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LO "SCANDALO" DELLA PARROCCHIA DI SAN CARLO BORROMEO: VIETATO CRITICARE IL POTERE DELLA GERARCHIA

ADISTA n° 52 del 14.7.2007

DOC-1880. MADRID-ADISTA. C’è ancora posto per la diversità nella Chiesa? È questa la domanda di fondo sollevata dalla vicenda della parrocchia di San Carlos Borromeo, nella periferia madrilena di Entrevías, che l’arcivescovo di Madrid, card. Antonio María Rouco Varela, ha minacciato di chiudere, scatenando così un massiccio movimento di sostegno popolare alla comunità (oltre 30.000 le firme di solidarietà raccolte; v. Adista n. 29/07).
I tre preti della ‘parrocchia degli esclusi’, Javier Baeza, Enrique De Castro e Pepe Diaz, da quasi 30 anni impegnati a fianco dei poveri e gli emarginati, il 19 giugno hanno finalmente incontrato un rappresentante dell’arcidiocesi, il vescovo ausiliare mons. Fidel Herráez, che ha loro proposto di rendere San Carlos Borromeo “un centro con caratteristiche differenti”: secondo quanto riportano i giornali spagnoli, questo centro sarà affittato dall’arcidiocesi a una ong, associazione o figura giuridica simile, e i tre preti avranno l’incarico di portare avanti l’opera sociale che già svolgono. I preti, inoltre, dovranno chiedere pubblicamente perdono per lo “scandalo” provocato e professare piena comunione con il vescovo. In un comunicato, i tre hanno chiarito di voler “riflettere” sulla proposta dell’arcivescovo “insieme alla comunità parrocchiale”.
Di certo, il card. Varela sembra avere tutte le intenzioni di mettere la parola fine all’esperienza della comunità di San Carlos Borromeo. L’ultimo numero del Bollettino ufficiale dell’Arcidiocesi pubblica, con data 4 aprile 2007, due decreti ufficiali che ridisegnano i confini delle parrocchie di Santa Eulalia de Mérida e di San Francisco da Paula, che arrivano così a ‘coprire’ il territorio di San Carlos. Si tratta, si legge nei decreti, della “sanzione canonica della situazione pastorale della Parrocchia di San Carlos Borromeo, che dal 1986 è stata autorizzata a dedicarsi in maniera preferenziale ai giovani esclusi di Madrid, cedendo di fatto la cura pastorale dei fedeli del suo territorio alle parrocchie limitrofe”.
I decreti, come fa notare un comunicato di San Carlos del 6 giugno, “non presuppongono l’estinzione della parrocchia di San Carlos Borromeo, che continua a godere di personalità giuridica propria. Anzi, danno forma giuridico-canonica a quello che era già stato disposto nello Statuto della Parrocchia del 1985, quando San Carlos Borromeo, in via sperimentale, smetteva di essere parrocchia territoriale e passava ad occuparsi, preferenzialmente, della ‘pastorale degli emarginati e degli esclusi’”. “Già in quel momento”, precisa il comunicato, “si decise la divisione del territorio di San Carlos Borromeo tra le due parrocchie vicine, anche se non si era proceduto formalmente alla delimitazione definitiva de territorio”.
La speranza “in un dialogo sereno con l’arcidiocesi” rimane quindi viva, ma le ultime parole del card. Rouco Varela non fanno sperare nulla di buono. L’arcivescovo ha infatti accusato i tre preti, colpevoli di celebrare senza paramenti e con il pane preparato dalle donne della comunità parrocchiale, di “profanare l’Eucaristia”: “Dobbiamo lamentare”, ha detto, “con profondo dolore gli abusi e le profanazioni di questo sacramento di cui siamo stati testimoni nella nostra diocesi, abusi che separano i loro autori dalla comunione nella fede e nella vita ecclesiale”. Un attacco violento che, secondo il quotidiano El País, potrebbe preludere alla sospensione a divinis dei tre sacerdoti.
Gli eventi delle ultime settimane non hanno fatto che rafforzare i dubbi sulla volontà di dialogo espressa dall’arcidiocesi. Il cardinale ha, infatti, ordinato alla Caritas diocesana – a cui originariamente dovevano essere affidate le strutture di San Carlos Borromeo – di sospendere la collaborazione con i tre preti di Entrevías. L’ausiliare mons. Herráez ha inoltre proibito in un’altra parrocchia madrilena che si pregasse “per la diversità nella Chiesa” in appoggio alla lotta di San Carlos. Per tutta risposta, circa venti preti di tutta Madrid si sono incontrati nella spianata davanti alla parrocchia di San Carlos Borromeo per una “concelebrazione” allo scopo di “dare visibilità al fatto che ci sono diversi modi di esprimere e celebrare la fede”.
Ad Adista, Enrique De Castro spiega che il vero motivo della chiusura di San Carlos Borromeo sta nel suo essere Chiesa ‘critica’ nei confronti di una Chiesa potente. Di seguito l’intervista che ci ha rilasciato, seguita da due dei documenti di sostegno più significativi (in una nostra traduzione dallo spagnolo), tra i tanti ricevuti dalla parrocchia. (alessandro speciale)


UNA CHIESA CHE NON ACCETTA LA DIVERSITÀ

Intervista ad Enrique De Castro

D: Credi che la decisione di chiudere la parrocchia arrivi dal Vaticano o che sia del card. Rouco?
R: Dalle notizie che ci sono arrivate, pensiamo che il Vaticano abbia chiesto a Rouco di fare qualcosa, ma non espressamente di chiudere la nostra parrocchia. La decisione vera e propria non so da chi sia partita: sicuramente, a Roma hanno chiesto a Rouco di intervenire e lui ha poi optato per la chiusura della nostra parrocchia.


D: Perché, dopo 30 anni, proprio in questo momento?
R: Per molti anni siamo stati conosciuti per il nostro impegno in campo sociale, con i ragazzi di strada, i tossicodipendenti, i detenuti; e i mezzi di comunicazione ci hanno sempre cercato per parlare di questi temi. Dalla morte di Giovanni Paolo II, però, nella Chiesa spagnola si registra una crescente tensione con il governo, soprattutto con il Psoe; ci sono state nuove proposte di legge, dal matrimonio omosessuale al divorzio breve fino all’eutanasia, e la Chiesa cattolica è scesa in piazza, promuovendo manifestazioni a cui i vescovi, Rouco compreso, hanno preso parte. In quel momento, i media hanno cominciato a farci domande sulla Chiesa e le sue dinamiche interne. Molte volte ho risposto che queste cose dovevano chiederle ai teologi, ma loro ci dicevano: ‘non vogliamo parlare con i teologi, sappiamo quello che ci dicono, vogliamo parlare con i sacerdoti della strada, sapere in che modo vi tocca quello che sta succedendo adesso’. Allora, nelle nostre risposte, siamo stati molto critici con la gerarchia ecclesiastica, con la sua morale e il suo potere: e penso che tutto quanto abbiamo detto sia poi stato denunciato all’arcivescovado di Madrid.


D: Quindi la Chiesa non è più capace di accettare le diversità al suo interno?
R: Attualmente, no. Ma neanche con Giovanni Paolo II la diversità era tanto accettata, come indica l’espulsione del vescovo francese Gaillot, la difficile situazione in cui si sono trovati vescovi come Pedro Casaldáliga, il rifiuto della teologia della Liberazione…


D: Credi che la Chiesa vi voglia davvero espellere?
R: A Roma intendono la comunione come uniformità: c’è un pensiero unico, e tutto quello che non è conforme a questo pensiero viene rifiutato e respinto. Non si accetta la critica del potere all’interno della Chiesa. E le gerarchie sanno che se lavoreremo soltanto nel sociale senza essere più una parrocchia, allora non potremo più parlare da dentro la Chiesa della Chiesa.


D: Qual è la vostra critica al potere nella Chiesa e come la portate avanti?
R: Dalla morte di Paolo VI in poi, e soprattutto con la fine del pontificato di Giovanni Paolo I e gli scandali finanziari dello Ior, hanno trovato cittadinanza ecclesiale gruppi come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione, il Movimento Neocatecumenale, i Legionari di Cristo: è la loro visione che si impone in Vaticano, mentre i gruppi che non sono conformi vengono sistematicamente esclusi. La nostra critica al potere nella Chiesa è che tutto ciò non è evangelico. È il luogo di Dio che è cambiato: per questi movimenti, il luogo di Dio in terra è la Chiesa, invece che i poveri. E la Chiesa, invece che luogo dei poveri, diventa luogo delle istituzioni. Anche nella sua enciclica, papa Benedetto XVI dice che la casa di Dio in terra è la Chiesa cattolica, il che significa tornare radicalmente indietro rispetto al Concilio Vaticano II.


D: Siete pronti a continuare il vostro cammino a fianco dei poveri anche fuori della Chiesa?
R: Noi non siamo fuori dalla Chiesa: al massimo, potremo finire fuori dalla gerarchia, anche se pure dei vescovi, sono pochi ma ci sono, si trovano fuori dalla linea di pensiero ufficiale. A Roma credono che il problema si risolverà con la chiusura della parrocchia, ma anche se andranno fino in fondo non ci fermeranno davvero, perché noi continueremo il nostro cammino insieme alla comunità. È vivendo qui, in questo modo, che abbiamo scoperto qualcosa della fede, insieme ai ragazzi, alle madri, anche a quel ragazzo musulmano che dice di aver scoperto questa Chiesa senza smettere di essere musulmano. Come si fa a cacciare queste persone? Non so se ci cacceranno, ma quello che possiamo dire è che crediamo nel Vangelo e nella sua forza.

CHI È PIÙ LONTANO DALLA TRADIZIONE DELLA CHIESA?


 di José María Castillo

Cari amici di San Carlos Borromeo,
ho letto l’omelia del Corpus Domini dell’arcivescovo di Madrid, Antonio Rouco, in cui lamenta “con profondo dolore gli abusi e le profanazioni di questo sacramento di cui siamo stati testimoni nella nostra diocesi, abusi che separano i loro autori dalla comunione nella fede e nella vita ecclesiale”.
Per le informazioni che ho ricevuto su come si celebra l’Eucaristia nella parrocchia di San Carlos Borromeo a Madrid, nessuno si è lamentato che in questa celebrazione si facciano cose contrarie alla fede della Chiesa. Quello che si fa sono cose che non si adattano alla liturgia ufficiale della Chiesa. Il cardinale di Madrid si lamenta di “abusi e profanazioni” a causa di quello che avviene nella parrocchia che, a giudizio del cardinale, separa i suoi autori “dalla comunione nella fede e nella vita ecclesiale”. Ossia, per il cardinale di Madrid, quello che separa dalla comunione nella fede non è l’errore in una questione dogmatica ma il mancato rispetto delle norme liturgiche.
Altrimenti detto, il cardinale di Madrid ripone la comunione nella fede in una cosa che non è questione di fede, ma che è l’osservanza delle norme liturgiche, dei costumi e delle tradizioni che, come è ben noto, sono cambiati nel corso dei secoli e sono stati assai diversi nelle diverse tradizioni. Per l’arcivescovo di Madrid, la comunione nella fede si identifica con l’uniformità liturgica, ovvero con l’uniformità rituale o obbedienza cerimoniale. Se, difatti, nella parrocchia di San Carlos Borromeo non si è negata la fede della Chiesa in ciò che appartiene al dogma di questo sacramento, risulta singolare che un cardinale della Chiesa non sappia con precisione una cosa talmente elementare della teologia cristiana.
Il problema di fondo, mi sembra, è che molte delle alte cariche ecclesiastiche hanno la netta inclinazione a confondere lo sfarzo in cui essi si muovono abitualmente con la tradizione della Chiesa. Non dovremmo mai dimenticare che la tradizione della Chiesa sull’Eucaristia ebbe inizio con una semplice cena di un gruppo di persone che si congedavano definitivamente da Gesù. Una cena da cui nessuno fu escluso, nemmeno Giuda. Una cena che era il culmine di una serie di banchetti di Gesù con pubblicani e peccatori. E nemmeno da quei banchetti Gesù escluse mai nessuno. Il cardinale di Madrid farebbe bene ricordare che l’Eucaristia si celebrò, almeno fino al III secolo, nel corso di una cena che non era precisamente un ‘atto liturgico’ come lo si intende oggi ma proprio una cena in cui i commensali mettevano tutto in comune, come spiega ad esempio Tertulliano nell’Apologeticum.
Solo molti anni dopo, quando la Chiesa si ‘mondanizzò’, si accomodò alle convenienze e agli interessi dell’Impero, si introdussero nella Chiesa una serie di usi, costumi ed espressioni dello sfarzo, che non hanno niente a che vedere con l’originale tradizione dell’Eucaristia ma hanno a che fare, e molto, con le ambizioni di potere e controllo tipiche dell’Impero e dei suoi capi. Usare mitre, casule d’oro e di broccato, pastorali, apparire come apparivano i grandi del mondo, tutto questo è ciò che veramente separa dall’auten-tica tradizione della Chiesa, dalla tradizione originaria e fondante che san Paolo ha ricevuto dal Signore. Da qui si capisce che, quando il cardinale di Madrid ha detto quel che ha detto il giorno del Corpus Domini, e quando lo ha detto rivestito di sfarzo, in realtà chi era più lontano dall’originaria tradizione della Chiesa era proprio lui e non quelli che accusava, i preti di San Carlos Borromeo, che saranno uomini con i loro difetti, senza dubbio, ma almeno non fanno dell’Eucaristia un’occasione per esibire la propria carica e il proprio rango, ma riuniscono persone umili o di buona volontà o semplicemente persone che trovano lì quell’acco-glienza che di certo non trovano nell’Almudena (la cattedrale di Madrid, ndr).
Granada, 11 giugno 2007