EUCARISTIA: "PER TUTTI", NON "PER MOLTI". IL PARROCO TEOLOGO CHIAVACCI RISPONDE AL CARD. ARINZE
33673. FIRENZE-ADISTA. "Stupore e profondo
dolore": così Mons. Enrico Chiavacci, parroco a Firenze e docente di
teologia morale presso la facoltà teologica dell'Italia centrale, ha accolto la
notizia della decisione vaticana di introdurre una nuova traduzione della
formula della consacrazione del calice durante la liturgia eucaristica. Non più
"per tutti" ma "per molti", capovolgendo una scelta fatta
all'indomani del Concilio per rendere più chiaro ai fedeli la piena portata del
sacrificio di Cristo. L'espressione "pro multis" (per molti) è
infatti resa nella maggior parte delle lingue occidentali con formule come
"per tutti" o equivalenti, una "spiegazione" - ha scritto il
card. Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il culto divino,
informando della decisione vaticana i presidenti delle Conferenze episcopali
nazionali in una lettera dello scorso 17 ottobre che Adista ha pubblicato
integralmente sul n. 87/06 del 9 dicembre scorso - del vero senso del testo
liturgico piuttosto che una "fedele traduzione", come richiesto
dall'istruzione Liturgiam authenticam.
Scrive Chiavacci, contestando le motivazioni teologiche e scritturali portate da
Arinze (che agiva comunque sotto l'espresso "indirizzo" di papa
Benedetto XVI), che il termine greco oi polloi, a cui si rifà il testo latino a
sua volta alla base delle traduzioni in vernacolo, "ha anche un significato
inclusivo", oltre a quello "esclusivo", tanto che una corretta
traduzione sarebbe ad esempio "la gente in genere". Inoltre, la nuova
traduzione avrebbe conseguenze pastorali che "è facile immaginare"
per un "povero parroco": sarebbe difficile scacciare tra i fedeli
l'impressione di una "marcia indietro" della Chiesa dalle sue aperture
conciliari.
Per il teologo fiorentino si tratterebbe, insomma, di un provvedimento
"abnorme" e "dannoso per l'annuncio del Vangelo". Ecco di
seguito la reazione di mons. Chiavacci alla lettera del card. Arinze. (a. s.)
Lettera ad Adista sul "per molti"
dell'istituzione dell'eucarestia
Ho letto con stupore e profondo dolore la
lettera del card. Arinze sulla traduzione delle parole della Consacrazione,
pubblicata da Adista il 9 dicembre. Non sono un biblista, ma sono parroco da
oltre 45 anni, e sacerdote da 56 anni. La fedeltà materiale al testo latino
tradisce "l'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma della
fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne": sono
le parole del card. Arinze. E perciò offro a Lui e ai suoi collaboratori alcuni
punti su cui riflettere.
1 - La versione latina ricalca l'originale greco, ma in greco il termine
‘molti' ha anche un significato inclusivo (come in oi polloi = la gente in
genere). Come in latino, così in italiano il termine molti ha invece di norma
solo il significato esclusivo: per molti ma non per tutti: BJ (Bible de Jérusalem,
ndr) esprime tale significato inclusivo traducendo "pour une multitude",
e in nota spiega che con la "nuova alleanza" Gesù si attribuisce una
redenzione universale. Così anche la TOB (Traduction Oecuménique de la Bible,
ndr), così tutti i più autorevoli commenti oggi disponibili. Non si tratta
perciò di una maggior fedeltà al testo rivelato greco, ma di una infedeltà:
il ‘molti' latino ha una valenza semantica riduttiva rispetto al ‘molti'
greco.
L'osservazione del card. Arinze (al punto 3, d e) è vera esattamente nel senso
opposto a quello ivi detto: un commento catechistico o spirituale sarebbe
necessario di fronte alla traduzione ‘per molti', non invece a quella ‘per
tutti'. L'uditore italiano penserebbe automaticamente a un senso esclusivo –
per molti ma non per tutti – e occorrerebbe spiegare che Gesù si è offerto
per tutti, ma che l'uomo, accecato dal peccato, può rifiutare tale divina
offerta.
2 - Non so se il card. Arinze e i suoi collaboratori hanno mai fatto
un'esperienza pastorale continuativa in una stessa parrocchia. In tal caso,
dovrebbe esser per loro facile capire che tutti i fedeli sotto i 50 anni non
hanno mai conosciuto altra formula consacratoria che l'attuale, e i più anziani
- per la maggior parte - non hanno mai capito la formula precedente, sia perché
ben pochi conoscevano il latino, sia perché la formula veniva pronunciata a
bassa voce. Ascoltando all'improvviso il passaggio da ‘tutti' a ‘molti'
commenterebbero sicuramente: ‘vedi, la Chiesa ha fatto marcia indietro. Non
per tutti è morto Gesù, ma solo per alcuni', sia pur molti. Con quali problemi
pastorali per il povero parroco è facile immaginare.
3 - Io ritengo che sorgerebbe in molti, immediata e spontanea, l'idea di una
Chiesa che fa marcia indietro rispetto all'apertura di Giovanni XXIII e del
Concilio, e si cautela contro possibili ipotetici ‘inquinamenti'. Si deve
ricordare l'affermazione conciliare – in Gaudium et spes n. 22: "Cum enim
pro omnibus mortuus sit Christus cumque vocatio hominis ultima revera una sit,
tenere debemus Spiritus Sanctus cunctis possibilitatem offerre ut, modo Deo
cognito, huic paschali mysterio consocientur" ("Cristo, infatti, è
morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola,
quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la
possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero
pasquale").
Se poi si riflette - a torto o a ragione - a un possibile collegamento con la
liberalizzazione della Messa preconciliare in latino e con i frequenti odierni
elogi della celebrazione con le spalle al popolo e rivolta ad oriente, può
insorgere il timore che si offuschi totalmente il forte ‘segno' della comunità
che rinnova la Cena con piena comprensione e partecipazione, riunita intorno al
presbitero, che agisce in persona Christi. Tutte le grandi Costituzioni
conciliari apparirebbero – a torto o a ragione – rimesse in questione. E sul
piano pastorale ciò sarebbe in ogni caso un danno difficilmente riparabile. Non
basta non fare: occorre non dare l'impressione o destare il sospetto che si
intenda fare.
Per questi motivi, teologici e pastorali, ritengo il provvedimento indicato
nella citata Lettera del tutto abnorme e dannoso per l'annuncio del Vangelo.
Confido che queste osservazioni, anche se provenienti da un modesto parroco,
possano indurre a ripensare il provvedimento
don Enrico Chiavacci
Firenze, il 15 dicembre 2006.