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LE
“IMPRESE” DI DON PIERINO GELMINI, “PRETE DI STRADA” TRA LUSSO, BUSINESS,
POLITICA E CARCERE
ADISTA n° 57 del 1.9.2007
34006. ROMA-ADISTA.
Ha detto di essere vittima della “lobby ebraica-radical-chic” (ritrattando
poi lo scivolone, costatogli una valanga di critiche e la rinuncia
dell’avvocato Franco
Coppi
a difenderlo), della massoneria, dei gay, del laicismo radicale, della
magistratura anticlericale. Ma la vicenda di don Pierino Gelmini,
indagato dai pm di Terni per presunti abusi sessuali nei confronti di alcuni
ragazzi della Comunità Incontro (ad accusarlo, diversi ex ospiti della
struttura da lui fondata e diretta) parte da lontano. La
“vocazione” dei fratelli Gelmini Quella
di Gelmini è infatti una biografia lunga e con diverse zone d’ombra. Nato nel
1925 in
provincia di Milano, ha vissuto e studiato in Lombardia. Ma è stato ordinato
prete nel 1949 lontano dalla sua zona di origine, nella diocesi di Grosseto.
Circostanza curiosa, che le note biografiche riportate sul sito web
della Comunità Incontro spiegano così: da Milano, Gelmini si presenta al
vescovo di Grosseto, “diocesi bisognosa di clero”, e “si prepara al
sacerdozio”. A quell’epoca il vero “don Gelmini”, quello famoso, non era
lui, ma il fratello padre
Eligio,
esuberante frate minore che preferiva il cachemire
al ruvido panno francescano, precursore di tante figure di preti mediatici e
mondani che frequentano salotti, feste e studi televisivi. Padre Eligio era
confessore e assistente spirituale di vip e calciatori (era, tra l’altro, il
“cappellano” del Milan, oltre che amico intimo di Gianni
Rivera), l’unico prete al mondo a poter vantare di
aver concesso un’intervista al settimanale sexy Playboy,
frequentatore di eventi mondani, nonché fondatore della comunità di recupero
per tossicodipendenti «Mondo X» e del Telefono Amico. Particolarmente
dettagliata nel raccontare i primi anni di sacerdozio di don Pierino - che negli
anni ’60 diventa segretario del card.
Luis Copello,
arcivescovo di Buenos Aires fino al 1959, passato poi in forze alla Curia
vaticana come Cancelliere di Santa Romana Chiesa –, la sezione del sito
internet della “Comunità Incontro” dedicato alla biografia di Gelmini
omette del tutto gli eventi che caratterizzano il periodo che va dalla metà
degli anni sessanta al 1979. Sono infatti gli anni in cui per don Pierino
iniziano i problemi con la giustizia e le vicissitudini giudiziarie. I
primi guai giudiziari“Già
nel 1965 - racconta Marco
Lillo in un articolo pubblicato dall’Espresso
il 16/8 -
un anno prima di darsi ai tossicodipendenti, il sacerdote aveva comprato la
splendida tenuta di Caviggiolo con tanto di maniero e riserva di caccia a
Barberino del Mugello, sull’Appennino toscano. I giornali dell’epoca
raccontano che gli assegni per 200 milioni di lire (del 1965) consegnati alla
Società Idrocarburi per l’acquisto erano scoperti e il tribunale inflisse tre
mesi di galera a don Pierino”.Nel 1969 il prete acquista un’altra villa
all’Infernetto, zona Casal Palocco, una delle più “in” dell’hinterland
romano. La biografia ufficiale di Gelmini si limita ad accennare
all’abitazione definendola “una casa più ampia” di quella dove don
Pierino aveva sino ad allora vissuto. Per la precisione si trattava invece di
una villa in cortina a due piani protetta da un largo muro di cinta con
ringhiera di ferro battuto, un vasto giardino in cui era custodita una Jaguar,
piscina, due cani, tre persone a servizio: un autista, una cuoca e una
cameriera. Insomma, se al fratello Eligio piaceva la bella vita, don Pierino non
era da meno. Ma il tenore di vita di don Pierino viene compromesso dalla
magistratura: il 13 novembre 1969 i carabinieri lo arrestano nella sua
abitazione (grande scalpore sui giornali dell’epoca suscitò la notizia che i
carabinieri avevano trovato una Jaguar nel giardino di don Pierino) per
emissione di assegni a vuoto, truffa e fallimento di una cooperativa di
costruzioni collegata con le Acli di cui il sacerdote era tesoriere e che doveva
costruire palazzine all’Eur. Gelmini viene anche coinvolto in un’inchiesta
che riguarda la ditta di import-export
tra Italia e Argentina che aveva costituito sfruttando – si disse – le buone
entrature ottenute attraverso i servizi resi al card. Copello. Nel 1970 il prete
ripara quindi all’estero, nel Vietnam del Sud, dove fa amicizia con l’ex
arcivescovo della cittadina di Huè, mons.
Pierre Martin Ngô
Ðình Thuc,
fratello di Jean
Baptiste
Ngô Ðình Diêm,
dittatore del Vietnam del Sud, assassinato nel 1963, ormai caduto in disgrazia
presso gli Stati Uniti. Ma anche in Vietnam Gelmini ha grane con la giustizia:
proprio dall’ex arcivescovo di Hué, insieme a madame
Nhu,
vedova del fratello minore del presidente Diêm e per anni sua first
lady,
viene denunciato per appropriazione indebita. Nel 1971 torna in Italia. Ed entra
in carcere. Il processo a suo carico si era infatti concluso con la condanna a
quattro anni, che don Pierino sconterà interamente. Uscito di prigione - dopo
aver trascorso un breve periodo di ritiro in Maremma per volontà delle autorità
ecclesiastiche - nel 1976 don Gelmini torna in cella, ad Alessandria. Insieme al
fratello Eligio è infatti accusato di aver ricevuto una bustarella di 50
milioni da Vito
Passera,
imprenditore in difficoltà che puntava sui buoni uffici dei fratelli Gelmini
per diventare console onorario della Somalia e ottenere facilitazioni nel
commercio di burro tra gli Usa e il Paese africano. Stavolta però in prigione
don Pierino ci rimane poco tempo. Assieme al fratello, viene prosciolto dalle
accuse e nel ‘77 è di nuovo nella sua villa romana a Casal Palocco. Nel 1979
don Pierino, sulle orme del fratello (che nel 1974 era riuscito a farsi
assegnare gratuitamente dal conte Lodovico
Gallarati Scotti l’uso del suo castello di Cozzo
Lomellina come sede del suo “Mondo X”), dà inizio al business antidroga. 1979:
nasce la holding della tossicodipendenza“Don
Gelmini Spa”, titola il 16 agosto l’Espresso,
ricostruendo la nascita dell’impero economico del prete antidroga. La prima
comunità di recupero nasce ad Amelia, in provincia di Terni. Don Pierino si fa
assegnare in comodato d’uso per 40 anni un frantoio abbandonato, il Mulino
Silla, in una piccola valle chiamata delle Streghe, facendone la sede della sua
nuova attività. Nel 1988 sindaco di Amelia diviene l’ex leader
della Cgil Luciano
Lama.
È lui a segnalare alla procura il fatto che a don Pierino i vincoli del piano
regolatore stavano stretti e i piccoli casali abbandonati che andava acquisendo
si trasformavano in enormi strutture senza le necessarie autorizzazioni. “Alla
fine - racconta l’Espresso
- tutto fu sanato, grazie anche ai socialisti della giunta”. Così le proprietà
immobiliari della Comunità Incontro hanno potuto estendersi senza sosta, al
punto da comprendere, nella sola provincia di Terni, boschi, uliveti, vigneti e
pascoli per una ventina di ettari, oltre a diversi fabbricati sparsi tra
Cenciolello, Porchiano e la strada di Orvieto. Oggi
la Comunità
di don Gelmini conta ufficialmente 164 sedi in Italia e 74 nel mondo. Dati
contestati però da Stefania
Nardini
in un articolo comparso su Gente
d’Italia, quotidiano italiano delle Americhe. La
giornalista, che ha passato un periodo presso
la Comunità Incontro
, racconta di culto della personalità, di body
guard armati di pistola, di macchinoni di lusso (un
vizio antico), di disparità nel trattamento degli ospiti, ma anche di cifre
gonfiate a beneficio della sua immagine pubblica: “Si parla di 164 sedi
residenziali in Italia - scrive
la Cardini
- e invece sono 64, di 180 gruppi d’appoggio che in realtà sono una ventina,
di un turnover
residenziale di 12 mila persone (turnover
in cui sono comprese semplici richieste di informazioni), di 126.624 ingressi in
comunità tra il 1990 e il 2002, mentre attualmente si registrano non più di 20
o 30 colloqui al mese, il che significa al massimo 360 ingressi all’anno,
cifra che si riduce alla metà considerando coloro che rinunciano”.Anche sui
cospicui introiti delle Comunità i numeri sono incerti: “La trasparenza
amministrativa - racconta l’Espresso
- non è mai stata una priorità della comunità. Sul sito internet non c’è
traccia del bilancio. Bisogna andare alla Camera di commercio a Roma per
scoprire che
la Comunità Incontro
, organizzazione non lucrativa a fini sociali, è presieduta da una sconosciuta:
Umbertina Valeria Mosso, avvocato di 86 anni. Il comitato direttivo è composto
dalle persone più vicine a don Pierino, come Claudio Legramanti e Claudio
Previtali e dal ‘don’, che è il segretario generale, ma con ampi poteri di
gestione”. La politica: un ritorno di “fiamma”In
ogni caso, il suo piccolo impero don Gelmini lo ha realizzato anche in virtù
delle sue ottime entrature politiche, oltre che alle cospicue donazioni che il
suo carisma ha saputo intercettare. Solo in occasione della megafesta per gli 80
anni di don Pierino, nel 2005, Berlusconi
dichiarò di volergli devolvere 10 miliardi delle vecchie lire. Alla mega kermesse
in onore del prete ottuagenario c’era anche un altro grande amico di Gelmini,
l’allora ministro Maurizio
Gasparri. Insieme ad altri rappresentanti del governo,
come Rocco
Buttiglione
e Pietro
Lunardi,
oltre a Gustavo Selva
e ad una sfilza di sottosegretari. E ad un esponente della “Prima
Repubblica”, l’ex ministro della Sanità Francesco
De Lorenzo, da anni tra i volontari della “Comunità
Incontro”.A tanta benevolenza da parte del leader e degli esponenti della Casa della Libertà,
Gelmini ha sempre risposto con una indefessa militanza a destra, che - oltre ad
intercettare verso Berlusconi il consenso di migliaia di visitatori ed ospiti
(nonché delle loro famiglie) passati in comunità negli ultimi 30 anni - si è
più volte caratterizzata con la presenza di Gelmini a manifestazioni politiche
ed elettorali. Lo si è visto spesso con esponenti di An (lo scorso anno, in
campagna elettorale, era a fianco del candidato sindaco di Roma Gianni
Alemanno).
Nel 2006 don Pierino fu uno dei maggiori sostenitori della nuova legge sulla
droga che ha eliminato la differenza tra droghe leggere e pesanti. “Grazie,
Gianfranco, per la legge contro la droga, affido a voi di An il compito di
difendere i principi cristiani”, disse don Gelmini ai delegati di An presenti
alla conferenza programmatica del partito, il 5 febbraio 2006. Le
accuse a don Gelmini: nella Chiesa, qualcuno sapevaLe recenti accuse di molestie sessuali
hanno - per la verità - qualche precedente negli anni d’oro della Comunità
incontro. Come quando, il 23 novembre 1991, venne ritrovato morto sgozzato a
Rimini Fabrizio
Franciosi,
cittadino di San Marino, anni prima ospite della Comunità del Mulino Silla.
Durante le indagini, il fratello della vittima raccontò che poco tempo prima di
morire Fabrizio gli aveva raccontato di aver subito da don Gelmini abusi
sessuali in una casetta nel parco della comunità. Nel 2003 don
Antonio
Mazzi,
animatore della comunità per tossicodipendenti Exodus, ricevette la lettera di un ragazzo che
raccontava di aver subito molestie sessuali da parte di don Gelmini nel 1993,
quando aveva trascorso un periodo di sei mesi ad Amelia. Poi il giovane si era
trasferito in una struttura di don Mazzi, con il quale si era confidato ed aveva
continuato a mantenere rapporti epistolari. Ma Mazzi ha raccontato questi fatti
solo nelle scorse settimane, quando il caso don Gelmini era già scoppiato.
Sentito dal procuratore di Terni Carlo Maria Scipio
e del pm Barbara
Mazzullo,
Mazzi ha comunque ribadito punto per punto ciò che aveva già rivelato circa il
contenuto della missiva. Nel 2004, un libro di Marco
Salvia,
Mara come me
racconta la vita all’interno di una comunità di recupero di
tossicodipendenti, delineata nei termini di un lager
gestito da un prete bigotto e fanatico e da responsabili violenti. La storia è
romanzata, ma il 23 gennaio 2005 il quotidiano il manifesto
pubblica una lettera con cui l’autore usciva allo scoperto, dichiarando che i
fatti narrati nel libro erano reali e che dietro la figura di don Luigi, il
padre-padrone della comunità, si celava don Pierino Gelmini. E poi ci sono le
accuse fatte da Bruno
Zanin
nel suo libro-autobiografia Nessuno dovrà saperlo,
in cui afferma di aver subito abusi sessuali da Don Gelmini all’età di 13
anni (il capitolo che parla dell’abuso è stato messo online
dall’autore all’indirizzo internet www.bispensiero.it/documents/DonGiustino.pdf).
Nel libro, Zanin, che è stato negli anni ’90 collaboratore di Radio
Vaticana,
racconta anche di aver parlato degli abusi all’allora direttore dei programmi
dell’emittente, p.
Federico Lombardi
(oggi direttore della Sala Stampa vaticana) ed a mons. Giovanni d’Ercole,
religioso orionino, capo ufficio della sezione affari generali della segreteria
di Stato del Vaticano, da sempre amico di don Pierino e da qualche mese
direttore responsabile della rivista della comunità “Il Cammino” e
dell’emittente Tele
Umbria Viva,
di cui Gelmini è proprietario. Titoli e sottotitoliAnche
con
la Chiesa
cattolica i rapporti, a dispetto delle difese d’ufficio tratta che oggi
vengono fatte di don Pierino come dell’ennesimo prete vittima delle
persecuzioni mediatiche e laiciste, sono piuttosto tesi. Fin dal 1963, quando
don Pierino iniziò a fregiarsi del titolo di monsignore, senza esserlo, il
Vaticano ha iniziato a diffidarlo dall’utilizzare quel titolo e in seguito lo
ha anche sospeso a
divinis.
Sospensione poi ritirata, ma il titolo tanto agognato non arrivava. Nel 1988
Gelmini risolse allora il problema con un abile éscamotage:
pur essendo un prete di rito latino, aderì ad una Chiesa cattolica di rito
orientale, quella melkita, e si fece insignire del titolo di Esarca Mitrato
della Chiesa cattolica greco-melkita. Titolo onorifico che non equivale certo a
quello di vescovo. E nemmeno a quello di monsignore. Nelle biografie
“ufficiali” di don Gelmini però il titolo ottenuto dalla Chiesa melkita è
messo in grande evidenza (insieme ad un’altra lunghissima sequela di bizzarri
riconoscimenti: da “maggiore garibaldino e primo cappellano della Legione
Garibaldina” a “gran comandante dell’Ordine di George Washington”). Non
solo per la sua altisonanza, ma perché dà all’esuberante prete il diritto
all’uso dell’anello, della mitra, della croce e del pastorale quando celebra
la messa con rito greco (o avendo ottenuto dal Vaticano uno speciale permesso a
celebrare con il doppio rito). Ma a don Gelmini certe sottigliezze liturgiche
vanno strette e la messa continua a celebrarla in rito romano, vestendo però i
sontuosi paramenti greco-cattolici.
Una piccola rivincita con la gerarchia che tanto
lo ha bistrattato don Pierino se l’è presa il 20 ottobre del 2000, quando
Wojtyla ricevette in piazza San Pietro trentamila rappresentanti delle Comunità
Incontro. La benedizione del papa polacco non ha però migliorato i difficili
rapporti con
la Curia
, che continua a non amarlo. Recentemente, al card. Francesco Marchisano,
presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, che gli ha chiesto
di fare un passo indietro per meglio difendersi dalle accuse, don Pierino ha
risposto: “Mi chiede di fare un passo indietro? Lo faccia lui in avanti, in un
burrone”. E comunque, ha tenuto a precisare don Pierino, “io non guido
un’associazione religiosa, ma laica”. (valerio
gigante)