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IL DISARMO PARTE DALLA FINANZA. CONVEGNO DELLA CAMPAGNA "BANCHE ARMATE"

ADISTA n°13 del 17.2.2007

33752. ROMA-ADISTA. L'etica resti fuori resti fuori dalle porte delle banche e dai cancelli delle industrie armiere. Lo dicono con forza i rappresentanti dei banchieri e dei produttori di armi intervenuti al convegno "Banche armate – Tesorerie etiche", organizzato a Roma lo scorso 3 febbraio dalla Campagna di pressione alle banche armate, dalla Rete italiana per il disarmo e dalle riviste "Missione Oggi", "Nigrizia" e "Mosaico di Pace".
"È utopia parlare di etica in un mondo violento come il nostro", dice Carlo Festucci, segretario generale dell'Associazione industrie aerospazio e sistemi per la difesa, che rifiuta con forza l'etichetta di "mercanti morte" attribuita alle industrie armiere e replica: "Il mondo fa schifo, quindi le armi servono. Miglioriamo il mondo e le armi non serviranno più". Non cambia la sostanza nelle parole di Gianna Zappi, dell'Associazione bancaria italiana (Abi), sebbene i toni siano apparentemente più concilianti: "Non possiamo avventurarci nel campo dell'etica, preferiamo affrontare la questione della responsabilità sociale d'impresa", spiega. Ogni nostra attività deve avere "un valore di mercato", prosegue, perché "gli istituti di credito devono tenere conto degli interessi di soggetti fra loro molti diversi: gli azionisti, i finanziatori, i dipendenti, i clienti e le comunità locali". E i "fondi socialmente responsabili" – i cosiddetti "fondi etici" –, secondo la rappresentante dell'Abi, possono sanare la contraddizione fra interessi che, spesso, sono opposti: consentono alle banche di fare profitto e, nello stesso tempo, tengono conto di "variabili sociali ad ambientali".

Dalla banche disarmate alle tesorerie etiche
Il convegno, a quasi sette anni dal lancio della Campagna di pressione alle ‘banche armate' (cioè quegli istituti di credito che svolgono operazioni di riscossione di pagamenti per conto delle industrie armiere, incassando compensi che variano da 3 al 10 per cento della commessa, v. Adista nn. 35/00 e 7/06), è il primo appuntamento di "Territori disarmanti", una nuova iniziativa organizzata dalle associazioni e dalle riviste che punta a stimolare il governo nazionale e gli enti locali a promuovere "vere politiche di disarmo" sui territori e ad informare i cittadini sui temi degli armamenti (prossimi appuntamenti pubblici a Firenze, il 14 aprile, convegno su "Armi e spese militari"; il 5 maggio, a Brescia, "Riconvertire l'industria bellica, riconvertire i territori"; il 29 maggio, a Milano, convegno sul "pericolo nucleare").
"Il senso delle nostre campagne – spiega Giorgio Beretta, coordinatore della Campagna di pressione alle banche armate – è la richiesta di coerenza che facciamo a tutti: alle banche, perché non finanzino le organizzazioni umanitarie con la mano destra e appoggino il commercio delle armi con la sinistra; ai cittadini, perché valutino con accortezza ai chi affidano i loro risparmi; alla Chiesa cattolica, perché i suoi atti siano coerenti con le affermazioni di principio, e quindi presti attenzione agli istituti di credito dove deposita i suoi beni (v. Adista n. 11/2007) o alle sponsorizzazioni che riceve". La "Fondazione per la pace" della Comunità di sant'Egidio, per esempio, per anni è stata sostenuta da Finmeccanica, la principale industria armiera italiana, e da diverse ‘banche armate' (v. Adista n. 23/2002); oppure la Giornata mondiale della Gioventù di Colonia, nel 2005, è stata sponsorizzata dalla più importante ‘banca armata' italiana, la Banca di Roma (v. Adista nn. 47 e 51/2005).
"Oggi, in particolare – aggiunge Beretta –, chiediamo coerenza agli enti locali, perché affidino il loro servizio di tesoreria ad istituti di credito non coinvolti nel sostegno al commercio di armi". È la campagna "tesorerie disarmate", a cui aderisce ufficialmente anche la Provincia di Roma – e a cui promette di aderire, assicura l'assessore al Bilancio Luigi Nieri, anche la Regione Lazio –, con un bando (ancora il discussione in Consiglio) che dovrebbe premiare con un punteggio aggiuntivo gli istituti di credito che non offrono servizi di intermediazione finanziaria alle industrie armiere e che sponsorizzano progetti sociali. Anche se, mette in guardia don Fabio Corazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi, più che "privilegiare l'umanitario tramite le sponsorizzazioni sociali – che spesso sono una mera operazione di immagine – bisogna puntare ad un vero disarmo e ad un'autentica smilitarizzazione", premiando cioè quelle banche che scelgono di uscire dal commercio di armi. È esemplare il caso della Banca Popolare di Milano: finanzia Emergency, è socia di Banca Etica e, nello stesso tempo, intasca milioni di euro per conto delle maggiori industrie armiere italiane (v. Adista n. 3/2007).

Legge 185: conservare o innovare?
Gran parte del dibattito ruota attorno al tema della 185, la legge che regola il commercio delle armi made in Italy, già modificata nel 2003 dal governo Berlusconi in senso più permissivo per le industrie armiere (v. Adista nn. 53 e 75/2002; 11, 13, 21, 26, 27, 31, 33 e 47/2003) e in predicato di essere ulteriormente corretta. Vorrebbe ritoccarla Carlo Festucci, per eliminare "lacci e lacciuoli" che imbrigliano le aziende armiere che vogliono esportare e che, "a causa di questo eccesso di burocrazia", "sono penalizzate rispetto alle altre aziende europee"; e vorrebbe correggerla anche Michele Nones, direttore dell'area Sicurezza e Difesa dell'Istituto Affari Internazionali e ‘padre' della riforma berlusconiana della 185, sia snellendo le procedure burocratiche, sia inserendo nella disciplina della 185 le armi leggere, al momento escluse. Una modifica, quella che punta a regolare anche il commercio delle armi leggere (di cui l'Italia è il secondo produttore mondiale), condivisa anche da Andrea Baranes (Campagna di riforma della Banca mondiale), Francesco Vignarca (Rete italiana per il disarmo) e Silvana Pisa (senatrice Ds), i quali però temono che, se si riaprisse un dibattito parlamentare sulla 185, passerebbero modifiche peggiorative, che liberalizzerebbero ulteriormente il commercio delle armi, sottraendolo ancora di più al controllo del Parlamento. "La 185 è applicata male ed è sempre più spesso aggirata dagli accordi bilaterali fra gli Stati – dice la senatrice Ds – quindi, più che modificarla rischiando di peggiorarla ulteriormente, bisognerebbe applicarla in tutti i suoi aspetti". Tutti e tre, però, concordano sulla necessità di colmare almeno due evidenti buchi normativi: una legge sulla "tracciabilità" delle armi per poter individuare a chi effettivamente vengono vendute e una per regolare l'attività di intermediazione nel commercio delle armi, attualmente del tutto libera. (luca kocci)