LA BANDIERA DELLA LAICITÀ
Michele Serra - la Repubblica - 16-6-2007
Se oggi potessi essere a Roma andrei al Gay Pride.
E non per solidarietà "da esterno" a una categoria in lotta. Ci
andrei perché, da cittadino italiano, riconosco nei diritti degli omosessuali i
miei stessi diritti, e nell'isolamento politico degli omosessuali il mio stesso
isolamento politico. Ci andrei perché la laicità dello Stato e delle sue leggi
mi sta a cuore, in questo momento, più di ogni altra cosa, e ogni piazza che si
batta per uno Stato laico è anche la mia piazza. Ci andrei, infine e
soprattutto, perché, come tantissimi altri, sono preoccupato e oramai quasi
angosciato dalle esitazioni, dalla pavidità, dalla confusione che paralizzano,
quasi al completo, la classe dirigente della mia parte politica, la sinistra.
Una parte politica incapace di fare proprio, senza se e senza ma, il più
fondante, basilare e perfino elementare dei princìpi repubblicani: quello
dell'uguaglianza dei diritti. L'uguaglianza degli esseri umani indipendentemente
dalle differenze di fede, di credo politico, di orientamento sessuale. Ci andrei
perché ho il fondato timore che la nuova casa comune dei democratici, il Pd,
nasca mettendo tra parentesi questo principio pur di non scontentare la sua
componente clericale (non cattolica: clericale. I cattolici sono tutt'altra
cosa).
Ci andrei perché gli elettori potenziali del Pd hanno il dovere di far sapere
ai Padri Costituenti del partito, chiunque essi siano, che non sono disposti a
votare per una classe dirigente che tentenni o peggio litighi già di fronte al
primo mattone. Che è quello della laicità dello Stato. Una piazza San Giovanni
popolata solamente da persone omosessuali e transessuali, oggi, sarebbe il segno
di una sconfitta. Le varie campagne clericali in atto tendono a far passare
l'intera questione delle convivenze, della riforma della legislazione familiare,
dei Dico, come una questione di nicchia.
Problemi di una minoranza culturalmente difforme e sessualmente non ortodossa,
che non riguardano il placido corso della vita civile di maggioranza, quella
della "famiglia tradizionale". Ma è vero il contrario. L'intero
assetto (culturale, civile, politico, legislativo) dei diritti individuali e dei
diritti di relazione riguarda il complesso della nostra comunità nazionale. La
sola pretesa di elevare a Modello una sola etica, una sola mentalità, una sola
maniera di stringere vincoli tra persone e davanti alla comunità, basta e
avanza a farci capire che in discussione non sono i costumi o il destino di una
minoranza. Ma i costumi e il destino di tutti.
Ci andrei perché dover sopportare gli eccessi identitari, il surplus
folkloristico e le volgarità imbarazzanti di alcuni dei manifestanti è un ben
piccolo prezzo di fronte a quello che le stesse persone hanno dovuto pagare alla
discriminazione e al silenzio. E i peccati di orgoglio sono comunque meno
dannosi e dolorosi delle umiliazioni e dell'autonegazione. E se la piazza
dovesse essere dominata soprattutto da questi siparietti, per la gioia di
cameraman e cronisti, la colpa sarebbe soprattutto degli assenti, che non hanno
capito che piazza San Giovanni, oggi, è di tutti i cittadini. Se ci sono
pregiudizi da mettere da parte, e diffidenze "estetiche" da sopire,
oggi è il giorno giusto.
Ci andrei, infine, perché in quella piazza romana, oggi, nessuno chiederà di
negare diritti altrui in favore dei propri. Nessuno vorrà promuovere un Modello
penalizzando gli altri. Non sarà una piazza che lavora per sottrazione, come
quella rispettabile ma sotto sotto minacciosa del Family Day. Sarà una piazza
che vuole aggiungere qualcosa senza togliere nulla.
Nessuna "famiglia tradizionale" si è mai sentita censurata o impedita
o sminuita dalle scelte differenti di altre persone. Nessun eterosessuale ha
potuto misurare, nel suo intimo, la violenza di sentirsi definire "contro
natura". Chi si sente minacciato dall'omosessualità non ha ben chiaro il
concetto di libertà. Che è perfino qualcosa di più del concetto di laicità.