inchiesta
La chiesa è viva. Ma
sempre più sola
È
giustificato l'allarme del Vaticano sul calo delle vocazioni?
Il corpo cattolico dimagrisce in modo
irreversibile: sempre meno preti e suore, in Italia e altrove. E le nuove
fiammate di spiritualità beneficiano altri organismi. Ratzinger ha in mente un
colpevole: la crisi della famiglia. Per questo insiste senza tregua
Mimmo de Cillis
di Lettera22
il manifesto del 20.4.2007
Forse Dio non è morto, ma di certo è sempre più
solo. La crisi delle vocazioni al sacerdozio devasta la chiesa cattolica in
lungo e in largo, a tutte le latitudini. Il problema è serio, centrale per la
vita stessa della chiesa ed è, soprattutto, in cima ai pensieri di papa
Ratzinger. Il fatto è che la generale rivincita del sacro, l'emergere dalla
religione nella vita pubblica di tante nazioni, nei paesi occidentali come in
Oriente o nel Sud del mondo, non si traduce in un rigoglio vocazionale, di
persone che dedicano la loro vita al sacerdozio o alla consacrazione. Tutt'altro:
ne beneficiano invece movimenti carismatici, soprattutto di matrice protestante,
nuove comunità religiose, gruppi new age ed esperienze a sfondo religioso meno
istituzionalizzate della chiesa cattolica. Che si arrovella nel sua eterno
combattimento interiore fra la necessità di restare fedele a se stessa -
immutabile nei suoi dogmi secolari - e l'urgenza di rispondere, adeguandosi, a
un mondo in rapido sviluppo sociale, culturale, religioso. Certo, oggi la
battaglia sembra persa e il tentativo estremo di papa Ratzinger di rinverdire
l'anima cristiana dell'Europa, per recuperare un terreno di valori - e dunque
uno stile di vita - ispirato in tutte le sue forme al messaggio di Gesù, appare
come una lotta donchisciottesca ai mulini a vento o un voler chiudere la stalla
quando i buoi sono già da tempo scappati via.
E' un'analisi seria, minuziosa, a tratti impietosa, quella proposta dal
vaticanista Francesco Peloso nel suo testo Se Dio resta solo (Lindau, 2007) da
oggi disponibile sui banchi delle librerie italiane. Credibile e circostanziata,
soprattutto perché parte dal grido d'allarme lanciato dagli stessi vescovi
cattolici di tutto il mondo, riuniti nell'ultimo sinodo convocato da Benedetto
XVI nell'ottobre 2005. Un grido lancinante che aveva l'Europa come cuore della
crisi, in una ferita che il fervore delle giovani chiese - quelle africane, in
parte quelle asiatiche e latinoamericane - solo in parte riesce a curare. Nel
cuore dell'Europa la crisi colpisce in modo trasversale, e per diverse ragioni,
paesi di grande tradizione cattolica come Spagna e Italia, nazioni dal
sottofondo culturale razionalista come la Francia, paesi nordici influenzati dal
calvinismo (dalla Germania in su). Ma non risparmia nemmeno i paesi dell'est,
dove spesso la fine della repressione ha generato il diffondersi di un
consumismo pervasivo che contribuisce ad allontanare la popolazione dai «valori
cristiani», in nome del profitto e del successo, dando alla chiesa altre
difficoltà e ulteriore terreno da recuperare, soprattutto nel rapporto con le
giovani generazioni.
«Non è un caso - ricorda il testo - che Giovanni Paolo II parlò con felice e
drammatica espressione di silenziosa apostasia dell'Europa, mentre il suo
successore, Benedetto XVI, batte incessantemente sul tema del relativismo, cioè
sul prevalere di una visione dell'uomo che non è più fondata sul
riconoscimento ultimo della verità cristiana».
Le cifre (quelle ufficiali, diffuse dalla Santa Sede) parlano chiaro, fa notare
Peloso: guardando all'ultimo quarto di secolo i sacerdoti in Europa sono
diminuiti di oltre il 20%, ma è tutto l'Occidente a segnare un inarrestabile
declino: a partire dal continente americano, dal Canada agli Stati uniti, dove
una chiesa bastonata dallo scandalo dei sacerdoti pedofili vivacchia da qualche
anno nel silenzio e nel torpore della stagnazione, dopo la pubblica gogna. Fino
all'Australia, altro paese di cultura occidentale, dove pure si assiste a un
forte calo delle vocazioni e quindi a una costante diminuzione del clero. Un
fenomeno a cui va ad aggiungersi l'invecchiamento dei preti (di pari passo con
l'andamento demografico), fra i quali gli ultrasessantenni la fanno ormai da
padrone. Stesso trend tocca i «consacrati», cioè suore e frati appartenenti
alle congregazioni religiose: nell'arco di tempo che va dal 1978 al 2004 gli
uomini sono diminuiti del 27%, le donne del 22%. La preoccupazione c'è e si
avverte sia nelle riflessioni e nei richiami che vengono dal Vaticano, sia nei
documenti delle singole conferenze episcopali.
E' anche vero che la chiesa, per certi versi, sembra darsi la zappa sui piedi,
insistendo su alcuni particolari - come il celibato sacerdotale- che non sono
essenziali a quel tipo di vocazione ma sono solo prassi affermatesi con il
passare dei secoli, non certo dogmi intangibili. Anche il «no» pervicacemente
ribadito alla possibilità del sacerdozio femminile (ammesso dai cristiani
protestanti) è un'altra componente che stride e contribuisce ad allontanare i
giovani dalla possibilità scelta dell'ordinazione.
A dare pensiero è soprattutto l'eziologia della «malattia»: se calano i
preti, se i giovani non hanno più voglia di farsi frati o suore, le ragioni
profonde vanno cercate nella cultura, è vero, ma soprattutto nella famiglia: è
quella la «culla» delle vocazioni, dell'educazione ai valori cristiani, che
sta venendo meno, che sta crollando sotto i colpi inferti dalla
secolarizzazione, dal progressivo sparire della fede (almeno di quella
tradizionale) dall'orizzonte personale, comunitario, sociale. Se cede la
famiglia, ancoraggio dei valori evangelici, terreno fertile in cui piantare il
germe della fede, è naturale che i giovani non avvertano più il fascino di una
vita donata nel celibato al ministero sacerdotale, un ministero «al servizio
della comunità cristiana», un'opera di mediazione fra l'uomo e Dio. Anche
figure che in passato hanno avuto un richiamo di eroismo, come i missionari, «sono
divenute figure non più riconoscibili come intimamente proprie dalle società
occidentali», nota Peloso, sostituite magari dalla possibilità, offerta a
tanti, di assolvere il medesimo servizio all'umanità come volontari
internazionali, operatori dello sviluppo, specialisti della cooperazione.
Per queste ragioni la battaglia di Benedetto XVI si è incentrata fortemente
sulla difesa della famiglia, istituzione-baluardo in cui il papa riconosce il
puntello per un possibile recupero dell'evangelo - e dunque degli «operai della
messe» - nella società occidentale. Da qui la campagna senza quartiere contro
la fecondazione assistita e contro le forme di riconoscimento delle unioni
civili, soprattutto nel Bel Paese. Da qui il richiamo ai valori famigliari anche
in occasioni in cui protagonista doveva essere la politica internazionale, come
i messaggi al corpo diplomatico e il documento per la giornata mondiale della
pace. I richiami, per ora, sembrano cadere nel vuoto. E papa Benedetto, da ieri
ottantenne, si prepara, negli ultimi anni di pontificato, a governare la
decadenza. Più che dell'alba, la sua sembra una chiesa del tramonto.