in profonda comunione con Dio e perciò il
loro agire è portatore di benessere fisico e morale: solleva e guarisce. Qui
non c’è nulla di magico. C’è
la mano di Dio che può benissimo permettersi di far cose «straordinarie»
attraverso i suoi inviati. Per questo motivo non sono d’accordo con la
demitizzazione radicale
VALENTINA:
Gesù «privilegia» qualche categoria di persone nelle azioni di amore che
libera e guarisce?
FRANCO:
Eccome! Non voglio dire che Gesù escluda qualcuno dal suo amore. Gesù non fa
mai del razzismo, nemmeno alla rovescia. Gesù non fa i « privilegi » che
tagliano fuori qualcuno. Però è evidente, leggendo gli evangeli, che Gesù si
indirizza verso coloro che sono più segnati dalla sofferenza, dall’indigenza,
dalla emarginazione e dalla miseria: tutte forme di bisogno e di povertà. Con
loro impegna il suo amore. Dio, attraverso Gesù, sceglie i poveri.
Ora tocca a noi fare miracoli
VALENTINA:
Si potrebbe dire che i miracoli sono azioni politiche?
FRANCO:
Sì, sono parte della «politica» di Dio attuata attraverso Gesù. Il senso
politico dei miracoli sta anche nel fatto che essi denunciano ogni ideologia e
ogni pratica di rassegnazione di fronte alla ingiustizia e alla emarginazione. l
miracoli sono una dichiarazione di guerra contro l’e-marginazione e contro
ogni genere di sofferenze che possano in qualche modo essere superate o
limitate. Ora tocca a noi fare
miracoli...
GIANNI:
Certo, questo Gesù è davvero singolare e dovette essere un tipo fuori moda
anche al suo tempo. Se penso a quello che abbiamo letto dei suoi rapporti con il
tempio, con i poveri, con le donne, con i potenti, allora capisco come i
discepoli lo hanno potuto chiamare « figlio di Dio». Nella sua vita potevano
vedere come ama Dio. Egli era per loro la rivelazione di Dio nel senso che Dio
cominciava a diventare una parola meno vuota se dalle opere di Gesù potevano
intravvedere la volontà di Dio, quello che Dio vuole da noi .
DORANNA:
Chissà come è avvenuta in quest’uomo di Nazareth la scoperta che Dio gli
aveva dato una « vocazione», una «funzione» tutta speciale? Forse lo avrà
capito anche lui, a poco a poco, tra gioia e fatica, tra speranza e paura. Anche
per Gesù c’è stato un cammino di fede, un crescere...
FRANCO:
Penso che abbiamo troppa paura di parlare dei tormenti interiori, delle
incertezze, delle esitazioni, dei limiti e delle ricerche che accompagnarono la
vita di Gesù. Anch’egli, come
noi, ha fatto l’esperienza dei condizionamenti che venivano dalla sua «cultura»
paesana, dei limiti derivanti dalla propria educazione. Oggi parlare delle «ombre»
di Gesù potrebbe quasi sembrare blasfemo. Mi sembra un falso pudore che ci
impedisce di farci più vicini al Gesù storico nel quale riconosciamo il figlio
di Dio, colui nella cui carne Dio ha fatto fiorire il Suo volto, le Sue scelte,
DORANNA:
Tutto questo, dopo un primo moto di sgomento, mi sembra sanamente provocatorio.
Come donna credo che molte fette della storia vadano ricuperate e ricostruite
anche attraverso l’intuizione. Ebbene... che Gesù sia stato un uomo che, per
esempio, ha dovuto superare il condizionamento maschilista della sua cultura, me
lo dicono la mia esperienza e la mia intuizione. Ma... anche questa è stata per
me una intuizione negata, «peccaminosa». Però alla intuizione vorrei
aggiungere anche un po’ di motivazioni, di seria esegesi. Nei testi biblici
non riesco a trovare traccia di tutto questo cammino di Gesù.
FRANCO:
Invece a me sembra che ci sia più di un brano biblico che dovrebbe essere
attentamente vagliato. Ne prendo in considerazione uno solo, quello in cui si
parla della fede di una donna pagana (Matteo 15, 21-28). Non sono così ingenuo
da non conoscere quanto gli studi biblici hanno tentato di chiarire riguardo
alle trasformazioni che il passo ha subito nella tradizione e nella redazione
matteana in particolare. Le evidenti e consistenti differenze tra il testo di
Matteo e quello di Marco ne sono spia più che sufficiente. Ma “anche se il
brano evangelico appare fortemente elaborato in senso teologico e segnato dai
problemi della chiesa primitiva, è però a livello Gesù che esso trova il suo
fondamento storico necessario. Il detto sulla missione particolaristica non può
che risalire a lui” (G. BARBAGLIO).
Ebbene a me sembra possibile pensare che quando Gesù raccontò la parabola del
buon samaritano si trovava in un tempo successivo all’episodio di cui ci parla
Matteo al capitolo 15. Non è avventato dire che sono proprio i dialoghi con i
non ebrei, specialmente con le donne, che mettono in crisi Gesù e lo provocano
ad una ulteriore “apertura” all’azione di Dio, alla completa conversione.
DORANNA:
Mi piace pensare che siano state delle donne a «convertire» Gesù!
FRANCO:
Schalom Ben-Chorin, uno studioso ebreo particolarmente attento nei suoi studi
sulla figura e l’opera di Gesù (Fratello Gesù, Morcelliana, Brescia 1985),
parla espressamente dei vari pregiudizi che il rabbi di Nazareth ha
progressivamente superato: “ Lo stesso Gesù, originariamente, non era affatto
libero da preconcetti nei confronti dei samaritani..., ma poi deve avere
evidentemente riesaminato i propri pregiudizi, sicchè possiamo ipotizzare che
egli abbia pronunciato la parabola del buon samaritano dopo l’incontro presso
il pozzo di Giacobbe” (pag. 145). Riguardo ai dialoghi con le donne, sia
quella samaritana che quella pagana, lo stesso Autore aggiunge: “Questi
dialoghi sono decisivi per l’evoluzione interiore di Gesù: sono delle donne a
eliminare i suoi pregiudizi nazionalistici” (ivi, pag. 170).
DORANNA:
Una ricerca affascinante sarebbe proprio questa: trovare le donne che sono
attive e “visibili” nelle pagine
della Bibbia. Lo facciamo troppo poco.
FRANCO:
Come ringraziare Dio, il Padre, che ci ha dato in questo uomo di Nazareth un
dono unico, irrepetibile, eppure totalmente uno di noi? Entrando nella strada di
Gesù, come “figli nel figlio”. Non ci troviamo, dunque, davanti a un eroe o
ad un superuomo, ma davanti ad una persona che Dio ha scelto ed incaricato di
una missione per noi cristiani assolutamente unica tanto che, in forza di questa
investitura, lo chiamiamo “figlio di Dio”.
GRAZIA:
Per me è ancora importante un fatto: i miracoli, sia pure in una comprensione
rinnovata, ci insegnano a non fermarci alle parole. Gesù ha detto e fatto; anzi
Gesù ci mette in guardia dal pericolo di dire senza far seguire le opere. Anche
noi dobbiamo concretizzare, agire, altrimenti le parole non valgono nulla.
FRANCO:
Per me è molto importante questo invito di Dio ad agire. I miracoli sono
“provocazioni” di Gesù, stimoli che egli offriva ai discepoli e alla gente
per andare contro l’immobilismo, la passività, la rassegnazione; contro quel
comodo viziaccio che abbiamo di lasciar correre, di lasciare le cose come
stanno. No, non si lasciano le cose come stanno! Dio, attraverso queste opere
d’amore di Gesù che lotta contro la malattia e l’emarginazione, ci invita a
prendere una posizione di lotta di fronte a tutte le situazioni di sofferenza e
di oppressione, a credere nell’impossibile, nel “mai visto” (Marco 2, 12).
Egli stuzzica la fantasia verso l’utopia, verso ciò che non ha ancora luogo
oggi, ma potrà essere domani. Ma aggiungo una annotazione non meno importante,
una “chiave” essenziale per avvicinarci alla comprensione di Gesù. Quando
diciamo che Gesù era “Figlio di Dio” intendiamo affermare apertamente che
la luce e la forza per compiere queste scelte venivano a lui da quel Dio che
egli ci insegnò a chiamare e a pregare come Padre. Gesù sapeva che la sorgente
della vita e della liberazione erano in Dio; era felice di riconoscere il “Dio
più grande di lui” (Giovanni 14, 28) e ne cantava le lodi. Sapeva ricevere da
Lui con gioia. Questo sarà il nostro essere figli imparando da Gesù: cercare
nel Padre (e non in noi e nelle nostre sole forze) la sorgente della libertà e
la forza per andare avanti. Questa “dipendenza” da Lui sarà il massimo
della nostra libertà!
MARIO:
Se capisco bene, i miracoli in pratica sono le opere e le scelte che compiva Gesù:
la sua lotta contro l’ingiustizia e gli egoismi, la sua perseveranza, la sua
capacità di resistere, di stare vicino a chi soffre tentando ogni strada per
superare quella situazione di infelicità.
MEMO:
Allora diventa chiaro che ognuno di noi, in questo senso, è chiamato a fare
miracoli... Ma io sono colpito da questa insistenza che ha Gesù nel rifarsi e
nel rimandare anche noi costantemente al Padre. Ci hanno forse voluto lanciare
un messaggio gli scrittori degli evangeli con questa insistenza?
F
RANCO:
Gesù doveva aver parlato in modo tale e talmente nuovo e vivo del Padre da
lasciare nei discepoli una impressione fortissima che, in qualche modo, fu
recepita dalla redazione degli evangeli. Gesù era profondamente segnato da
questo rapporto vivificante e, forse, era cosciente che per noi è così facile
essere preda della prigionia di noi stessi e della dimenticanza di Dio. Gesù
conosceva bene il richiamo profetico: “Popolo mio, non dimenticare il tuo
Dio”.
GIORGIO:
Memo ha detto che i miracoli sono le opere di Gesù, cioè le sue scelte, fatte
da noi oggi. In che senso?
FRANCO:
In Giovanni 14, 12 leggiamo come parole di Gesù: “In verità, in verità vi
dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più
grandi, perchè io vado al Padre”. Questa consegna e questa promessa sono per
noi. Se ci alimentiamo alla Parola di Dio, se ac-cettiamo di essere la vite che
il Padre pota, porteremo questi frutti. Ecco il nostro fare miracoli: continuare
a far crescere nel mondo le opere e le scelte di Gesù. Sapendo che Dio fa
fiorire molti miracoli fuori dalle chiese cristiane perchè Dio non ama affatto
i cristiani più degli altri. E noi non abbiamo proprio nessun monopolio...
LETIZIA:
Certo che oggi, con quel poco che riusciamo a fare, i nostri miracoli non
avranno proprio nulla di miracoloso. ..nel senso di strepitoso.
FRANCO:
Senza nulla togliere alla libertà di Dio e senza pretendere di aver capito
tutto dell’agire di Gesù, forse ora abbiamo un po’ più chiaro che non si
tratta di sognarci nelle vesti di qualche taumaturgo o di qualche mago.
Ricadremmo nelle manie di gloria e nella trappola dell’onnipotenza. Lo stile
di Gesù era tutto in questa sua semplicità: si fidava del Padre che rende
possibile l’impossibile, che di un gruppo di schiavi ha fatto un popolo
libero, che ha aperto strade nel deserto, ha fatto fiorire la steppa, ha fatto
scaturire acqua fresca dalla roccia arida, ha fatto vincere le formiche
sandiniste contro il faraone Somoza. Dio fa “miracoli” in quanto ci aiuta a
scoprire e percorrere strade impensate. Egli è un “produttore” inesauribile
di novità. L’imprevisto in Gesù è diventato realtà perchè egli si è reso
disponibile alla chiamata di Dio.
COSTANZA:
In questo senso il linguaggio simbolico dei miracoli sarà come un albero che
fiorisce di sempre nuovi significati e può produrre sempre nuovi frutti.
FRANCO:
In questo senso mi sembra che le comunità primitive hanno scoperto la funzione
dei racconti di miracolo e ci danno una testimonianza che può servirci anche
oggi. Siamo assediati dal male, dai limiti, dalla malattia, dalla morte, dallo
sfruttamento, dalla miseria, dalla fame. Fare memoria del Gesù liberatore nei
racconti di miracolo significa invitarci a fare nostra la pratica di
rovesciamento, di sovversione delle situazioni di iniquità, senza lasciarci
paralizzare dalla massiccia presenza del male. Per molti teologi «abbiamo qui
il motivo radicale della memoria comunitaria dei racconti di miracolo» (Charles
Perrot). Se la nostra fede non vuole ridursi ad un mucchietto di ciance
cristiane... deve fare i conti con questa provocazione che ci viene dal vissuto
storico di Gesù e dai racconti di miracolo