Maria Cristina Bartolomei, teologa e
filosofa. Tiene una rubrica sul mensile “JESUS”, al quale io stesso
collaboro, e nell’ultimo numero della rivista ha pubblicato un testo lucido e
appassionato che, nel suo amore per le lotte dei poveri, si contrappone
felicemente alla cancellazione della memoria che dilaga in Italia.
Il 7 novembre 1917 scoppiò in
Russia la “Rivoluzione d’ottobre” (quando l’antico calendario russo
venne adeguato a quello gregoriano la data slittò da un mese all’altro); nel
febbraio-marzo dello stesso anno vi era stata una prima rivoluzione
liberal-borghese, che mirava a sostituire lo Zar Nicola II. I movimenti di
sinistra si attivarono, chiesero una Costituente, cominciarono a organizzarsi in
soviet, che divennero poi il nerbo della rivoluzione bolscevica.
Il regime sovietico è crollato; quasi
scomparsi dalla faccia della terra o in via di radi- cali trasformazioni (e
deformazioni; ad esempio, in Cina) sono
sia il suo tipo di co- munismo sia altri tipi.
I cattolici, soprattutto italiani, ricordano la scomunica latae
sententiae (cioè automatica) comminata nel 1948 da Pio XII a chi avesse
sostenuto il partito comunista.
I motivi di condanna dei modelli di
comunismo realizzato sono gravi e noti: mancanza di libertà individuali; di
rispetto dei diritti umani; repressione religiosa e ateismo di stato.
L’impianto economico comunista, come tale (al di là delle deviazioni
totalitarie dei regimi), è criticato in quanto non “funziona”, non produce
benessere e ricchezza (purtroppo, a parte le comunità religiose, solo lo scopo
del lucro e interesse privati pare riesca a
motivare gli esseri umani!). Il 90° anniversario della rivoluzione non
sarà dunque molto celebrato, tanto meno dai cattolici. Perché allora ce ne
occupiamo?
Perché il comunismo può essere una
risposta sbagliata, ma il drago che ha affrontato è vivo, i problemi che ha
denunciato e cercato di risolvere sono veri e, nel quadro del capitalismo, si
sono aggravati. Sono i problemi della ingiustizia, orrenda, gravissima che vige
nei rapporti tra gli esseri umani; dello sfruttamento di molti a vantaggio di
pochi, che vuol dire miliardi di vite triturate nelle rotelle dell’ingranaggio
che produce benessere sufficiente a tacitare le nostre coscienze, e opulenza
nonché potere di dominio del mondo (anche con l’uso della guerra) nelle mani
di pochissimi. Prima del movimento socialista non si ricordano sollevazioni
cristiane contro la trasformazione in merce dell’uomo, contro le
condizioni disumane di lavoro, anche di donne e bambini.
Ci furono molte generose iniziative di
assistenza (quante congregazioni religiose!), ma non azioni politiche a
contrasto di quell’ ”ordine” costituito. Diritti oggi (o almeno sino ad
ieri!) considerati ovvi furono conquistati a prezzo di dure e sofferte lotte:
senza l’incitamento del movimento socialista, tutto ciò non sarebbe accaduto.
Il comunismo ebbe certo torto a indicare in Dio e nella religione il nemico
della promozione umana. Ma più grave torto lo ebbero i cristiani a non
schierarsi con gli ultimi, a non opporsi ai potenti che li opprimevano. Che Dio
ci perdoni per come il suo volto e il messaggio dell’Evangelo sono stati
deformati dalla prassi delle Chiese!
C’è chi si è compiaciuto di redigere
il “libro nero” delle vittime del comunismo: azione, come minimo, incauta.
Altri potrebbe infatti redigere il libro nerissimo delle vittime del
capitalismo, che non sono finite e comprendono non solo i miserabili del Sud del
mondo sfruttati dalle multinazionali e in mille altri modi, ma anche i bambini
cui negli USA oggi viene negata assistenza sanitaria gratuita.
Dall’alba del capitalismo, quanti milioni sono morti di stenti, fame, fatica,
guerre fatte per motivi economici, quante vite sono schiacciate dall’unico
criterio del profitto? E qualcuno potrebbe addirittura scrivere un libro nero
del cristianesimo “reale”: un libro di persecuzioni e violenze; di
repressioni; di inadempienze, ritardi, cecità nel cogliere i bisogni del mondo.
Ci ribelleremmo, e con ragione; un ideale non si misura solo dai modi
devianti in cui viene realizzato, dai tradimenti dei suoi
portatori: un criterio che abbiamo il dovere morale di applicare anche
nel caso del comunismo.
Il comunismo, accusato di ridurre
l’essere umano a solo fatto economico, in realtà fa da specchio al modo in
cui va il mondo: non siamo oggi (in democrazia) assuefatti a vedere valutare
tutto sul piano del mercato?!
La tragica contraddizione tra mezzo e fine
del comunismo fu l’uso della violenza per ottenere la liberazione sociale. Ma
la spinta dell’ottobre 1917 fu l’indignazione per l’ingiustizia; la
ricerca della giustizia per tutti, della eliminazione dei rapporti di dominio
(purtroppo perseguita eliminando fisicamente i dominatori); fu la convinzione
che, al di qua delle legittime differenze, gli esseri umani sono uguali e hanno
uguali diritti: l’esatto contrario di ciò che ispirò i totalitarismi
fascisti, ai quali a torto il comunismo viene assimilato. Il comunismo aprì un
orizzonte di speranza e dignità a milioni di oppressi, che si riconobbero
“compagni”: uomini che condividono lo stesso
pane (quali assonanze per i cristiani!). Non lo rimpiangiamo, ma abbiamo
l’onere di rispondere ai problemi che affrontò, di trovare vie più umane di
economia e società; il suo fallimento ci interpella:
“cercate ancora!”.