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LA RIVOLUZONE D ’OTTOBRE  E IL DOVERE DI” CERCARE ANCORA

MARIA CRISTINA BARTOLOMEI

da Lettera 127- novembre 2007 di Ettore Masina

 Maria Cristina Bartolomei, teologa e filosofa. Tiene una rubrica sul mensile “JESUS”, al quale io stesso collaboro, e nell’ultimo numero della rivista ha pubblicato un testo lucido e appassionato che, nel suo amore per le lotte dei poveri, si contrappone felicemente alla cancellazione della memoria che dilaga in Italia.
 

Il 7 novembre 1917 scoppiò in Russia la “Rivoluzione d’ottobre” (quando l’antico calendario russo venne adeguato a quello gregoriano la data slittò da un mese all’altro); nel febbraio-marzo dello stesso anno vi era stata una prima rivoluzione liberal-borghese, che mirava a sostituire lo Zar Nicola II. I movimenti di sinistra si attivarono, chiesero una Costituente, cominciarono a organizzarsi in soviet, che divennero poi il nerbo della rivoluzione bolscevica.

Il regime sovietico è crollato; quasi scomparsi dalla faccia della terra o in via di radi- cali trasformazioni (e deformazioni; ad esempio, in Cina)  sono sia il suo tipo di co- munismo sia altri tipi.  I cattolici, soprattutto italiani, ricordano la scomunica latae sententiae (cioè automatica) comminata nel 1948 da Pio XII a chi avesse sostenuto il partito comunista.

I motivi di condanna dei modelli di comunismo realizzato sono gravi e noti: mancanza di libertà individuali; di rispetto dei diritti umani; repressione religiosa e ateismo di stato. L’impianto economico comunista, come tale (al di là delle deviazioni totalitarie dei regimi), è criticato in quanto non “funziona”, non produce benessere e ricchezza (purtroppo, a parte le comunità religiose, solo lo scopo del lucro e interesse privati pare riesca a  motivare gli esseri umani!). Il 90° anniversario della rivoluzione non sarà dunque molto celebrato, tanto meno dai cattolici. Perché allora ce ne occupiamo?

Perché il comunismo può essere una risposta sbagliata, ma il drago che ha affrontato è vivo, i problemi che ha denunciato e cercato di risolvere sono veri e, nel quadro del capitalismo, si sono aggravati. Sono i problemi della ingiustizia, orrenda, gravissima che vige nei rapporti tra gli esseri umani; dello sfruttamento di molti a vantaggio di pochi, che vuol dire miliardi di vite triturate nelle rotelle dell’ingranaggio che produce benessere sufficiente a tacitare le nostre coscienze, e opulenza nonché potere di dominio del mondo (anche con l’uso della guerra) nelle mani di pochissimi. Prima del movimento socialista non si ricordano sollevazioni cristiane contro la trasformazione in merce dell’uomo, contro le condizioni disumane di lavoro, anche di donne e bambini.

Ci furono molte generose iniziative di assistenza (quante congregazioni religiose!), ma non azioni politiche a contrasto di quell’ ”ordine” costituito. Diritti oggi (o almeno sino ad ieri!) considerati ovvi furono conquistati a prezzo di dure e sofferte lotte: senza l’incitamento del movimento socialista, tutto ciò non sarebbe accaduto. Il comunismo ebbe certo torto a indicare in Dio e nella religione il nemico della promozione umana. Ma più grave torto lo ebbero i cristiani a non schierarsi con gli ultimi, a non opporsi ai potenti che li opprimevano. Che Dio ci perdoni per come il suo volto e il messaggio dell’Evangelo sono stati deformati dalla prassi delle Chiese!

C’è chi si è compiaciuto di redigere il “libro nero” delle vittime del comunismo: azione, come minimo, incauta. Altri potrebbe infatti redigere il libro nerissimo delle vittime del capitalismo, che non sono finite e comprendono non solo i miserabili del Sud del mondo sfruttati dalle multinazionali e in mille altri modi, ma anche i bambini cui negli USA oggi viene negata assistenza sanitaria gratuita. Dall’alba del capitalismo, quanti milioni sono morti di stenti, fame, fatica, guerre fatte per motivi economici, quante vite sono schiacciate dall’unico criterio del profitto? E qualcuno potrebbe addirittura scrivere un libro nero del cristianesimo “reale”: un libro di persecuzioni e violenze; di repressioni; di inadempienze, ritardi, cecità nel cogliere i bisogni del mondo. Ci ribelleremmo, e con ragione; un ideale non si misura solo dai modi devianti in cui viene realizzato, dai tradimenti dei suoi  portatori: un criterio che abbiamo il dovere morale di applicare anche nel caso del comunismo.

Il comunismo, accusato di ridurre l’essere umano a solo fatto economico, in realtà fa da specchio al modo in cui va il mondo: non siamo oggi (in democrazia) assuefatti a vedere valutare tutto sul piano del mercato?!

La tragica contraddizione tra mezzo e fine del comunismo fu l’uso della violenza per ottenere la liberazione sociale. Ma la spinta dell’ottobre 1917 fu l’indignazione per l’ingiustizia; la ricerca della giustizia per tutti, della eliminazione dei rapporti di dominio (purtroppo perseguita eliminando fisicamente i dominatori); fu la convinzione che, al di qua delle legittime differenze, gli esseri umani sono uguali e hanno uguali diritti: l’esatto contrario di ciò che ispirò i totalitarismi fascisti, ai quali a torto il comunismo viene assimilato. Il comunismo aprì un orizzonte di speranza e dignità a milioni di oppressi, che si riconobbero “compagni”: uomini che condividono lo stesso  pane (quali assonanze per i cristiani!). Non lo rimpiangiamo, ma abbiamo l’onere di rispondere ai problemi che affrontò, di trovare vie più umane di economia e società; il suo fallimento ci interpella:  “cercate ancora!”.