anatemi
Cento anni di modernismo nelle libertà perdute della Chiesa
Nel luglio del 1907, Pio X stigmatizzava la corrente religiosa di Murri e Bonaiuti. Due mesi più tardi, l'enciclica «Pascendi Dominici gregis» condannerà ancora il movimento definito «sintesi di tutte le eresie»
Alfonso Botti
il manifesto del 13.7.2007
È passato un secolo da quando, nel luglio del 1907, con il
decreto Lamentabili sane exitu Pio X condannava la corrente riformatrice
religiosa da qualche anno divenuta nota con il nome di modernismo. Due mesi
dopo, l'8 settembre, la condanna era reiterata con l'enciclica Pascendi Dominici
gregis che stigmatizzava il modernismo come «sintesi di tutte le eresie». Si
è soliti identificare il punto algido della controversia modernista con la
pubblicazione di L'Évangile et l'Eglise (1902) dell'abate Loisy: il «piccolo
libro» dalla copertina rossa in cui l'esegeta francese forniva una lettura
tutta escatologica del regno predicato da Gesù, negando che egli avesse inteso
fondare la Chiesa. A cui faceva seguire, l'anno dopo, Autour d'un petit livre
nel quale esplicitava e ribadiva le proprie posizioni.
Un fenomeno europeo
Il modernismo si sviluppò tra il clero, gli intellettuali cattolici e i
semplici credenti di base dagli ultimi anni del pontificato di Leone XIII alla
condanna di papa Sarto. Poi cercò di organizzarsi come movimento per resistere
e sopravvivere, ma fu sopraffatto. La controversia a cui diede vita produsse la
crisi più importante nella Chiesa dopo la Riforma protestante e senza termini
di paragone neppure con i sommovimenti prodotti dal giansenismo. Il fenomeno
ebbe dimensioni a carattere europeo. Europea la statura dei suoi principali
esponenti che mantenevano profondi e articolati rapporti con la cultura del
Vecchio continente. Se ne trova conferma scorrendo l'elenco dei corrispondenti
del pastore protestante francese Paul Sabatier, le cui carte sono conservate
presso il Centro studi per la storia del modernismo di Urbino, fondato
all'inizio degli anni Settanta da Lorenzo Bedeschi.
I più significativi rappresentanti della corrente furono, in Francia, oltre ai
già citati Loisy e Sabatier, Bremond, Hébert, Houtin, Laberthonnière, il
filosofo Le Roy; in Italia, Romolo Murri (il fondatore della prima democrazia
cristiana), Buonaiuti, Minocchi, Fracassini, Semeria, Gallarati Scotti e lo
scrittore Antonio Fogazzaro; in Gran Bretagna, l'ex gesuita Tyrrell, miss Petre
e il barone d'origine austriaca von Hügel; in Germania i professori Schell,
Schnitzer, Koch, Engert e Funk. In Spagna, a parte il limitato interesse verso
il modernismo di alcuni religiosi e del sacerdote galiziano José Amor Ruibal,
gli intellettuali che più si avvicinarono alla sensibilità modernista furono
Leopoldo Alas, noto con lo pesudonimo di Clarín, suo fratello Genaro, il Pérez
Galdós del romanzo Nazarín e, più di tutti, Unamuno.
Tra scienza e fede
L'assenza di modernisti in carne e ossa fu surrogata da Ortega y Gasset
nel 1908 con la creazione del personaggio di Rubín de Cendoya nella recensione
che dedicò all'edizione spagnola del Santo di Fogazzaro. Anni dopo, nel 1936,
lo stesso fece lo scrittore basco Pío Baroja, con il personaggio di Javier Olarán,
nel romanzo El cura de Monleón.
Furono molte le riforme del cattolicesimo e della Chiesa auspicate dai
modernisti. I temi più tipici delle loro ricerche storiche e religiose si
possono riassumere nella formula della spinta verso la conciliazione tra la
scienza e la fede cristiana. Un risultato che cercarono di perseguire muovendosi
su differenti piani: con l'impiego del metodo storico-critico nell'esegesi
biblica, nella storia della Chiesa e dei dogmi, nell'apologetica e l'agiografia;
con la critica del tomismo come filosofia cristiana e del concetto stesso di «filosofia
cristiana» al posto della quale si adoperarono a favore della libera ricerca
filosofica, guardando con simpatia al pensiero di Blondel, Bergson e al
pragmatismo statunitense; con l'accettazione dell'evoluzionismo darwinano per
spiegare l'origine dell'uomo contro il tradizionale creazionismo del magistero
ecclesiastico; prestando attenzione agli aspetti psicologici dell'esperienza
religiosa sotto l'influenza di William James; con la netta opzione per la
democratizzazione della Chiesa e della società, che assunse venature socialiste
nel caso del Buonaiuti degli anni della rivista «Nova et vetera».
L'origine del sospetto
In definitiva i modernisti vollero togliere le incrostazioni confessionali che
si erano depositate nel corso dei secoli attorno all'Evangelo e al messaggio
cristiano per recuperarne l'autentico significato in vista del più proficuo
dialogo con il mondo moderno. Fu una tendenza intellettuale, ma non elitaria,
che trovava le proprie radici nel cattolicesino liberale francese e italiano,
nel Reformkatholizismus tedesco, nell'americanismo (condannato dalla Chiesa nel
1899 con la Lettera Testem benevolentiae), nel positivismo e nel nuovo
protagonismo delle masse dell'Europa di quegli anni. La Chiesa ebbe paura e
condannò la corrrente riformatrice. Costruì anzi con «il modernista» il
proprio nemico interno. I modernisti dovettero scegliere tra deporre l'abito
talare, la sospensione a divinis e il mesto ritorno all'ovile. Alcuni
continuarono a pubblicare i risultati delle proprie ricerche coperti da
pseudonimi.
Quelli che non obbedirono o che vennero scoperti furono scomunicati (Loisy,
Buonaiuti, Murri). Per questo motivo la crisi modernista si frantumò in tante
crisi personali, di coscienza, esistenziali. Le pubblicazioni moderniste e anche
alcuni romanzi furono inseriti nell'Indice dei libri proibiti. Molte riviste
cessarono le pubblicazioni. Nacque una cultura del sospetto contro ogni attività
di ricerca nelle scienze religiose che non risparmiò neppure il futuro Giovanni
XXIII. La grande mobilitazione antimodernista favorì i settori più
intransigenti e integralisti della Chiesa e del cattolicesimo. Per meglio
combattere la «eresia» modernista, un ecclesiastico prossimo a Pio X,
monsignor Benigni, fondò nel 1909 Sodalitium Pianum o Società San Pio V (nota
anche come Sapinière), un'organizzazione di spionaggio clericale, che contò
sulla collaborazione di schiere di delatori, infiltrati e persino di cifrari
segreti. A partire dal settembre del 1910 si introdusse l'obbligo del giuramento
antimodernista per entrare nei seminari e nelle Università pontificie (Motu
proprio Sacrorum antistitum).
Nel 1907 morirono nella Chiesa le inquietudini e il dubbio, la libertà di
ricerca e la possibilità stessa del pluralismo teologico. I cattolici avrebbero
dovuto aspettare quasi mezzo secolo e il Concilio Vaticano II per recuperare i
livelli di libertà ecclesiale che il modernismo aveva fatto intravedere.
Non a caso proprio negli anni della primavera conciliare prese avvio lo studio
del modernismo con le ricerche di Ranchetti, Scoppola, Bedeschi e, su tutti,
Poulat, per dire solo dei principali. Di contro, il 1907, segnò il trionfo del
clericalismo. La condanna e la repressione antimodernista favorirono i settori
più ultramontani e integralisti sul piano religioso e quelli più illiberali e
antidemocratici sul piano politico.
Vuoti di cultura
A ben guardare, però, e con la prospettiva che il tempo consente,
occorre riconoscere che la Chiesa non respinse la modernità in toto. Il
modernismo rappresentava infatti solo una delle vie o opzioni della
modernizzazione cattolica. Nel suo complesso Curia romana e gerarchie ne
scelsero un'altra.
Iniziò proprio allora, infatti, il cammino verso la modernità compatibile, la
modernità «buona», dei mezzi, ma non dei contenuti, attraverso una complessa
operazione di filtro e aggiustamento del tradizionale progetto di cristianità.
Un progetto dal quale non si è scostato né il papa polacco né, a quanto è
dato vedere, quello tedesco, che alla messa in latino di Pio V ha dato facoltà
di tornare.
Senza la condanna del 1907, la storia del cattolicesimo e della Chiesa in Europa
avrebbe probabilmente seguito un altro percorso. Senz'altro meno tardiva la
sconfessione dell'Action française, che giunse solo nel 1926; senz'altro
maggiori resistenze alla penetrazione del fascismo avrebbe offerto il mondo
cattolico italiano e più difficili la sacralizzazione della Guerra civile
spagnola e la stretta alleanza di quel cattolicesimo con il franchismo. La
condanna lasciò indifferente la cultura laica e socialista che vi trovò
conferme circa l'irriducibile antinomia tra religione, scienza e modernità.
Contentò invece quella liberale moderata e conservatrice, che di un mondo
cattolico disciplinato aveva bisogno.
A essa inconsapevolmente si ispirano «atei devoti» e «teocon» dei nostri
giorni, ignari delle repliche farsesche della storia. Che nel dibattito
culturale e politico degli ultimi tempi su scienza e religione, bioetica e
darwinismo, laicità dello Stato e neoclericalismo sino rimasti del tutto
assenti riferimenti sia al modernismo, sia al clericomoderatismo, la dice lunga
sul vuoto di cultura storica su cui galleggia il paese