Eluana e il monopolio dell’etica
Gian Enrico Rusconi
La Stampa 18 ottobre 2007
Era scontato l’attacco frontale dell’Osservatore Romano contro la sentenza della Cassazione che riapre il «caso Eluana», la giovane che da quindici anni si trova in coma irreversibile. La sentenza accoglie la possibilità che, con il consenso del padre, si fermi la macchina che tiene Eluana in vita vegetativa.
Ma quello che non è scontato è il silenzio e l’imbarazzo dei responsabili politici italiani di fronte all’attacco vaticano contro la magistratura, accusata di «orientare il legislatore verso l’eutanasia». Più in generale la magistratura è accusata di promuovere «il relativismo dei valori», che ormai è l’anatema del nuovo millennio.
Di fronte a queste accuse, dove sono i vocalissimi leader del neonato Partito democratico? Perché lasciano diffamare il pluralismo dei valori - fondamento della laicità - come «zona vuota dai confini non più tracciabili»?
In realtà è la gerarchia cattolica che non lascia tracciare a nessuno, tanto meno alla magistratura «i confini», perché ritiene di avere essa soltanto il monopolio dell’etica. Confonde il difficile e complesso problema della contemperanza dei vari criteri di giudizio etico - come nel caso di Eluana - con la mancanza di moralità. Eleva una concezione della vita umana sostanzialmente biologicistico-vegetativa a criterio etico unico e univoco, da cui discendono soltanto giudizi diffamatori per ogni altra visione della vita.
Eppure nei toni dell’ultima denuncia vaticana si nota una regressione rispetto ad altre più attente e meditate considerazioni fatte dagli uomini di Chiesa in tema di «accanimento terapeutico» o di inutile sofferenza. Perché questa regressione?
Ha ragione l’organo vaticano a segnalare un inaccettabile «vuoto legislativo» in Italia. Ma non lo si riempie imponendo una (legittima) visione della vita legata ad una determinata fede religiosa, a chi ha una visione diversa (altrettanto legittima), anche se ad essa in Italia non viene riconosciuta pari dignità etica.
Nel nostro Paese non esiste un vuoto di valori - come ripetono i clericali - ma una paradossale ricchezza di valori che sono spesso in contrasto tra loro. Questo contrasto viene fuori in situazioni particolari, che si fanno sempre più frequenti con le trasformazioni dei comportamenti, delle mentalità, delle esperienze. Si va dai casi relativamente semplici, eppure inutilmente esasperati e quindi irrisolti come il riconoscimento delle coppie di fatto, ai casi difficili come quello di Eluana.
Ciò che manca nel nostro Paese è una cultura e una politica laica, degna di questo nome. Una politica che governi davvero il pluralismo dei valori, di cui tutti i politici si riempiono la bocca. Che prenda decisioni legislative difficili, che tracci «confini» nel senso di tenere presenti tutti i criteri morali che entrano in gioco nelle scelte che contano. Anche a costo di scontrarsi con la Chiesa. Di tutto questo non vedo tracce attendibili nei fiumi di parole sentite in queste settimane, dentro e fuori il Partito democratico.
L’elenco delle decisioni legislative da prendere con urgenza non è lungo, ma qualificante. Per rimanere in tema, ci sono le questioni catalogate sotto la voce «testamento biologico». Esse riguardano sia direttamente la persona interessata, sia indirettamente i criteri per individuare chi dev’essere autorizzato a decidere in nome e per amore dell’interessato. Non si tratta di evocare «una potestà indeterminata sulla propria esistenza» - come scrive con toni drammatici l’organo vaticano - . Si tratta semplicemente di mettere le persone in grado di anticipare e di reagire con ragionevolezza a uno stadio di irreversibile disumanizzazione della propria esistenza.
Rimangono infine sul tappeto i problemi legati ai «Dico», al riconoscimento delle unioni di fatto di varia natura. A questo proposito, era appena iniziato un dibattito poi bruscamente interrotto, per evidenti ricatti politici. Se è vero che nel centro sinistra si respira aria nuova, perché non rimettere mano a queste iniziative?