Monsignore si dia una calmata
CHIARA SARACENO
La Stampa del 17/5/2007
La gerarchia cattolica, come ogni autorità religiosa, ha
sicuramente il diritto e persino il dovere di esprimersi sui temi che toccano la
morale e il senso della vita. Ciò che dice va ascoltato con rispetto e con
attenzione, anche quando non lo si condivide. Ma ci sono occasioni in cui è
davvero difficile mantenere un atteggiamento di rispetto e ascolto. Le
dichiarazioni di ieri di monsignor Betori, segretario della Conferenza
episcopale italiana, a Gubbio sono una di queste - ormai sempre più frequenti -
occasioni. Di fatto ha individuato come i peggiori nemici della umanità - «fomentatori
di guerre e terrorismo», negatori «del riconoscimento dell’altro» a
vantaggio del mantenimento di «situazioni e strutture di ingiustizia sociale»
- le donne che abortiscono, le persone che riflettono sul testamento biologico e
sul diritto a porre fine ad una vita che ha perso tutte le caratteristiche di
vita umana, le coppie eterosessuali che convivono senza sposarsi e gli
omosessuali in quanto attenterebbero alla dualità sessuale. Sono loro
responsabili dei mali del mondo, non i dittatori politici ed economici, non
coloro che fomentano guerre etniche e religiose, non gli sfruttatori di donne e
bambini, non i mercanti di uomini e neppure coloro che in nome della morale
sessuale si oppongono all’utilizzo di semplici precauzioni per evitare il
diffondersi dell’Aids che da solo in alcune parti del mondo fa ancora più
stragi delle guerre civili.
È difficile provare rispetto ed avere attenzione per chi confonde terroristi e
violenti veri e persone che, assumendosene tutta la responsabilità e talvolta
la sofferenza, compiono scelte eticamente motivate, ancorché in modo difforme
dalla morale cattolica. Per chi, tra l’altro, non distingue neppure, dal punto
di vista della gravità rispetto al suo stesso concetto di morale, tra aborto e
convivenza senza matrimonio, tra eutanasia e approvazione dei Dico e ritiene
(contro le stesse più recenti acquisizioni della Chiesa) che l’omosessualità
sia uno stile di vita, e non una condizione umana in cui ci si trova a nascere e
vivere. Perciò teme, un po’ grottescamente, che se si riconoscessero le
coppie omosessuali nessuno più farebbe coppie (e matrimoni) eterosessuali. È
una visione senza sfumature e senza distinzioni, oltre che senza rispetto. Per
questo è intimamente violenta oltre che intellettualmente rozza.
Non credo che così si difenda veramente il cristianesimo. Certamente non è così
che si può aspirare a ottenere rispetto e attenzione per le proprie posizioni.
Si incoraggia soltanto l’escalation dell’insulto reciproco, dell’abuso del
linguaggio, dell’incapacità a distinguere e ad ascoltare, della caccia al
diverso. Non è né pedagogia civile né, tantomeno, pedagogia religiosa. È una
chiamata alle armi. È questo che la gerarchia cattolica vuole per il suo popolo
e per il nostro Paese? Chi sta davvero, per riprendere le parole di Betori,
coltivando «sentimenti di arroganza e di violenza»? Un po’ di autocontrollo,
per favore