LIBERTÀ RELIGIOSA SÌ, PARITÀ RELIGIOSA NO.
Valerio Gigante
da "italialaica" 24-7-2007
33992. ROMA-ADISTA. Tutte le religioni sono
uguali, ma quella cattolica è più uguale delle altre. Parafrasando un celebre
passo della Fattoria degli animali di Orwell, si potrebbero sintetizzare così
le ragioni del no della Chiesa cattolica al disegno di legge sulla libertà
religiosa attualmente in discussione presso la Commissione Affari Costituzionali
della Camera. Il testo (su cui hanno lavorato Valdo Spini dei Ds, Marco Boato
dei Verdi e Roberto Zaccaria della Margherita), nella sua più recente versione
contiene infatti due principi che alla gerarchia cattolica non vanno proprio giù:
il primo, l'idea che lo Stato debba trattare nello stesso modo le diverse
confessioni religiose; l'altro, che il principio di laicità sia la base della
libertà concessa a tutte le fedi. Rimostranze su questi e su altri aspetti del
ddl sono state fatte ai componenti della Commissione direttamente dal segretario
della Cei, mons. Giuseppe Betori, nel corso di una audizione tenutasi l'11
luglio scorso. Betori, per la verità, era già stato chiamato dalla Commissione
ad esprimere un giudizio sul ddl il 9 gennaio scorso.
La bozza allora in discussione prevedeva però che nei rapporti tra lo Stato e
le diverse confessioni religiose si stabilisse una gerarchia "a tre
piani". Valdo Spini così la descriveva alla nostra agenzia (v. Adista n.
9/07): "In alto, i rapporti con la Chiesa cattolica regolati dal Concordato
in forma di trattato internazionale; al primo piano, le Intese con chi vuole o
può stipularle; al piano terra, invece, i culti 'riconosciuti', regolati
appunto dalla legge sulla libertà religiosa". Insomma, sei mesi fa il ddl
aveva un impianto che non toccava i tradizionali privilegi della Chiesa
cattolica. E infatti, Betori aveva chiaramente specificato che il placet della
Cei al testo era subordinato proprio al mantenimento di tale assetto.Solo che,
nel frattempo, qualcosa è cambiato, e nel testo attualmente al vaglio della
Commissione è ora prevista una sostanziale equiparazione della Chiesa cattolica
alle altre confessioni religiose.
Di qui gli strali lanciati da Betori l'11 luglio nel corso della sua seconda
audizione: le nuove norme, ha detto Betori, "introducono per tutte le
confessioni un regime giuridico sostanzialmente analogo, se non identico, a
quello bilateralmente previsto per la Chiesa e per le confessioni diverse dalla
cattolica", "regime che in talune ipotesi risulta persino migliorativo
mediante il recepimento della normativa di diritto comune più favorevole".
Questo non va bene perché porta ad una "omologazione" tra confessioni
e religioni tra loro molto diverse che non è "coerente con la
Costituzione" e con il "sentimento della popolazione" italiana.Non
solo: "Nella tradizione giuridica italiana - ha rimarcato Betori - è
specificato il riconoscimento della derivazione degli effetti civili dal
matrimonio cattolico. In questo testo di legge questo aspetto del matrimonio
cattolico viene assunto come paradigma di tutti i matrimoni religiosi". Non
piace, insomma, ai vescovi italiani che con il nuovo testo ogni tipo di
matrimonio religioso finisca per equivalersi anche negli effetti civili.
Betori arriva fino ad agitare lo spauracchio della legalizzazione della
poligamia, prevista da alcune religioni tra cui i musulmani. E incalza:
"Come poter attribuire tout court un riconoscimento con effetti civili al
loro matrimonio?".
Altro punctum dolens, l'introduzione del principio della laicità a fondamento
della libertà religiosa. Betori ha espresso ai deputati della Commissione tutta
la "sorpresa e contrarietà" della Cei, sostenendo che quello della
laicità è "un principio di recente acquisizione giurisprudenziale fino ad
oggi estraneo al lessico normativo, che non risulta espressamente sancito né a
livello costituzionale né a livello di legislazione ordinaria". Un
approccio vicino quindi alla "tradizione giurisprudenziale non italiana ma
piuttosto francese".Betori silura anche la proposta di creare un
"registro delle confessioni e della relativa iscrizione, nonché dei
'diritti delle confessioni' iscritte in tale registro". "Si tratta di
una novità - ha ammonito Betori - i cui esiti, per quel che si può prevedere
al momento, potrebbero comportare un rischio di omologazione tra realtà
religiose che rimangono invece fortemente differenziate".
Ciò - ha detto - vale anche per l'accesso ai programmi televisivi o ai fini
della destinazione del 5 per mille. "L'esigenza di favorire l'integrazione
di nuovi gruppi e quindi la pacifica convivenza - ha avvertito il rappresentante
della Cei - non deve tradursi in forme di ingiustificato cedimento di fronte a
dottrine o pratiche che suscitano allarme sociale e che contrastano con principi
irrinunciabili della nostra civiltà giuridica". Conclusione: durante
l'audizione Betori ha precisato che "non qualsiasi intervento legislativo e
probabilmente non questo intervento legislativo con queste modifiche può
risultare adeguato rispetto all'esigenza" della tutela della libertà
religiosa. Ma il de profundis della Chiesa cattolica al disegno di legge (che,
se approvato, sanerebbe un vuoto legislativo che nel nostro Paese dura da oltre
settant'anni, dando attuazione all'articolo 19 della Costituzione sulla libertà
religiosa), lo ha comunque già di fatto pronunciato il 18 luglio ai microfoni
di Radio Vaticana Venerando Marano, ordinario di Diritto ecclesiastico e
coordinatore dell'Osservatorio giuridico-legislativo della Cei (sentito dalla
Commissione Affari Costituzionali insieme a Betori): "Si tratta oggi di
valutare se il testo così modificato non abbia complessivamente sbilanciato il
delicato punto di equilibrio in precedenza raggiunto", tanto da determinare
"la necessità di una profonda revisione o anche di una nuova
impostazione".
Se una sonora bocciatura del disegno di legge è arrivata dalla Chiesa
cattolica, ad altre confessioni religiose (evangelici, avventisti, ebrei,
testimoni di Geova e induisti) il testo al vaglio del Parlamento continua a
sembrare valido. Lapidario il giudizio del pastore Domenico Maselli, presidente
della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), sentito anche lui
in Commissione lo scorso 16 luglio: "L'affermazione che la legge sulla
libertà religiosa trova il suo fondamento nel principio di laicità dello Stato
va sostenuta senza alcuna incertezza".