AHI COSTANTIN, DI QUANTO MAL FU MADRE
Eugenio Scalfari
la Repubblica 5-8-2007
Tra le tante questioni che affliggono il nostro
paese, insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione
dello Stato unitario, c'è anche quella cattolica. Probabilmente la più
difficile da risolvere.
Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per l'arco
di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e l'Italia
sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò si trovano
in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie occidentali. Se
guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa, la Conferenza
episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo conto a prima
vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in
Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime Spagna e Portogallo per
non parlare degli Usa, del Canada e dell'America Latina dove pure la popolazione
cattolica ha raggiunto il livello di maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente ogni
intervento del Papa e dei Vescovi. L'"Angelus" è un appuntamento
fisso. Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati
ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato, sente il
bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice, cui
segue a breve distanza la visita ufficiale.
Tutto ciò va evidentemente al di là d'una normale regola di rispetto e dipende
dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che religiosa.
Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi fiscali dei
quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici; anche questi
senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita sulle
istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e la
funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione
cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d'ogni altra la diversità
italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale". Perché
una parte rilevante dell'opinione pubblica, della classe politica, dei mezzi di
comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono etero-diretti,
fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere
"altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in
cui la secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una
minoranza.
"Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede per
ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante le quali
sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla Democrazia
cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza era
etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto
dall'Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di cose,
insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per la sua
parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva prontamente
corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è
riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l'emergere sulla scena
politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di
spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso
che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista"
in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera,
dall'Austria e da alcuni paesi cattolici dell'America meridionale. Le capacità
finanziarie dell'episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per
sostenere questo disegno che ha come obiettivo l'esportazione del modello
italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest'offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e
soprattutto scoordinate. Si va da forme d'intransigenza che sfiorano
l'anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive
verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il
sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo
l'antica diffidenza di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più
acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici
impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente variabile,
oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico e dai vari
posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno parte. Con
un'avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi nell'ultimo
decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero discesi dal 42 al 26
per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte dell'elettorato ex Dc si
trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che certamente negli ultimi tempi ha
accelerato la sua tendenza.
Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle
famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum"
che scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco
reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale dal
"Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il
raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un
movimento politico. "Non un partito" ha precisato in una recente
intervista "ma un quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà
eventualmente appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta
per realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse
intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L'obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma Pezzotta
amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare. Dico sigla
perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà organizzativa e la sua
effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare una
sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel Partito
democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto riformista, le voci
che l'hanno interpretata battevano soprattutto su rivendicazioni economiche ma
non basterà riconoscergliele per acquistarne il consenso e il voto. A torto o a
ragione le famiglie e le sigle che le rappresentano ritengono che quanto
chiedono sia loro dovuto. Il voto elettorale è un'altra cosa e non sarà
Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari Bindi, Binetti, Bobba nelle loro
differenze. Voteranno come a loro piacerà, seguendo altre motivazioni e
inclinazioni, influenzate soprattutto dai luoghi in cui vivono e dai ceti
sociali e professionali ai quali appartengono.
Un elemento decisivo della questione cattolica e dell'anomalia che essa
rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della Santa
Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e
addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in blocco
con l'articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali,
sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto
inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di
un'organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d'un insediamento
altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie, degli
Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c'è uno Stato - sia
pure in miniatura - che gode d'un tipo di immunità e di poteri propri di uno
Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita attraverso i
"nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e presso
le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun'altra delle Chiese cristiane ed è la
conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base
territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale dei
Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro Giannone
per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale nella storia
della nazione italiana, nell'impossibilità di realizzare l'unità nazionale
quando gli altri paesi europei avevano già da secoli raggiunto la loro ed
infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani hanno avuto da sempre e
continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe storicamente scorretto
attribuire unicamente al potere temporale dei Papi questo deficit di maturità
civile degli italiani, ma certo esso ne costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all'interno della
Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di resuscitarlo che
si esprime attraverso la presenza politica diretta dell'episcopato nelle materie
"sensibili" il cui ventaglio si sta progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l'atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una
frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo
contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad un
tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in perfetta
buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta ingenuità. Lo
Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per la Chiesa.
Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli effetti e con
tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi sentono di far parte di
quel sistema politico-religioso che a causa della sua struttura è totalizzante.
La cittadinanza diventa così un fatto marginale e puramente anagrafico; salvo
eccezioni individuali, il clero si sente e di fatto risulta una comunità
extraterritoriale. Pensare che una delle preoccupazioni di una siffatta comunità
sia quella di esortare gli italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino.
Li esorta - questo sì - a mettere la barra nella casella che destina l'otto per
mille del reddito alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all'episcopato
italiano quell'otto per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una
parte del sostegno dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle
opere di assistenza.
Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è
crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi assai
difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a
posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si ergono
"lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia
pensata altrove e capillarmente ramificata.
Quanto al grosso dell'opinione pubblica, essa è sostanzialmente indifferente.
La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La gente ne ha altre,
di priorità. È genericamente religiosa per tradizione battesimale; la grande
maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i precetti morali della
predicazione vengono seguiti se non entrano in conflitto con i propri interessi
e con la propria "felicità". In quel caso vengono deposti senza
traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l'"habitus" degli
italiani è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se
irreligiosi. Questo fa la differenza.