FESTINI E MINACCE A FIRENZE. L'INDAGINE PORTA ALLA CURIA
Fiorenza Sarzanini
Corriere della Sera 18-9-2007
Cinque testimoni accusano il vescovo Maniago. Nell'inchiesta già coinvolto il parroco don Cantini, condannato dal tribunale della Chiesa. Chiamato in causa da una ventina di donne. Il vescovo ausiliare di Firenze Claudio Maniago è stato l'allievo prediletto di Don Cantini. Testimoni raccontano che anche lui avrebbe partecipato a festini a luce rossa (Ansa)
FIRENZE — La sentenza di condanna del tribunale
della Chiesa sembrava aver chiuso la vicenda. E invece l'inchiesta penale su don
Lelio Cantini, il parroco di Firenze di 82 anni riconosciuto colpevole dai suoi
superiori di abusi sessuali nei confronti di alcune ragazze, adesso entra nelle
stanze della curia. Esplora i rapporti tra il prete e quello che era il suo
allievo prediletto, il vescovo ausiliare del capoluogo toscano Claudio Maniago.
Verifica alcune denunce che lo coinvolgono in festini a luci rosse e tentativi
di plagio di alcuni fedeli per costringerli a cedere le loro proprietà. L'alto
prelato non risulta iscritto nel registro degli indagati, ma nei suoi confronti
sono già stati disposti accertamenti e controlli. I magistrati hanno acquisito
i tabulati delle sue telefonate e ora si concentrano sui conti correnti bancari
proprio per stabilire la fondatezza delle accuse.
La primavera scorsa, tre anni dopo l'arrivo delle prime denunce, don Cantini e
la sua perpetua Rosanna Saveri si rifugiano in un convento per sfuggire al
clamore che il caso ha suscitato. Oltre una ventina di donne hanno accusato il
sacerdote di averle violentate quando erano minorenni. Numerosi parrocchiani
sostengono di essere stati plagiati e costretti a consegnargli denaro e beni
immobili. L'obiettivo dichiarato da don Lelio era quello di creare una nuova
Chiesa «non corrotta» e di trovare «ragazzi da inviare in seminario per
colonizzare la struttura ecclesiale». Le presunte vittime si rivolgono alla
curia e poi scrivono al Papa sollecitando le sanzioni previste dai tribunali
ecclesiastici in attesa che arrivi il giudizio della magistratura ordinaria. Si
tratta di fatti avvenuti molti anni fa, temono che alcuni reati vadano in
prescrizione. La Chiesa intanto decide di intervenire. Il 2 aprile scorso
l'arcivescovo di Firenze Ennio Antonelli e il suo ausiliare Maniago vengono
ricevuti in Vaticano da Benedetto XVI proprio per affrontare la vicenda e
decidere gli eventuali provvedimenti. Il processo penale amministrativo
autorizzato dalla Congregazione per la dottrina della fede è già stato
avviato.
E si conclude qualche settimana dopo con una condanna che lo stesso Antonelli
definisce «esemplare»: don Cantini è colpevole non soltanto di abusi
sessuali, ma anche di «falso misticismo e controllo delle coscienze». Un
plagio dunque. Il parroco non potrà più svolgere alcuna attività, viene di
fatto interdetto. Il provvedimento del cardinale si chiude con la difesa della
«serietà, della dedizione e della fedeltà del vescovo Maniago». In procura
alcuni testimoni raccontano però una diversa verità. Due dipendenti della
curia e due sacerdoti accusano Maniago di aver sempre saputo quale fosse la vera
attività di don Cantini, che era il suo padre spirituale, e di averlo «coperto».
Lo accusano soprattutto di aver partecipato alla gestione del patrimonio
immobiliare sottratto ai parrocchiani. Poi vanno oltre e sostengono che anche
lui avrebbe partecipato a festini a luci rosse. Parlano di diversi episodi,
l'ultimo sarebbe avvenuto nel 2003. «Più volte — affermano — ci ha
minacciato per costringerci al silenzio, ma adesso non possiamo più tacere».
I magistrati li ritengono attendibili e dispongono verifiche mirate.
Acquisiscono i tabulati di un cellulare intestato alla curia di Firenze che
risulta in uso al vescovo Maniago. Verificano le chiamate effettuate e ricevute
tra gennaio e giugno scorsi. Accertano numerose telefonate tra lui e la
perpetua, scoprono che almeno due volte l'alto prelato ha contattato il convento
dove don Cantini si era rifugiato. Adesso vogliono scoprire il motivo di quelle
conversazioni. Capire se sia giustificato dallo svolgimento del processo o se
invece nasconda la volontà di accordarsi con i due. Il 21 aprile si presenta in
procura Paolo C., 40 anni. Dice di aver deciso di parlare dopo aver letto i
giornali, aver saputo quanto stava accadendo. E torna indietro di dieci anni. «Era
agosto 1996 — racconta — e io, che sono omosessuale, avevo messo un annuncio
su un giornale, nella rubrica "incontri sadomaso". Attraverso il
fermo-posta fui contattato da una persona che mi diede appuntamento alla
Certosa. Quando arrivò mi accorsi che era un sacerdote. Mi portò in una
parrocchia vicino Cecina dove c'era anche un dormitorio estivo. Mi disse di
chiamarsi don Andrea. Lì trovammo un altro prete e due ragazzi, certamente
meridionali. Ebbi con lui un rapporto sessuale, poi rimasi la notte. Il giorno
dopo mi dissero che sarebbe arrivato quello che loro chiamavano "il
padrone". La sera ci fu l'incontro di gruppo, quel sacerdote l'ho
riconosciuto in fotografia. Era Claudio Maniago ».
L'uomo entra nei dettagli, si sofferma sui particolari. «A un certo punto dissi
basta, non potevo continuare». Paolo C. ricorda la sua fuga, la crisi. Dice di
averne parlato con don Andrea «che in seguito mi aveva contattato varie volte».
E aggiunge: «Mi offrirono dei soldi, poi mi fecero un bonifico. Avevo paura che
si potesse pensare a una sorta di estorsione per comprare il mio silenzio, ma
loro mi dissero che volevano farmi soltanto un'offerta». Sono poco più di tre
milioni di lire. Il testimone fornisce i dati per risalire all'operazione, i
pubblici ministeri delegano la polizia a effettuare le verifiche. Il passaggio
di denaro viene rintracciato sulla Banca delle Marche. Ora proseguono gli
accertamenti patrimoniali per scoprire se ci siano stati altri episodi analoghi.
Soltanto quando il quadro sarà completato si deciderà se formalizzare le
accuse. Prima dell'iscrizione nel registro degli indagati i magistrati vogliono
incrociare i dati a disposizione ed effettuare altri riscontri.