SPIRITUALITÀ, ULTIMA FRONTIERA DELLA RESISTENZA. PURCHÉ SIA CONFLITTUALE. UNA RIFLESSIONE DI MARIO TRONTI
ADISTA n° 6 del 20.1.2007
DOC-1818. ROMA-ADISTA. "Stare in pace con se stessi, oggi,
significa entrare in guerra col mondo": questa è la spiritualità secondo
Mario Tronti, una spiritualità che non può essere intesa come la
"declinazione buonista del religioso". La riflessione di Tronti -
filosofo della politica e autore del celebre "Operai e capitale" - è
stata sviluppata durante l'incontro "Politica e Spiritualità",
organizzato lo scorso 16 novembre dalla presidenza del Consiglio provinciale di
Roma (v. Adista n. 85/06). A discutere insieme a Tronti c'era - oltre al
presidente del Consiglio provinciale Adriano Labucci - Amos Luzzatto, ex
presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Nel corso del suo intervento Tronti analizza il rapporto tra politica e
spiritualità, vedendo in quest'ultima "l'ultima frontiera della
resistenza, l'ultima forma dell'antagonismo rispetto all'ordine esistente".
A causa del devastante processo di "volgarizzazione" del mondo e della
vita promosso negli ultimi anni dal circuito
produzione-circolazione-distribuzione-consumo, la critica al sistema
capitalistico non può prescindere da un approccio "culturale" che
evidenzi il "contrasto tra i tempi esterni imposti alla vita e il tempo
interno di cui ha bisogno invece la persona umana".
Eppure la stessa spiritualità deve liberarsi delle incrostazioni prodotte dalla
"retorica dell'altro" per riappropriarsi di un suo carattere autentico
e profondo, quello della conflittualità. Del resto è lo stesso Tronti ad
avvisare gli uditori nel corso della sua relazione: "a me piacciono le idee
forti, non ci sto al fatto che siccome siamo sotto il ricatto della violenza,
allora dobbiamo rispondere con pensieri deboli, perché vedo che qui si innesca
una trappola che poi finisce per tagliare le unghie a qualsiasi volontà di
trasformazione delle cose". L'intervento, pubblicato di seguito in forma
integrale, non è stato rivisto dall'autore.
LO SPIRITO CHE DISORDINA IL
MONDO
di Mario Tronti
L'argomento di questo incontro non è certo
usuale, ha una sua buona inattualità. Ma l'inattualità è sempre una cosa
positiva, rappresenta un momento di accantonamento del discorso di senso comune
al fine di sviluppare un discorso di senso vero. Accostare i concetti di
"politica" e di "spiritualità" è un'opportunità e nello
stesso tempo un rischio. La politica oggi non sembra molto incline ad assumere
in sé il tema della spiritualità e, all'opposto, la spiritualità non appare
molto motivata ad assumere lo spirito del tempo, a sporgersi sul terreno
dell'arena pubblica. Chi coltiva la spiritualità è portato a prendere una
buona distanza dalla politica, almeno dalla politica corrente. E quindi si
rischia una separazione. La politica - si dice - è il mio impegno nel mondo e
la spiritualità è la cura del mio foro interno: due dimensioni che rischiano
di convivere senza incontrarsi. Oggi assistiamo ad uno spettacolo curioso,
quello di molti uomini politici - o meglio alcuni, però sempre più numerosi -
che dichiarano pubblicamente i loro interessi per i temi della trascendenza,
della fede, e parlano di una loro fede nascosta. Lo fanno, possiamo dirlo, con
parole molto approssimative. Ma il problema vero è che poi di tutto ciò non si
ritrova traccia nei loro comportamenti quotidiani, nei livelli del-l'azione e
della decisione politica. Ecco, qui funziona la separazione che, secondo me,
richiama molto una classica distinzione - distinzione tutta "borghese"
- tra pubblico e privato. In passato era in voga, in alcuni pezzi di ceto
politico, la contrapposizione tra virtù pubbliche e vizi privati. Oggi va di
moda il rovesciamento del binomio: vizi pubblici e virtù privata, nel senso
che, di fronte alla condizione non entusiasmante della politica, a volte ci si
vanta, o si è costretti a vantare, la frequentazione di un retroterra di
rispetto, di dignità.
Devo però avvertire che con i termini "politica" e "spiritualità"
non si vuole intendere "politica" e "religione": nel caso
della seconda coppia concettuale abbiamo a che fare con un ambito diverso di
problemi, con i suoi temi specifici, le sue difficoltà da non trascurare. Tra
l'altro, oggi, il problema del rapporto fra religione e politica è tornato
prepotentemente alla ribalta. Ed è tornato alla ribalta significativamente
"dall'alto" e "dal basso" del mondo e dei mondi
contemporanei.
Dagli Stati Uniti, per esempio, sono venute le esperienze dei cosiddetti neocons,
o teocons, con qualche cattiva imitazione anche nel nostro Paese. La religione
torna ad essere - come ai vecchi tempi - un modo per tenere in ordine il mondo,
per tenere insieme una società. La società è composta da individui, ed uno
dei mezzi per tenere insieme questi individui separati è stato sempre il legame
religioso. La religione è qui intesa come instrumentum regni. Ecco, in questo
caso la religione si identifica con la politica e quando - come oggi - la
politica è in crisi, la prima fa supplenza nella raccolta del consenso intorno
al potere. Il legame religioso sostituisce così il legame sociale.
Accanto alla tendenza appena esaminata c'è il bisogno di religione che sale
invece "dal basso", dal mondo degli "esclusi", di coloro che
sono ai margini della civiltà contemporanea. Si tratta di una ricerca di
co-appartenenza a un sentire comune capace di fare massa contro coloro che sono
considerati gli "inclusi".
Sotto questo aspetto il pericolo è che la religione, più che instrumentum
regni, diventi instrumentum belli. Del resto sappiamo per esperienza storica che
il regno e la guerra sono andati sempre insieme.
Quando si fa riferimento al "fondamentalismo", lo si fa seguire spesso
dall'aggettivo "islamico". Ma io credo che ci sia "fondamentalismo"
dovunque c'è confusione tra religione e politica. Dovunque l'assoluto della
verità diventa anche l'assoluto del potere. E, badate, questa confusione si
manifesta in tanti modi che dobbiamo analizzare bene, per essere in grado di
individuare il problema anche là dove si nasconde. Abbiamo conosciuto nel
passato l'oppressione totalitaria. Oggi siamo di fronte a una forma di servitù
volontaria che investe le nostre società liberal-democratiche, nelle quali si
chiede di dare un libero assenso a chi comanda. Io mi sento di parlare in questa
fase di "fondamentalismo democratico": la democrazia rischia di
diventare oggi la religione dell'Occidente, come del resto aveva profeticamente
capito il genio di Tocqueville quando aveva studiato il sorgere della democrazia
in America. Ecco, le guerre di esportazione della democrazia sono le guerre di
religione dei nostri tempi. Rifletteteci un momento e vedrete che questa cosa si
avvicina molto alla verità delle cose.
La "non sufficienza" dell'essere umano
A questo punto io credo sia necessario distinguere la "religione" dal
"religioso". Per fare questo possiamo seguire le nobili orme di autori
ormai classici come Bonhoeffer o anche, in un certo senso, Simone Weil.
L'espressione "sentimento religioso" secondo me non dice molto.
"Sentimento" è una parola troppo leggera per il carico che il
religioso pretende giustamente dall'essere umano. L'espressione "sentire
religioso" mi piace di più perché evoca una disposizione dell'animo
umano. Ci si può chiedere quindi se si tratta di una disposizione naturale. Non
lo credo. Qualcuno, fin dall'antichità, ha parlato dell'uomo come "animale
politico"; mi pare difficile parlare dell'uomo come "animale
religioso". Tuttavia credo si possa parlare giustamente di una "non
sufficienza" dell'essere umano. La verità è che noi non bastiamo a noi
stessi, siamo degli esseri fondamentalmente mancanti. Questo ce lo ha mostrato
non l'esperienza religiosa ma anche la migliore antropologia moderna e
contemporanea. Abbiamo bisogno di qualche cosa che non possiamo darci da soli.
Vi è un senso di fragilità della condizione umana, di insufficienza della
volontà che - per me - è un senso da conquistare. Intendo dire che per chi si
è formato nell'ambiente teorico e politico da cui provengo io è difficile
arrivare oggi alla conclusione che non tutto nella storia è nelle nostre mani e
che quindi c'è una zona di mistero da coltivare con cura come una risorsa, di
fronte alla quale conviene fermarsi a contemplare. Dall'esperienza che ho fatto
fin qui ho capito che il pensiero - e tanto più il pensiero a cui mi sento
legato, cioè il pensiero rivoluzionario - benché sia giustamente costituito
dall'analisi, dalla ricerca, dalla progettazione, dall'azione, deve però essere
aperto anche alla contemplazione. So che può sembrare strano dire questa cosa,
ma penso che si possa cominciare a dirla. Tuttavia non vorrei che il mio
discorso fosse frainteso. Non c'è nelle mie parole alcuna forma di intimismo,
alcun redire in se ipsum, alcun autobiografismo, come va un po' di moda adesso.
La mia riflessione nasce invece dal-l'esperienza storica. Se tiriamo - come si
suole dire - i fili del ‘900, noi - noi "movimento operaio", noi
"comunismo novecentesco" - eravamo quelli che dovevano cambiare il
mondo. Cambiare il mondo per cambiare l'uomo, anche se non si è mai capito se
volevamo cambiare prima il mondo e poi l'uomo, o, viceversa, prima l'uomo e poi
il mondo. In ogni caso, non siamo riusciti a fare né l'una né l'altra cosa. Ciò
nonostante io credo che era giusto, era sacrosanto, cercare di farlo. Era giusto
l'obiettivo, ma i mezzi erano impropri. Ecco, proprio l'insufficienza di quei
mezzi mi rimanda all'insufficienza dell'uomo: la ragione non viene dall'interno,
piuttosto dall'esterno dell'esperienza storica. In realtà siamo stati
subalterni a quell'idea di onnipotenza della ragione umana che non era propria
del moderno: non accusiamo il moderno anche delle colpe che non ha. Nel moderno
c'è di tutto, c'è la via della crisi, la via del dubbio, tanto quanto c'è la
via dello sviluppo, la via del progresso. Quell'idea dell'onnipotenza della
ragione era propria della borghesia moderna. E noi non abbiamo sottoposto a
critica il percorso dalla grande ragione rinascimentale istruita dalla scienza
alla piccola ragione strumentale comandata dalla tecnica. Se osserviamo l'arco
della modernità vediamo proprio questo passaggio dalla sovranità e onnipotenza
della scienza alla sovranità e onnipotenza della tecnica con cui oggi abbiamo
soprattutto a che fare. Tutto ciò ha provocato e fondamentalmente stabilizzato
il dominio della mentalità borghese sulla condizione umana.
Una crescente volgarizzazione della vita
Dunque, perché parlare di spiritualità? Userò delle frasi nette. Mi scuso con
voi, ma siccome adesso si parla in genere senza dire niente, io uso il criterio
opposto, cioè scelgo delle frasi che dicano il massimo che si possa dire. E
allora, perché la spiritualità? Perché il capitalismo ha fatto il deserto
all'interno dell'uomo. Perché il capitalismo ha reciso le radici dell'anima
all'interno della persona, e questo è un grande motivo culturale di lotta al
capitalismo. Culturale: perché ci sono anche altri motivi di lotta, anche più
seri e più fondati. Ma questo è un motivo di lotta che non vedo essere
sollevato con efficacia da nessuna delle poche forze anticapitalistiche rimaste.
Ci troviamo di fronte ad una crescente volgarizzazione della vita, siamo dentro
a un grandioso processo di volgarizzazione che nasce proprio da questo guasto
che la mentalità capitalistica ha introdotto all'interno dell'uomo. Tuttavia,
muovendoci su un piano culturale, appunto, capitalismo non è la parola esatta.
Io uso sempre questa parola perché è la più eloquente per dire dove siamo,
benché non la usi quasi più nessuno. La usano soltanto i capitalisti. Perché?
Perché la parola capitalismo, se ci fate caso, ha perso il senso che aveva
avuto per molto tempo, il suo senso dispregiativo. Ormai ha soltanto un senso
positivo. In questo caso comunque non è la parola giusta, perché è meglio
usare l'espressione "mentalità borghese". Con questa intendo la
declinazione borghese della modernità, che ha come chiave, come pietra miliare,
la figura dell'individuo neutro, che poi è l'individuo proprietario - anche
proprietario di capacità di lavoro, come ci ha insegnato Marx -. Individuo
libero. Libero però nel senso che ha la libertà di vendere il proprio lavoro
al migliore offerente. Potremmo aggiungere oggi: quando è fortunato di trovare
un compratore.
Dall'operaio massa al borghese massa
Marx parlava di "proletarizzazione crescente". Oggi dovremmo
rovesciare nel suo contrario quella previsione sbagliata, perché assistiamo ad
un fenomeno di "borghesizzazione crescente". A noi è toccato di
vivere un passaggio paradossale, per il punto da cui eravamo partiti, ovvero il
passaggio dall'operaio massa al borghese massa. Ci troviamo di fronte ad una
composizione sociale, la famosa società dei "due terzi", in cui la
grande maggioranza tende - dall'alto e dal basso - ad avvicinarsi al medio, al
livello medio. Il piccolo borghese ha come sua aspirazione massima quella di
arrivare ad una condizione di media borghesia; e, se ci fate caso, non esistono
più i grandi borghesi: i grandi imprenditori di oggi se li andate a vedere da
vicino sono dei borghesi medi. Lo si evince da come si comportano, da come
agiscono, anche da come vivono nella loro esistenza quotidiana. Non solo non
abbiamo più Rathenau ma non abbiamo più nemmeno Gianni Agnelli: abbiamo i
furbetti del quartierino. Poi c'è anche una zona di emarginazione che in
Occidente è minoritaria, ed è maggioritaria nel resto del mondo.
È accaduto in sostanza che il bourgeois si è mangiato il citoyen, secondo la
classica definizione della duplicità dell'uomo moderno, borghese e cittadino;
il denaro si è mangiato lo Stato. O, ricorrendo ad un esempio che abbiamo sotto
gli occhi tutti in questi ultimi anni, la moneta si è mangiata l'Europa: noi
non abbiamo oggi l'Europa unita, ma abbiamo la moneta unica. Credo che tutto ciò
si possa esprimere con la seguente formula: le democrazie occidentali sono le più
perfette dittature del denaro. Le vecchie dittature noi le individuavamo nella
figura del dittatore, una figura esistenziale, personale che le rendeva
riconoscibili. Tutti sapevano di vivere sotto una dittatura. La dittatura del
denaro non ha una figura personificata e quindi è difficilissima da essere
riconosciuta come tale; si vive nella dittatura del denaro convinti di essere in
una democrazia politica, questa è la condizione in cui siamo oggi.
Ho collaborato a un piccolo testo a cura della comunità di Bose – ci ho
lavorato insieme ad Enzo Bianchi - che raccoglieva i detti, soprattutto dei
padri del deserto, sul denaro, anzi contro il denaro. Prendeva il titolo da
un'espressione di Giovanni Crisostomo che dice "il tuo e il mio sono fredde
parole". Ecco, su queste cose non c'è lotta politica – e magari ci fosse
– però possiamo introdurre una forma di battaglia culturale. Non voglio
impostare il mio intervento semplicemente da un punto di vista politico, perciò
adesso cambierò il registro del discorso. Fin qui ho tuttavia cercato di far
capire che dietro la scelta del tema, "politica e spiritualità", ci
sono anche queste cose.
Il mondo "di fuori", un mondo nemico
Tornando alla spiritualità. Che cos'è per me la spiritualità? Hannah Arendt
lo ha accennato in un passaggio che anch'io mi sento di condividere: spiritualità
è fondamentalmente "interiorità". È il mondo interiore dell'essere
umano, declinato in forma duale, oggi, giustamente, al femminile e al maschile,
che sono due modi differenti di essere al tempo stesso complementari e
conflittuali. Questo mondo interiore è un mondo vasto - più vasto del mondo
esterno - e tendenzialmente infinito. Valgono qui le parole del poeta, o della
poetessa: "per quanto lontano tu possa andare, non potrai mai raggiungere i
confini della tua anima". Ecco qui qualcosa di non misurabile, di non
calcolabile, di non sottoponibile alla ragione strumentale. Ma infinito è anche
da intendersi come indefinito, e quindi non traducibile in numeri, in leggi, in
codici, e soprattutto non traducibile, per fortuna, in immagini, dal momento che
viviamo nella società dell'immagine. Trovo in questa dimensione dell'essere una
forte e profonda carica antagonistica nei confronti dell'attuale organizzazione
della vita e confesso che a volte mi sembra questa l'ultima e definitiva
frontiera della resistenza nei confronti dell'aggressione proveniente dal mondo
esterno. Io infatti considero il mondo "di fuori" un mondo nemico.
Dunque bisogna stare attenti a considerare la spiritualità come una sorta di
"benessere interiore", insomma la cura di sé per trovare l'armonia
con il mondo. Oggi assistiamo anche alla sostituzione dello psichiatra con il
filosofo. Si va dal filosofo per raccontare le proprie nevrosi interne e lui ci
fornisce le ricette per stare bene. Per non parlare della declinazione del
religioso nel senso new age che va un po' per la maggiore. Ecco: io contrappongo
a tutto questo un'altra cosa, molto netta: stare in pace con sé, oggi, vuol
dire entrare in guerra con il mondo.
Ora, la spiritualità ha una storia lunga. Arriva a noi da molto lontano.
Panikkar parla di quel terzo senso che è - dice lui - come un barlume più o
meno chiaro di consapevolezza che nella vita c'è qualcosa in più di ciò che
è percepito dai sensi o inteso dalla mente. Un qualcosa di più – dice lui
– di un ordine diverso: non è un prolungamento orizzontale verso ciò che
ancora non sappiamo o che ancora non siamo, è piuttosto un salto verticale
verso un'altra dimensione della realtà. Si pone in una direzione terra-cielo,
per la quale è necessario lo "stare eretti"; ce lo ha raccomandato il
filosofo novecentesco Bloch: stare eretti, che non è un semplice modo fisico,
ma è un modo spirituale di essere. Stare sulla terra andando verso l'alto, e
cioè non piegati sotto qualcosa. Che è poi la condizione dell'essere liberi,
come poi dirò a conclusione del discorso. E tuttavia quella conflittualità
della spiritualità - perché io di questo parlo, della conflittualità della
spiritualità - credo sia possibile trovarla di più e meglio nella nostra
tradizione, la tradizione ebraico-cristiana. Il passaggio dal cosmico allo
storico è un passaggio che può essere male inteso, può essere anche
falsificato, ma è quello che a me soprattutto interessa. Direi che tutto
comincia dai grandi profeti biblici (ma anche i profeti minori non scherzano). I
libri profetici, dunque, ma anche i libri sapienziali del primo testamento. E
poi i padri del deserto. Vi invito a leggere il testo di Enzo Bianchi, se non lo
conoscete già, che si intitola proprio "Le parole della spiritualità",
e ha un sottotitolo che recita "Per un lessico della vita interiore".
Bianchi prende le mosse da quando, all'inizio del quarto secolo, in piena crisi
dell'assetto imperiale, comincia a risuonare quell'invocazione "Abbà,
dimmi una parola!". Una parola per la vita, una parola per dare un senso
all'esistenza: si cominciava a formare proprio un linguaggio della spiritualità,
dei nomi da dare alla realtà dello spirito.
Sparare sugli orologi
Allora, la mia tesi è questa: la spiritualità è un linguaggio della crisi.
Ecco perché nella crisi della politica cui assistiamo oggi entrano e devono
entrare le parole della spiritualità. Cito alcune di queste parole che Bianchi
racconta una per una. Sono molte, ne ho scelte alcune fra quelle che sento più
vicine: ascesi, vigilanza, pazienza, ascolto, meditazione, preghiera, silenzio,
solitudine. Sono tutte parole oggi alternative a tutto ciò che ci circonda. Noi
viviamo nella società della fretta, del movimento accelerato, della corsa
quotidiana, dell'arrivare in tempo, dell'orologio. La prima cosa che fecero i
comunardi (splendidi!) quando conquistarono Parigi fu di sparare sugli orologi.
Credo che sia un'immagine stupenda della rivoluzione.
Vi è un contrasto tra i tempi esterni imposti alla vita e il tempo interno di
cui ha bisogno invece la persona umana. E qui nasce una contraddizione
fondamentale che è una contraddizione politica. Quelli che comandano non sono,
badate, i governi, i parlamenti, i partiti - questi sono attori supplenti,
attori flessibili se non precari, infatti ci sono e poi non ci sono più e ce ne
sono altri al posto loro -. Quello che ci comanda è la logica di sistema che
impone il circuito produzione-circolazione-distribuzione-consumo. Questo è il
potere reale che ci comanda. E noi cosiddetti cittadini siamo tutti sudditi di
questo potere. Un potere che non vuole che noi ci fermiamo a pensare, non ci
concede i tempi tecnici della riflessione interiore. Non appena abbiamo un
attimo di tempo libero ce lo riempie. Con che cosa? Con l'intrattenimento,
l'intrattenimento televisivo, con i reality show, con il festival del cioccolato
o con la festa del cinema, che è più o meno la stessa cosa. Ecco, la notte
bianca per me è l'espressione simbolica di questa socialità fasulla: in piazza
per una notte, e per il resto dei giorni soli ognuno con la propria nevrosi
quotidiana.
Ma riprendiamo il discorso, quello serio. La sapienza monastica di Benedetto
Calati, splendido monaco di Camaldoli, ci ha guidato con un magistrale racconto
attraverso la spiritualità del primo medioevo, da Gregorio Magno al monachesimo
da Beda il Venerabile e Pier Damiani a Bernardo. È nel quarto volume di una
storia della spiritualità pubblicata da Borla ed uscita nel 1988. Quando leggi
queste cose della spiritualità dal primo medioevo, ti accorgi che sebbene la
modernità abbia certamente guadagnato molto rispetto al medioevo (noi non siamo
antimoderni, per carità, siamo dei critici del moderno, che è una cosa ben
diversa), tuttavia ha perso anche qualcosa. Ha perso qualcosa che attiene
proprio al fondo dell'anima, per dirla con il nostro maestro Eckhart.
Vi sono diversi carismi ma uno solo è lo spirito, dice Paolo nella prima
lettera ai Corinzi. Questa evocazione viene ripresa ed esaltata per esempio
nella mistica femminile medioevale dalla grande Margherita Porete, ma anche da
altri. E il femminismo, per esempio - soprattutto il femminismo della
differenza, che in Italia ha notevoli interpreti - ha privilegiato nella
dimensione trinitaria la figura dello spirito, sottoponendo a critica il
percorso che va dalla ruah, che in ebraico è femminile, a pneuma, che in greco
invece è neutro, per arrivare a spiritus, che in latino diventa maschile. È
un'operazione culturale fatta con intelligenza al fine di evocare una perdita,
di sottolineare i limiti di un percorso.
Concludo con una provocazione intellettuale, se ve ne fosse bisogno di un'altra.
Dicevo, ma lo ripeto a scanso di equivoci, che a me piacciono le idee forti; non
ci sto al fatto che siccome siamo sotto il ricatto della violenza, allora
dobbiamo rispondere con pensieri deboli, perché vedo che in questo modo si
innesca una trappola capace di bloccare qualsiasi volontà di trasformazione
delle cose. Io vengo dalla lotta di classe, dalla teoria e dalla pratica della
lotta di classe. Considero una benedizione di Dio aver avuto la possibilità di
partecipare a quella vicenda (che mi pare conclusa). Proprio oggi ho riletto una
frase di Marx, accusato a volte - da qualche "parroco di campagna" -
di essere soltanto un materialista. Una frase di Marx del '56: "con la
stessa velocità con cui l'umanità diviene padrona della natura, l'uomo pare
assoggettarsi ad altri uomini. Tutte le nostre invenzioni e i nostri progressi
sembrano risolversi nel fornire una vita spirituale alle forze materiali e nel
mettere in ridicolo la vita umana riducendola a una forza materiale".
Questo è Marx! Ecco, ripensando oggi a quella vicenda che si organizzava
intorno alla lotta fra le classi, se cerco quel barlume dello spirito di cui
parlava Panikkar, quel qualcosa in più di un ordine diverso, io lo trovo nel
salario conquistato dai lavoratori e non lo trovo nei profitti accumulati dai
capitalisti. Nella nostra storia, nella storia delle classi che si sono
ribellate al loro sfruttamento, al loro dominio, c'è stata una spiritualità
profonda, tutta da riconoscere; nella figura del vecchio contadino, nella figura
dell'operaio di mestiere, nella figura della madre di famiglia che porta da
mangiare agli scioperanti, nel militante di base che fa politica in piena
gratuità, e poi nel desiderio, nel bisogno di cooperare, di solidarizzare, di
lottare: qui c'è una profonda spiritualità.
Quale altro?
Insomma, la spiritualità per me non è la declinazione buonista del religioso.
Quella che dice di essere laici, tolleranti, ecumenici, multietnici,
interreligiosi, aperti all'altro, e bla bla. Io non ce la faccio più a
sopportare questa "retorica dell'altro". Perché chiedo sempre: ma
quale altro? L'immi-grato clandestino che un gommone butta sulla nostra spiaggia
come un detrito non umano è lo stesso "altro" del benestante che sale
sul suo yacht per andare a fare il giro delle isole? Hanno in comune soltanto lo
stesso mare su cui navigano ma io sono per l'uno contro l'altro. Qui a volte lo
stesso predicare cristiano mi sembra abbia delle falle, delle mancanze. Insomma:
io dico che bisogna evocare il soffio dello spirito per disordinare il mondo.
Voi direte: ma il mondo è già abbastanza disordinato, non c'è bisogno di
ulteriore disordine. No, rispondo io, perché l'attuale disordine è conseguenza
dell'ordine che ci opprime, non è un disordine spontaneo. È un ordine che
dall'alto provoca questo disordine. Noi abbiamo bisogno di disordinare il mondo
dal basso. Ora, gli spirituali - si chiamavano così - erano sempre eretici. Gli
ordini spirituali nascevano per contestare l'or-dine gerarchico della Chiesa. Io
credo che dovremmo ripartire da qui, da quando Gesù risorto sta per lasciare i
discepoli e dice loro: ricevete lo Spirito. Ecco il lascito inutilizzato che
abbiamo ancora tra le mani. Veramente diceva: ricevete lo Spirito Santo. Ma qui
sorge un'altra domanda: è necessario che sia Santo questo spirito, non basta
che sia – appunto - Spirito?
E ora, veramente, l'ultima battuta. C'è una figura un po' hegeliana un po'
nietzschiana - più nietzschiana che hegeliana - che io amo molto: è quella del
frei geist, dello spirito libero. È una figura novecentesca, che Nietzsche ha
lasciato al Novecento, perché ha trovato un suo seguito in grandi esperienze
teoriche, per esempio nel principio speranza di Bloch o nella coscienza del
proletariato del giovane Luckacs, oppure nel comunismo teologico di Benjamin, in
quello escatologico di Taubes. Ecco l'ultima frase netta: la spiritualità è
libertà. Perché la libertà o è libertà dello spirito, o è soltanto
un'altra forma di oppressione. Con questa sentenza da militare concludo il mio
discorso.