Legge
naturale, strada scivolosa
Luigi
Sandri
Il
papa ed i vertici della Conferenza episcopale (Cei) hanno fatto appello
all'immutabilità e alla normatività della «legge naturale» per opporsi
frontalmente al disegno di legge sui «diritti dei conviventi» (i Pacs/Dico)
presentato l'8 febbraio dal Consiglio dei ministri. Ma la storia della Chiesa
dimostra che, su problemi capitali, l'affermata linearità non è stata affatto
mantenuta.
Ha
detto Benedetto XVI: «La legge naturale. è scritta nel cuore dell'uomo.. Tale
è il principio del rispetto per la vita umana dal suo concepimento fino al suo
termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell'uomo ma
dono gratuito di Dio». In questo valore (come in altri: il dovere di cercare la
verità, di custodire la giustizia.) si esprimono, aggiungeva il pontefice, «norme
inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e
neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme
che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in
deroga da parte di nessuno».
La
Chiesa (ogni Chiesa, ma qui riflettiamo un momento sulla cattolica romana)
mostra non solo comportamenti, ma anche princìpi teoretici del tutto
contrapposti a quanto affermato da Joseph Ratzinger. All'alba del XIII secolo il
papato era assai preoccupato per la diffusione dei «catari» (detti anche «albigesi»
perché il loro centro era ad Albi, Francia del sud). Per stroncare tale
movimento, giudicato seguace di una «eresia» che sovvertiva la dottrina
cristiana, nel 1215 il Concilio Lateranense IV, guidato da papa Innocenzo III,
stabilì: «I cattolici che, presa la croce [cioè: fattisi crociati], si
armeranno per sterminare gli eretici, godano delle indulgenze e dei santi
privilegi che sono concessi a quanti vanno in aiuto della Terra santa».
Non
importa ora stabilire se i «catari» avessero ragione o torto,
se fossero violenti o meno. Certo è che Innocenzo III ritenne giusto
sterminarli (e, nella crociata, furono uccisi a migliaia). Naturalmente, oggi
non possiamo giudicare il passato con il senno di poi, e con i nostri parametri
culturali e giuridici. In quel tempo, e con la mentalità di allora, il
pontefice ritenne che l'eliminazione fisica dei «catari» fosse il male minore
per salvare valori maggiori. E, tuttavia il problema rimane: come mai un papa e
un Concilio proclamarono di dover porre fine alla vita fisica dei «catari»,
così violando quella «legge naturale» che, ha detto Benedetto XVI, sempre è
stata e sempre sarà? Nel 2000 Giovanni Paolo II chiese perdono per le «violenze»
compiute nei secoli andati dai «figli e figlie» della Chiesa cattolica. Atto
importante; che, tuttavia, non approfondì le «violenze» sancite dal sommo
magistero, così sorvolando su una flagrante contraddizione.
Ma
su un altro, e ben più vasto tema il magistero cattolico ha aperto un varco
contro l'affermata inviolabilità della «legge naturale»: quello della guerra.
Per secoli la Chiesa romana ha ammesso
la «guerra giusta». Interi trattati precisavano quando una guerra potesse
essere «giusta»: per difendersi da un aggressore, per evitare mali maggiori,
per proteggere gli innocenti. Eppure il comandamento di Dio afferma «Tu non
uccidere»: non fa eccezioni. Per questo vi sono stati dei cristiani che,
piuttosto di uccidere, si sono lasciati uccidere. Ma il magistero ecclesiastico
ha via via modulato l'assolutezza del comandamento per affrontare la complessità
della vita. E' forse giusto lasciare che Caino uccida Abele? E' cristiano solo
il nonviolento assoluto, o anche chi all'aggressore armato risponde con le armi?
Bastino questi interrogativi per capire come le risposte siano difficili.
Perciò
lungo la storia papi e vescovi hanno imboccato l'ardua
via della «mediazione» tra grandi princìpi astratti e le tortuosità
dell'esistenza. Anche perché, spesso, opposti princìpi si scontrano: la mia
vita, dono di Dio che debbo custodire anche dinanzi all'aggressore, e il solenne
«Tu non uccidere». Così lo stesso Concilio Vaticano II non ebbe il coraggio -
come pure chiedevano alcuni «padri» - di pronunciare una condanna assoluta
della guerra in linea di principio, ma lasciò aperto uno spiraglio per
giustificare la «guerra giusta». Eppure Giovanni XXIII, nell'enciclica "Pacem
in terris" (1963), aveva affermato che oggi la guerra «è fuori dalla
ragione».
Ma
torniamo all'attualità. Affermando che Dio stesso ha voluto l'indissolubilità
e la sacralità del matrimonio, Benedetto XVI lunedì ha detto: «Nessuna legge
fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza
che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo
stesso fondamento basilare». Che fare, dunque, di fronte ad un matrimonio
infranto? In molti Paesi lo Stato ha affrontato tale realtà sociale,
legalizzando il divorzio. E le Chiese? Quelle ortodosse considerano peccato il
divorzio; però, in nome della misericordia, ammettono le seconde nozze in
chiesa dei divorziati. Perché in questione non è il principio
dell'indissolubilità del matrimonio, ma la risposta concreta ad una situazione
concreta. Negando la possibilità di ricominciare da capo si verrebbe infatti a
dire che la Chiesa può perdonare, in nome di Dio, i pluriomicidi, ma non può
perdonare chi, infranto un matrimonio, vuole vivere una nuova e responsabile
unione d'amore. Sono forse infedeli a Gesù, le Chiese ortodosse, con la loro
prassi di misericordia?
Anche
i nodi sottesi alla legge sui Pacs/Dico vanno articolati, proprio dai cattolici,
con il principio della «mediazione» che la Chiesa romana in altri campi ha
sempre invocato: la distinzione tra Dio e Cesare, la laicità dello Stato, il
bene comune, la salvaguardia della famiglia tradizionale, la tutela di altre
forme di amore. Si possono avere, in materia, idee diversificate; ma la storia
della Chiesa dovrebbe invitare alla prudenza coloro i quali ritengono che «cattolica»
sia solo la loro proposta, ed «eretica» quella di altri. D'altronde, se si
presumesse che lo Stato (laico!) nelle leggi che toccano la «etica» deve fare
suo, come normativo, il giudizio del magistero ecclesiastico, saremmo di fronte
ad un Khomeinismo foriero di guerre di religione.