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EUCARISTIA: "PER TUTTI", NON "PER MOLTI". IL PARROCO TEOLOGO CHIAVACCI RISPONDE AL CARD. ARINZE


ADISTA n° 89 del 23.12.2006

33673. FIRENZE-ADISTA. "Stupore e profondo dolore": così Mons. Enrico Chiavacci, parroco a Firenze e docente di teologia morale presso la facoltà teologica dell'Italia centrale, ha accolto la notizia della decisione vaticana di introdurre una nuova traduzione della formula della consacrazione del calice durante la liturgia eucaristica. Non più "per tutti" ma "per molti", capovolgendo una scelta fatta all'indomani del Concilio per rendere più chiaro ai fedeli la piena portata del sacrificio di Cristo. L'espressione "pro multis" (per molti) è infatti resa nella maggior parte delle lingue occidentali con formule come "per tutti" o equivalenti, una "spiegazione" - ha scritto il card. Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il culto divino, informando della decisione vaticana i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali in una lettera dello scorso 17 ottobre che Adista ha pubblicato integralmente sul n. 87/06 del 9 dicembre scorso - del vero senso del testo liturgico piuttosto che una "fedele traduzione", come richiesto dall'istruzione Liturgiam authenticam.
Scrive Chiavacci, contestando le motivazioni teologiche e scritturali portate da Arinze (che agiva comunque sotto l'espresso "indirizzo" di papa Benedetto XVI), che il termine greco oi polloi, a cui si rifà il testo latino a sua volta alla base delle traduzioni in vernacolo, "ha anche un significato inclusivo", oltre a quello "esclusivo", tanto che una corretta traduzione sarebbe ad esempio "la gente in genere". Inoltre, la nuova traduzione avrebbe conseguenze pastorali che "è facile immaginare" per un "povero parroco": sarebbe difficile scacciare tra i fedeli l'impressione di una "marcia indietro" della Chiesa dalle sue aperture conciliari.
Per il teologo fiorentino si tratterebbe, insomma, di un provvedimento "abnorme" e "dannoso per l'annuncio del Vangelo". Ecco di seguito la reazione di mons. Chiavacci alla lettera del card. Arinze. (a. s.)

Lettera ad Adista sul "per molti" dell'istituzione dell'eucarestia


 di don Enrico Chiavacci

Ho letto con stupore e profondo dolore la lettera del card. Arinze sulla traduzione delle parole della Consacrazione, pubblicata da Adista il 9 dicembre. Non sono un biblista, ma sono parroco da oltre 45 anni, e sacerdote da 56 anni. La fedeltà materiale al testo latino tradisce "l'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma della fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne": sono le parole del card. Arinze. E perciò offro a Lui e ai suoi collaboratori alcuni punti su cui riflettere.

1 - La versione latina ricalca l'originale greco, ma in greco il termine ‘molti' ha anche un significato inclusivo (come in oi polloi = la gente in genere). Come in latino, così in italiano il termine molti ha invece di norma solo il significato esclusivo: per molti ma non per tutti: BJ (Bible de Jérusalem, ndr) esprime tale significato inclusivo traducendo "pour une multitude", e in nota spiega che con la "nuova alleanza" Gesù si attribuisce una redenzione universale. Così anche la TOB (Traduction Oecuménique de la Bible, ndr), così tutti i più autorevoli commenti oggi disponibili. Non si tratta perciò di una maggior fedeltà al testo rivelato greco, ma di una infedeltà: il ‘molti' latino ha una valenza semantica riduttiva rispetto al ‘molti' greco.
L'osservazione del card. Arinze (al punto 3, d e) è vera esattamente nel senso opposto a quello ivi detto: un commento catechistico o spirituale sarebbe necessario di fronte alla traduzione ‘per molti', non invece a quella ‘per tutti'. L'uditore italiano penserebbe automaticamente a un senso esclusivo – per molti ma non per tutti – e occorrerebbe spiegare che Gesù si è offerto per tutti, ma che l'uomo, accecato dal peccato, può rifiutare tale divina offerta.
2 - Non so se il card. Arinze e i suoi collaboratori hanno mai fatto un'esperienza pastorale continuativa in una stessa parrocchia. In tal caso, dovrebbe esser per loro facile capire che tutti i fedeli sotto i 50 anni non hanno mai conosciuto altra formula consacratoria che l'attuale, e i più anziani - per la maggior parte - non hanno mai capito la formula precedente, sia perché ben pochi conoscevano il latino, sia perché la formula veniva pronunciata a bassa voce. Ascoltando all'improvviso il passaggio da ‘tutti' a ‘molti' commenterebbero sicuramente: ‘vedi, la Chiesa ha fatto marcia indietro. Non per tutti è morto Gesù, ma solo per alcuni', sia pur molti. Con quali problemi pastorali per il povero parroco è facile immaginare.
3 - Io ritengo che sorgerebbe in molti, immediata e spontanea, l'idea di una Chiesa che fa marcia indietro rispetto all'apertura di Giovanni XXIII e del Concilio, e si cautela contro possibili ipotetici ‘inquinamenti'. Si deve ricordare l'affermazione conciliare – in Gaudium et spes n. 22: "Cum enim pro omnibus mortuus sit Christus cumque vocatio hominis ultima revera una sit, tenere debemus Spiritus Sanctus cunctis possibilitatem offerre ut, modo Deo cognito, huic paschali mysterio consocientur" ("Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale").
Se poi si riflette - a torto o a ragione - a un possibile collegamento con la liberalizzazione della Messa preconciliare in latino e con i frequenti odierni elogi della celebrazione con le spalle al popolo e rivolta ad oriente, può insorgere il timore che si offuschi totalmente il forte ‘segno' della comunità che rinnova la Cena con piena comprensione e partecipazione, riunita intorno al presbitero, che agisce in persona Christi. Tutte le grandi Costituzioni conciliari apparirebbero – a torto o a ragione – rimesse in questione. E sul piano pastorale ciò sarebbe in ogni caso un danno difficilmente riparabile. Non basta non fare: occorre non dare l'impressione o destare il sospetto che si intenda fare.
Per questi motivi, teologici e pastorali, ritengo il provvedimento indicato nella citata Lettera del tutto abnorme e dannoso per l'annuncio del Vangelo. Confido che queste osservazioni, anche se provenienti da un modesto parroco, possano indurre a ripensare il provvedimento
don Enrico Chiavacci
Firenze, il 15 dicembre 2006.