UN FUTURO PASQUALE PER LE RELIGIONI: MORIRE AGLI INTERESSI ISTITUZIONALI, RISORGERE AL SERVIZIO DELL'UMANITÀ
da ADISTA n° 88 del 9.12.2006
DOC-1808. ROMA-ADISTA. La sensazione è quella di "restare
schiacciati dall'enormità del compito" che ci si trova di fronte:
nell'epilogo del quarto volume della collana "Por los muchos caminos de Diós",
dedicata dall'Asett (Associazione dei teologi e teologhe del Terzo Mondo)
all'incontro tra Teologia della Liberazione e Teologia del pluralismo religioso
(v. Adista n. 86/06), il teologo José María Vigil (curatore dell'opera insieme
a Marcelo Barros e Luiza Tomita) illustra chiaramente la portata della sfida.
Per quanto si trovi ancora ad uno stadio iniziale, spiega Vigil, la Teologia del
pluralismo religioso rappresenta "il futuro della teologia", e, per
quanto si tratti ancora dell'intuizione di pochi, il paradigma pluralista si
pone come "la matrice del pensiero e del nuovo ethos in cui deve essere
riversato il cristianesimo", quello a partire da cui dovrà essere
riscritta ogni teologia. E quello per cui sta già iniziando a passare la
Teologia della Liberazione, senza perdere nulla della sua prospettiva
liberatrice, ma riconvertendo tutto in chiave pluralista.
Compito enorme, si diceva: enorme perché la prima fase della nuova costruzione
"consisterà, in buona parte, nella demolizione e nello sgombero del
terreno"; enorme perché le istituzioni religiose dovranno "accettare
di morire agli interessi egoistici per resuscitare rinnovate, convertite, al
servizio dell'umanità" e perché altrettanto dovranno fare le persone
religiose: "morire a poco a poco alle proprie convinzioni, ipotesi,
teologie e spiritualità e rinascere ad un'altra maniera di credere".
Ma per quanto impegnativo possa apparire il compito, non sarà possibile
sfuggirgli: più si aspetterà, sottolinea Vigil, prima arriveranno le
diserzioni. E perché, poi, fuggire "dinanzi ad una nuova grande ‘ondata'
dello Spirito nella storia"? Dopo quella rappresentata dall'irruzione della
spiritualità della liberazione e, prima di questa, quella che ha comportato la
riconciliazione con i valori della coscienza moderna, la nuova ondata dello
Spirito legata al pluralismo religioso "ci apre a un nuovo ciclo
storico", che "promette di ‘fare nuove tutte le cose'". Per
questo, afferma Vigil, per molti teologi e teologhe "fare Teologia del
pluralismo religioso non è un semplice lavoro accademico", ma
"un'esperienza spirituale": un compito "profetico, perché
richiede conversione". E neppure si può considerare la Teologia del
pluralismo religioso come "lotta interna" all'universo ecclesiastico o
religioso: si tratta, piuttosto, di "un intervento storico" che mira
alla trasformazione del mondo, in quanto, scrive Vigil citando il teologo Paul
Knitter, "solo le religioni del mondo, unite, possono salvare l'umanità
dal grande dramma che oggi la tiene prigioniera, che è precisamente l'egemonia
dell'altra ‘religione' competitiva, la religione del Mercato che minaccia di
far collassare l'umanità e lo stesso pianeta".
Di seguito l'intervento di Vigil, con alcuni tagli, in una nostra traduzione
dallo spagnolo. (claudia fanti)
TEOLOGIA PLURALISTA: I DATI,
I COMPITI, LA SPIRITUALITÀ
di José María Vigil
chi è Josè
Maria Vigil
Questo quarto volume della collana "Per i molti cammini di
Dio" raggiunge la maturità dell'obiettivo che aveva l'opera, quello di
ricapitolare e accompagnare la nascita di una "teologia liberatrice del
pluralismo religioso" a partire dall'America Latina, ma con respiro
mondiale (...). È ora di proporre alcune interpretazioni, per quanto siano
provvisorie, dopo aver osservato il panorama che si apre di fronte a noi.
Bilancio dei dati
(...) La teologia (cristiana) del pluralismo religioso (Tpr) è già oggi una
realtà che non può essere ignorata, significativamente presente, anche se in
una fase iniziale, in tutti i Continenti. (...) Crediamo di poter affermare che,
in generale, comincia ad essere percepito lo statuto epistemologico della Tpr,
come statuto di una teologia che non è "una branca fra le altre",
tanto meno un "ramo nuovo" di una presunta "teologia universale
di sempre", ma una nuova forma di teologia o "forma d'essere alla
quale deve passare tutta la teologia". Si tratta solo di una intuizione che
comincia a guadagnare gli adepti più pronti: il pluralismo, il paradigma
pluralista, è il nuovo paradigma nel quale deve essere riversata la teologia.
La teologia pluralista è il futuro della teologia, e il paradigma pluralista è
la matrice del pensiero e del nuovo ethos nella quale deve essere riversato il
cristianesimo. Questa intuizione si sta già facendo presente in ambito
teologico. E comporta la percezione della necessità di "riscrivere tutta
la teologia", come aveva annunciato profeticamente Paul Tillich poco prima
della sua improvvisa morte. E da qui sorge la sensazione di restare schiacciati
dall'enor-mità del compito. Se la teologia della liberazione si è sviluppata e
ha raggiunto la sua pienezza in appena 25 anni, sembra ovvio che il cambiamento
epocale che il paradigma pluralista suppone probabilmente richiederà più
tempo, dovendosi realizzare il travaso o il "riversamento" del
patrimonio simbolico del cristianesimo - e delle altre religioni - nei nuovi
modelli. E al senso di prostrazione per l'enormità del compito si aggiunge un
senso di timore per le sfide che comporta. Sono percepite con sempre maggiore
chiarezza le mutazioni di pensiero necessarie rispetto a come è stato
presentato il cristianesimo. (...)
Concretamente, a cominciare dall'America Latina, possiamo dire che il bilancio
che stiamo tracciando ci permette anche affermazioni come le seguenti.
L'America Latina è già presente nel dibattito attuale della Tpr, dal quale è
stata assente tutto il secolo passato. Per quanto sia all'inizio, già si può
dire che l'America Latina ha una sua voce e ha cominciato a dire la sua parola
nel concerto universale. Di più: in questo dibattito, l'America Latina è
entrata con il suo carisma più conosciuto e riconosciuto, quello della teologia
e della spiritualità della liberazione. Avrebbe potuto farsi avanti qualche
altra prospettiva tra le tante che compongono l'America Latina plurale. Però,
no: l'America Latina è entrata nel dibattito mondiale sulla teologia del
pluralismo religioso portandovi esplicitamente il suo carisma, la sua impronta,
facendo "incrociare la teologia della liberazione con la teologia del
pluralismo".
Con ciò, non solo siamo ad un nuovo stadio della teologia latinoamericana, ma
è la stessa teologia della liberazione che entra in una nuova tappa. Se la sua
ultima tappa comunemente riconosciuta è quella della diversificazione in varie
teologie per i diversi "soggetti emergenti" (indigeni, donna,
neri…), bisogna dire che oggi stiamo entrando in una nuova fase della teologia
della liberazione, che non si caratterizza per un nuovo soggetto o un nuovo
oggetto, ma per una nuova "pertinenza", un nuovo "oggetto
formale" aggiunto, quello che viene dal paradigma pluralista.
Ovviamente, non è che la nuova tappa chiuda le altre, o le sostituisca, o rompa
con qualcosa… I soggetti emergenti attuali e i compiti in corso della teologia
della liberazione continuano, devono continuare, solo che ora devono fare il
salto qualitativo che il nuovo paradigma comporta, recuperando il lavoro
realizzato, traducendolo e riconvertendolo nella chiave del nuovo paradigma
(...).
I compiti
Tentiamo ora di segnalare i compiti che si intravedono nello sviluppo presente e
futuro della Tpr.
Cominciando dal campo della teologia, il primo grande compito avviato in questo
processo è stato quello della costruzione della cosiddetta "teologia del
pluralismo religioso", cioè la costruzione di una "teologia delle
religioni" che non concentrasse più la sua preoccupazione sulla possibilità
stessa della salvezza al di fuori del cristianesimo - che è già qualcosa di
ovvio - ma che la centrasse, ora, nel significato stesso della pluralità delle
religioni (...).
Il passo seguente è l'elaborazione di una teologia del pluralismo religioso che
sia essa stessa pluralista (non più esclusivista o inclusivista). (...)
Nell'ambito di questo lavoro toccherà in primo luogo concentrarsi su una
"teologia pluralista del pluralismo religioso", ma il secondo passo
dovrà necessariamente affrontare la costruzione di teologie pluraliste
particolari, ossia la riconversione pluralista delle branche specifiche di
teologia cristologia, ecclesiologia, teologia della rivelazione, escatologia,
sacramentologia… Come nella teologia della liberazione si è data innanzitutto
una teologia generale e poi un'elaborazione dei diversi settori teologici nella
prospettiva liberatrice, altrettanto deve avvenire nel campo della teologia
pluralista. E ricordiamo Tillich: ogni teologia deve essere riscritta a partire
dal nuovo paradigma.
Ci manca di dire che tutto questo è praticamente ancora da fare nel campo della
costruzione pluralista delle teologie settoriali, delle discipline o branche
teologiche. Si sono avute appena lievi incursioni nella cristologia, più come
proposte individuali che come risultati accettati e riconosciuti nella comunità
teologica, accademica o pastorale.
È importante segnalare che tutta questa costruzione che ci attende d'ora in
avanti esige allo stesso modo una "decostruzione"… È un altro
compito, simultaneo. Perché non siamo in un terreno vuoto, ma già occupato da
edifici molto antichi e ben cementati, che resistono a cadere e che molti
teologi cercano di puntellare. La teologia pluralista e quella inclusivista non
potranno convivere facilmente. La costruzione dell'una esigerà la decostruzione
dell'altra. La prima fase di una nuova costruzione consisterà, in buona parte,
nella demolizione e nello sgombero del terreno (...).
A parte i compiti teologici propriamente detti, ci sono altri compiti cui
adempiere perché tutto il processo cammini armoniosamente. Oggi la teologia
pluralista è fuori dalle istituzioni ecclesiastiche e dalle istituzioni
religiose in generale. Le religioni - cristianesimo incluso - sono state
concepite nel-l'esclusivismo, e in esso sono vissute per millenni; solo alcune,
come vere eccezioni e con difficoltà, hanno assunto l'in-clusivismo. È per
questo che non c'è ancora spazio, in esse, per la prospettiva pluralista. Il
pluralismo appare non conseguibile, impossibile da assimilare per quello che
sono state tradizionalmente le istituzioni religiose. Avranno bisogno di tempo
per comprenderlo e per digerire e assimilare le sfide del pluralismo. Il compito
della teologia consisterà nell'in-fluire sulle istituzioni, con tatto e
pazienza, per aprirle alla ricezione delle sfide del pluralismo prima e della
teologia pluralista dopo.
Sarà necessario aiutare le istituzioni religiose (Chiese e religioni) a reagire
con una saggezza carica di visione del futuro, invece che, ancora una volta
nella storia, in funzione di interessi egoistici istituzionali. Le istituzioni
dovranno comprendere che la loro unica salvezza, in questa ora storica, è di
nuovo "pasquale": accettare di morire agli interessi egoistici per
resuscitare rinnovate, convertite, al servizio dell'Umanità, associate a tutte
le altre religioni, come unico modo per essere accettate nella società e non
essere gettate fra la spazzatura della storia.
Non dobbiamo lasciar fuori da questa "agenda" di compiti la
preoccupazione pastorale. I teologi e le teologhe provano disagio nel trovarsi
di fronte a un nuovo paradigma che sfida le loro precedenti convinzioni,
sottomettendole ad una decostruzione a volte implacabile, e li obbliga a
"nascere di nuovo" e a imparare a guardare la realtà in un modo mai
sperimentato prima. Il complesso delle persone religiose è chiamato a vivere
questa stessa esperienza pasquale: dovranno morire a poco a poco alle loro
convinzioni, usi, ipotesi, teologie e spiritualità precedenti e rinascere ad
"un'altra maniera di credere". Il passaggio non sarà facile, ma non
bisogna averne paura, né bisogna allontanare il momento di affrontarlo. Al
contrario: più si aspetta, prima si arriverà a un gran numero di diserzioni,
che aumenteranno giorno dopo giorno proprio perché non si affronta il problema.
Qui bisogna tornare a ripetere che la teologia del pluralismo religioso non deve
essere messa in relazione innanzitutto con il dialogo interreligioso. Molti lo
fanno, pensando che una tale teologia serva a preparare il dialogo con altre
religioni. È vero che la teologia del pluralismo religioso è una
impareggiabile preparazione per il dialogo interreligioso, ma non è questa la
sua prima né principale applicazione. Non mi stanco di ripetere che "la
Tpr non è anzitutto per dialogare con qualcuno, ma per dialogare con noi
stessi". Altrimenti detto, "non è per il dialogo interreligioso, ma
per il dialogo intrareligioso". Ossia, per dialogare con noi stessi (...).
Dopo di che, certamente saremo meglio preparati per un eventuale dialogo
interreligioso, ma l'assimilazione della teologia del pluralismo religioso, come
ricomposizione propria di tutta la cosmovisione religiosa della nostra vita, avrà
pieno senso anche senza avere nessuno di altre religioni con cui dialogare.
Il suo significato: spiritualità
Cosa muove il processo e l'effervescenza della Tpr, un puro dibattito teologico
accademico? C'è una mistica dietro di esso? Si è sempre detto che, dietro ogni
grande corrente o movimento teologico, c'è un'esperienza spirituale profonda
che ha fatto presa sul popolo di Dio. Questa è la differenza rispetto alle
"scuole" teologiche, che semplicemente derivano dalla dottrina di
qualche teologo geniale: la teologia della liberazione, per esempio, non è
stata una scuola, non è nata da una mente geniale che ha aperto una scuola; è
stata piuttosto come un incendio spirituale che in un determinato momento si è
acceso e si è propagato incontenibilmente nel popolo di Dio. Prima della
teologia della liberazione e al di sotto di essa c'era, a suscitarla e ad
alimentarla, la spiritualità della liberazione. Gli scritti dei teologi della
liberazione non erano "originali"… semmai "copiati", perché
raccoglievano il vivere comunitario e impegnato - perfino martiriale - del
popolo di Dio, e, dopo averlo elaborato in formato teologico, lo
"restituivano" a questo stesso popolo di Dio che si riconosceva in
questi scritti, in un circolo di alimentazione costante, di cui i teologi erano
solo un elemento, ma non il motore primo…
Qualcosa di simile - rispettando le differenze nel tempo, nei ritmi e nel
momento storico - può star succedendo oggi. La teologia del pluralismo
religioso sta sorgendo simultaneamente in tutto il mondo - e non in un
continente - ma non perché ci sia uno o più teologi che con la loro genialità
stanno "facendo scuola". Non esiste un tale riferimento o un vincolo
con teologi "fondatori". L'ebollizione avviene, semmai, un po' da
tutte le parti, come un movimento o una corrente spirituale nel seno del popolo
di Dio.
E neppure si tratta di un interesse intellettuale o accademico, come se questa
teologia fosse un tema di interesse universitario. L'interesse che suscita è
nell'Università e nella strada (...). I credenti di mentalità aperta e moderna
"riconoscono" oggi queste elaborazioni dei teologi del pluralismo
religioso come qualcosa che è tornato a loro, come qualcosa che credono di aver
già pensato o intuito e che riconoscono come "meglio espresso". Prima
e al di sotto della teologia del pluralismo religioso esiste la spiritualità
del pluralismo religioso, che si respira e si espande anche senza libri e senza
teologia: come per osmosi, per intuizione, come opera dello Spirito, "per i
molti cammini di Dio".
Stiamo, quindi, dinanzi ad una nuova grande "ondata" dello Spirito
sulla Storia. La precedente è stata senza dubbio quella della spiritualità
della liberazione, che ha risvegliato il cristianesimo, a livello mondiale,
nella direzione dell'impe-gno verso l'amore-giustizia, facendogli scoprire la
dimensione sociale e politica alla quale era diventato parzialmente cieco. E
l'"ondata" ancora precedente era stata la riconciliazione con i valori
della coscienza moderna (scienza, pensiero critico, valore della persona, libertà
religiosa, diritti umani, democrazia…) che è avvenuta verso la metà del
secolo passato, e nel cattolicesimo ha preso corpo nel Concilio Vaticano II.
All'inizio del XXI secolo stiamo assistendo alla piena espansione di questa
ondata attuale, quella della presa di coscienza del pluralismo religioso che
trasformerà profondamente il cristianesimo e le religioni tutte, come un punto
di divisione tra un prima e un dopo.
Non stiamo discutendo di teologia; stiamo sperimentando il giungere di una nuova
"ondata" dello Spirito, che ci apre coscientemente a un nuovo ciclo
storico, di grande impatto, che sta appena iniziando e che promette di "far
nuove tutte le cose". Mentre viviamo un nuovo tempo assiale, stiamo
accogliendo un nuovo kairos al quale vogliamo aprire le porte, "senza
paura", e con le luci accese.
Vogliamo partecipare a questo rinnovamento che lo Spirito suscita in questa ora.
La religione, le religioni, hanno bisogno anche oggi di aggiornarsi, di aprirsi
a questo movimento della Storia, di attualizzarsi, non solo nei fatti e nella
comprensione del mondo, ma soprattutto nella comprensione di sé e perfino nella
comprensione del sacro. La nuova ora della storia, l'ora della "globalizzazione",
lo consente.
Le religioni vivono un'esperienza nuova: per la prima volta - in migliaia di
anni di esistenza - non solo possono, ma si vedono obbligate a stare in contatto
e a convivere (...). Vedendo le altre e convivendo necessariamente con esse,
vedono se stesse allo specchio e acquisiscono una prospettiva nuova per
giudicare tutto quello che ognuna aveva detto tanto di se stessa quanto delle
altre (...). Come si sentono ora di fronte al "fuori di me non c'è
salvezza" che quasi tutte hanno sottoscritto e proclamato sconsideratamente
nel passato? Come sentono ora le loro pretese di unicità e di assolutezza per
se stesse e i loro simboli?
È un'ora difficile, di transizione, di esperienza viva di una nuova prospettiva
epistemologica che porta a ri-comprendere e ri-formulare molte di quelle che
fino ad ora erano ritenute certezze e il cui senso ora sprofonda, si sposta, si
trasforma (...). C'è bisogno di tempo per digerire e di levatrici per aiutare
il parto. Questa transizione, questo cambiamento di epistemologia, questa
ri-comprensione e ri-formulazione, questa digestione e questo parto sono ciò
che significa la teologia del pluralismo religioso nell'attualità delle
religioni.
(...) Per questo, fare teologia del pluralismo religioso non è un semplice
lavoro accademico. Per molti teologi e teologhe è anche un'esperienza
spirituale. È una militanza, una prassi teorica. Liberare le nuove idee che
stanno nascendo, aprire le menti, evidenziare l'obsolescenza di impostazioni
superate, educare gli esseri umani ad una nuova cittadinanza religiosa mondiale
pluralista… è la vocazione della teologia del pluralismo e di coloro che la
coltivano.
Se le religioni sono in crisi, se siamo in un nuovo tempo assiale, se le
religioni hanno bisogno di una ri-conversione, il teologo deve dedicare molta
della sua energia a promuovere questa conversione e ad accogliere, ascoltare e
orientare questo cambiamento assiale che ci supera tutti ma al quale possiamo
tutti collaborare, seppure infinitesimamente.
Si tratta di un lavoro profetico, perché richiede conversione. La teologia del
pluralismo religioso esige oggi carisma profetico, per potersi indirizzare con
autorità alle religioni. "Il compito dei teologi oggi è quello di
ascoltare la rivelazione sempre nuova che si produce nel processo co-creatore
divino-umano"; "dare nome alla rivoluzione che è in cammino".
"La missione del profeta consiste nell'aprire la prospettiva, criticare lo
status quo funzionale e oppressivo e mobilitare tutti verso un futuro nuovo e
audace" (O'Murchú: Rehacer la vida religosa, 2001).
Ma la teologia del pluralismo religioso non è una lotta interna al mondo
ecclesiastico o al mondo del puramente "religioso". È piuttosto un
intervento storico nella piazza pubblica del mondo. Non è un compito meramente
religioso. Mira alla trasformazione del mondo. (...) Paul Knitter lo esprime
brillantemente nel prologo a questo libro: solo le religioni del mondo, unite,
possono salvare l'umanità dal grande dramma che oggi la tiene prigioniera, che
è precisamente l'egemonia dell'altra "religione" competitiva, la
religione del Mercato che minaccia di far collassare l'umanità e lo stesso
pianeta.
La teologia del pluralismo religioso si concentra sulle religioni, cosciente del
fatto che sono le forze maggiori dell'umanità, le sue più potenti risorse. E
vuole trasformarle. Desidera attualizzarle, farle attraversare il nuovo
"tempo assiale" perché si adattino ad un tempo e ad una tappa della
storia totalmente nuova. Cerca di vincere le loro resistenze, di superare il
loro attaccamento a credenze inveterate e a presunte certezze, di superare il
loro timore verso presunte infedeltà nelle quali si incorrerebbe precisamente
obbedendo ai segni dei tempi attraverso i quali parla il loro stesso principio
fondante. Fare teologia del pluralismo religioso, a volte, significa anche
assumere rischi e persecuzioni da parte delle stesse istituzioni religiose. La
militanza teologica ha il suo costo, quando è teologia profetica, quando non si
tratta di teologia di sistema.
Tanto lo scontro Nord-Sud quanto lo "scontro di civiltà" sono
conflitti tra settori dell'umanità ispirati da una o l'altra religione. In
ognuno di questi settori in conflitto la religione esercita un ruolo:
giustificando o tollerando, o occultando l'ingiustizia che si dà in ogni
scontro. Se le religioni dialogassero tra di loro, se scoprissero il Dio della
Vita e della Giustizia come Dio universale e si orientassero a seguire il suo
comando di Vita e di Giustizia come obiettivo supremo, né il conflitto
Nord-Sud, né lo scontro di civiltà avrebbero un seguito, mentre su entrambi i
lati di ogni conflitto si continua ad invocare Dio. Continua ad essere evidente
che le religioni devono convertirsi, attualizzarsi, armonizzarsi con le nuove
esigenze di fraternità in un mondo unificato, totalmente distinto da quel
"piccolo mondo" nel quale sono nate e si sono sviluppate in solitudine
per migliaia di anni.
Il raggiungimento del mondo nuovo passa oggi per religioni rinnovate,
ri-convertite, che rinunciano a quegli atteggiamenti radicati e tradizionali
che, nella nuova prospettiva, sono con tutta evidenza zavorra (...). Le
religioni devono abbandonare decisamente, per esempio, il miraggio del quale
quasi tutte sono state vittime: quello di considerarsi il centro del mondo, di
pensare se stesse come la religione unica e vera, come la religione che detiene
in esclusiva la salvezza, come la religione superiore.
La maggior parte delle religioni conserva ancora al suo interno queste zavorre
fondamentaliste. Molte convivono con atteggiamento civile ed educato, ma nella
loro intimità mantengono atteggiamenti che si rivelano incompatibili con la
convivenza globalizzata delle religioni. Perché la religione che si crede
l'unica vera non convive, semplicemente tollera. La religione che si crede
superiore non dialoga, semplicemente attende l'opportunità per convertire
l'altra. La causa della teologia del pluralismo religioso non si radica in una
discussione teorica o accademica regionale, periferica rispetto alle grandi
cause dell'Umanità. La teologia del pluralismo religioso vuole far sì che
tutte le teologie siano "pluraliste" e che si liberino dei tanti
fondamentalisti che le affliggono; vuole che tutte le religioni si globalizzino,
che tutte si riconoscano sorelle, simili, scintille uniche di una stessa luce
umano-divina; vuole che passino a sentirsi e ad essere di/per tutta l'umanità,
senza esclusivismi né inclusivismi, senza monopolio della salvezza, senza
assolutismo, proselitismo, chiamate ad assumere di comune accordo la
responsabilità del destino dell'Umanità globalizzata e unita, e anche della
Vita, del Pianeta, del Cosmo.
Solo religioni "pluraliste" – che cioè assumano conseguentemente la
teologia del pluralismo religioso – possono essere utili all'Umanità in
questa nuova tappa della storia. Quelle che non riusciranno a fare questo passo
continueranno ad essere per l'umanità busti scomodi e pregiudizievoli per la
salute, ereditati da epoche ancestrali già superate.
Il senso pluralista non cadrà dal cielo per le religioni. La sua acquisizione
costerà fatica, crisi, resistenze, dibattito, tensioni, persecuzioni,
discernimenti… ma è ovvio che, prima o poi, l'Umanità si adatterà al nuovo
stadio della sua storia, e la sua dimensione spirituale si esprimerà con
strumenti adeguati. Continueranno ad esserlo le religioni,
"pluraliste" in ogni caso? Permetterà l'"epistemologia
pluralista" l'esistenza di "religioni" in quel futuro? Sarà
quella, ancora, un'ora delle religioni o solo della spiritualità?
Non è ora, però, il momento di rispondere a queste ultime domande, ma solo di
mettersi in cammino verso questo futuro che ci porterà le risposte.