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IL RESPIRO D’OLTRE TEVERE,

Chiara Saraceno

La Stampa - 10-1-2007

Nell’elenco delle minacce al benessere dell’umanità e alla giustizia che il Papa ha presentato alle rappresentanze diplomatiche c’è anche quello alla famiglia: indebolita e «relativizzata», a suo parere, da forme di riconoscimento di rapporti diversi da quelli fondati sul matrimonio eterosessuale. Ci si può chiedere se si tratti di una minaccia della stessa gravità di altre pure ricordate dal Pontefice: le guerre, la povertà estrema, la mancanza di cibo e di acqua potabile che condannano a morte (senza eutanasia) milioni di persone, inclusi i bambini. E se porre quella sullo stesso piano di queste non sia, essa sì, una forma di relativizzazione grave, che mette sullo stesso piano un pacs e una guerra civile, l’amore omosessuale e l’indifferenza colpevole per le condizioni di sopravvivenza di intere popolazioni, i Paesi e i governanti che riconoscono diritti alle coppie non coniugate, etero o omosessuali, e i Paesi e i governanti che fanno della violenza contro i propri e altrui sudditi sistema di governo.

Ma rimaniamo alla questione della relativizzazione della famiglia denunciata dal Papa e subito raccolta dal dibattito politico di casa nostra, sempre ossessivamente preoccupato di ogni respiro d'Oltretevere su questo argomento. Storici, antropologi, giuristi hanno documentato da tempo che la famiglia è una delle istituzioni sociali più mutevoli nello spazio e nel tempo, quindi costantemente «relativizzata». A parte la questione della poligamia, non è sempre stato vero, ad esempio, che un matrimonio è valido solo se c’è il consenso di chi si sposa. E la stessa Chiesa cattolica ha modificato l’età minima alle nozze solo dopo che questa era stata innalzata nella maggior parte dei Paesi occidentali negli Anni 70 del Novecento. Prima, veniva considerato accettabile che una bambina venisse fatta sposare a 14 anni, se i genitori davano il loro consenso e se il matrimonio riparava una attività sessuale precoce, una violenza, una gravidanza. Anche il fenomeno famigliare più apparentemente ovvio e «naturale» - la filiazione - non è affatto regolato nello stesso modo sempre e dovunque, ovvero non tutte le società definiscono nello stesso modo di chi sono i figli e quali tra i bambini che nascono hanno diritto al pieno statuto di figli. Senza andare troppo lontano, in Italia solo nel 1975 è sparita definitivamente la distinzione tra figli naturali e legittimi, e neppure del tutto.

La storia della famiglia è anche una storia - spesso tortuosa, conflittuale e certamente non compiuta - di civilizzazione dei rapporti tra i sessi e le generazioni. In Occidente, anche il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica hanno avuto una parte importante, anche se non sempre lineare, in questa storia di continue ridefinizioni.

Nulla di meno naturale della famiglia, quindi, e per fortuna. Perché in nome delle «norme naturali» si sono avallate, e in molti Paesi tuttora si avallano, violenze e sopraffazioni: degli uomini sulle donne, dei genitori sui figli, dei più vecchi sui più giovani. Non a caso le trasformazioni più rilevanti, anche a livello normativo, della famiglia avvengono a seguito dell’ampliarsi dei diritti civili dei singoli e della consapevolezza della dignità e capacità delle persone.

Non è quindi in nome dell’immutabilità della famiglia che ci si può opporre a una forma di regolazione delle unioni civili, etero o omosessuali. I motivi hanno piuttosto a che fare con idee di normalità e sessualità più o meno condivise. Mentre il Papa, come chiunque di noi, può discettare su amori forti, deboli e deviati, compito della politica è verificare solo se vengono lesi i diritti di qualcuno o messe a repentaglio istituzioni fondamentali. Chi vorrà sposarsi continuerà a farlo. Nessuno diverrà omosessuale solo perché le coppie omosessuali otterranno qualche diritto. E non si capisce che danno sociale possa derivare dal consentire a relazioni di amore e solidarietà di dare luogo a diritti e responsabilità anche con rilevanza pubblica invece che rimanere nella clandestinità. Anzi, il riconoscerle offrirà protezione da rischi di irresponsabilità e sopraffazione. Altri Paesi, altri governi, hanno da tempo operato questo passo, offrendo soluzioni diverse senza provocare rotture sociali e fughe nella irresponsabilità.

Non sarebbe sorprendente se il governo entrasse in crisi su famiglia e diritti civili - da sempre terreno minato della politica italiana. Ma sarebbe anche il de profundis dell’intelligenza (oltre che dei diritti civili e della laicità dello Stato).

(10-1-2007)