HOME PAGE          SOMMARIO TEMI


UN FUTURO PASQUALE PER LE RELIGIONI: MORIRE AGLI INTERESSI ISTITUZIONALI, RISORGERE AL SERVIZIO DELL'UMANITÀ

da ADISTA n° 88 del 9.12.2006

DOC-1808. ROMA-ADISTA. La sensazione è quella di "restare schiacciati dall'enormità del compito" che ci si trova di fronte: nell'epilogo del quarto volume della collana "Por los muchos caminos de Diós", dedicata dall'Asett (Associazione dei teologi e teologhe del Terzo Mondo) all'incontro tra Teologia della Liberazione e Teologia del pluralismo religioso (v. Adista n. 86/06), il teologo José María Vigil (curatore dell'opera insieme a Marcelo Barros e Luiza Tomita) illustra chiaramente la portata della sfida. Per quanto si trovi ancora ad uno stadio iniziale, spiega Vigil, la Teologia del pluralismo religioso rappresenta "il futuro della teologia", e, per quanto si tratti ancora dell'intuizione di pochi, il paradigma pluralista si pone come "la matrice del pensiero e del nuovo ethos in cui deve essere riversato il cristianesimo", quello a partire da cui dovrà essere riscritta ogni teologia. E quello per cui sta già iniziando a passare la Teologia della Liberazione, senza perdere nulla della sua prospettiva liberatrice, ma riconvertendo tutto in chiave pluralista.
Compito enorme, si diceva: enorme perché la prima fase della nuova costruzione "consisterà, in buona parte, nella demolizione e nello sgombero del terreno"; enorme perché le istituzioni religiose dovranno "accettare di morire agli interessi egoistici per resuscitare rinnovate, convertite, al servizio dell'umanità" e perché altrettanto dovranno fare le persone religiose: "morire a poco a poco alle proprie convinzioni, ipotesi, teologie e spiritualità e rinascere ad un'altra maniera di credere".
Ma per quanto impegnativo possa apparire il compito, non sarà possibile sfuggirgli: più si aspetterà, sottolinea Vigil, prima arriveranno le diserzioni. E perché, poi, fuggire "dinanzi ad una nuova grande ‘ondata' dello Spirito nella storia"? Dopo quella rappresentata dall'irruzione della spiritualità della liberazione e, prima di questa, quella che ha comportato la riconciliazione con i valori della coscienza moderna, la nuova ondata dello Spirito legata al pluralismo religioso "ci apre a un nuovo ciclo storico", che "promette di ‘fare nuove tutte le cose'". Per questo, afferma Vigil, per molti teologi e teologhe "fare Teologia del pluralismo religioso non è un semplice lavoro accademico", ma "un'esperienza spirituale": un compito "profetico, perché richiede conversione". E neppure si può considerare la Teologia del pluralismo religioso come "lotta interna" all'universo ecclesiastico o religioso: si tratta, piuttosto, di "un intervento storico" che mira alla trasformazione del mondo, in quanto, scrive Vigil citando il teologo Paul Knitter, "solo le religioni del mondo, unite, possono salvare l'umanità dal grande dramma che oggi la tiene prigioniera, che è precisamente l'egemonia dell'altra ‘religione' competitiva, la religione del Mercato che minaccia di far collassare l'umanità e lo stesso pianeta".
Di seguito l'intervento di Vigil, con alcuni tagli, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

TEOLOGIA PLURALISTA: I DATI, I COMPITI, LA SPIRITUALITÀ

 di José María Vigil

 chi è Josè Maria Vigil

Questo quarto volume della collana "Per i molti cammini di Dio" raggiunge la maturità dell'obiettivo che aveva l'opera, quello di ricapitolare e accompagnare la nascita di una "teologia liberatrice del pluralismo religioso" a partire dall'America Latina, ma con respiro mondiale (...). È ora di proporre alcune interpretazioni, per quanto siano provvisorie, dopo aver osservato il panorama che si apre di fronte a noi.

Bilancio dei dati
(...) La teologia (cristiana) del pluralismo religioso (Tpr) è già oggi una realtà che non può essere ignorata, significativamente presente, anche se in una fase iniziale, in tutti i Continenti. (...) Crediamo di poter affermare che, in generale, comincia ad essere percepito lo statuto epistemologico della Tpr, come statuto di una teologia che non è "una branca fra le altre", tanto meno un "ramo nuovo" di una presunta "teologia universale di sempre", ma una nuova forma di teologia o "forma d'essere alla quale deve passare tutta la teologia". Si tratta solo di una intuizione che comincia a guadagnare gli adepti più pronti: il pluralismo, il paradigma pluralista, è il nuovo paradigma nel quale deve essere riversata la teologia. La teologia pluralista è il futuro della teologia, e il paradigma pluralista è la matrice del pensiero e del nuovo ethos nella quale deve essere riversato il cristianesimo. Questa intuizione si sta già facendo presente in ambito teologico. E comporta la percezione della necessità di "riscrivere tutta la teologia", come aveva annunciato profeticamente Paul Tillich poco prima della sua improvvisa morte. E da qui sorge la sensazione di restare schiacciati dall'enor-mità del compito. Se la teologia della liberazione si è sviluppata e ha raggiunto la sua pienezza in appena 25 anni, sembra ovvio che il cambiamento epocale che il paradigma pluralista suppone probabilmente richiederà più tempo, dovendosi realizzare il travaso o il "riversamento" del patrimonio simbolico del cristianesimo - e delle altre religioni - nei nuovi modelli. E al senso di prostrazione per l'enormità del compito si aggiunge un senso di timore per le sfide che comporta. Sono percepite con sempre maggiore chiarezza le mutazioni di pensiero necessarie rispetto a come è stato presentato il cristianesimo. (...)
Concretamente, a cominciare dall'America Latina, possiamo dire che il bilancio che stiamo tracciando ci permette anche affermazioni come le seguenti.
L'America Latina è già presente nel dibattito attuale della Tpr, dal quale è stata assente tutto il secolo passato. Per quanto sia all'inizio, già si può dire che l'America Latina ha una sua voce e ha cominciato a dire la sua parola nel concerto universale. Di più: in questo dibattito, l'America Latina è entrata con il suo carisma più conosciuto e riconosciuto, quello della teologia e della spiritualità della liberazione. Avrebbe potuto farsi avanti qualche altra prospettiva tra le tante che compongono l'America Latina plurale. Però, no: l'America Latina è entrata nel dibattito mondiale sulla teologia del pluralismo religioso portandovi esplicitamente il suo carisma, la sua impronta, facendo "incrociare la teologia della liberazione con la teologia del pluralismo".
Con ciò, non solo siamo ad un nuovo stadio della teologia latinoamericana, ma è la stessa teologia della liberazione che entra in una nuova tappa. Se la sua ultima tappa comunemente riconosciuta è quella della diversificazione in varie teologie per i diversi "soggetti emergenti" (indigeni, donna, neri…), bisogna dire che oggi stiamo entrando in una nuova fase della teologia della liberazione, che non si caratterizza per un nuovo soggetto o un nuovo oggetto, ma per una nuova "pertinenza", un nuovo "oggetto formale" aggiunto, quello che viene dal paradigma pluralista.
Ovviamente, non è che la nuova tappa chiuda le altre, o le sostituisca, o rompa con qualcosa… I soggetti emergenti attuali e i compiti in corso della teologia della liberazione continuano, devono continuare, solo che ora devono fare il salto qualitativo che il nuovo paradigma comporta, recuperando il lavoro realizzato, traducendolo e riconvertendolo nella chiave del nuovo paradigma (...).

I compiti
Tentiamo ora di segnalare i compiti che si intravedono nello sviluppo presente e futuro della Tpr.
Cominciando dal campo della teologia, il primo grande compito avviato in questo processo è stato quello della costruzione della cosiddetta "teologia del pluralismo religioso", cioè la costruzione di una "teologia delle religioni" che non concentrasse più la sua preoccupazione sulla possibilità stessa della salvezza al di fuori del cristianesimo - che è già qualcosa di ovvio - ma che la centrasse, ora, nel significato stesso della pluralità delle religioni (...).
Il passo seguente è l'elaborazione di una teologia del pluralismo religioso che sia essa stessa pluralista (non più esclusivista o inclusivista). (...) Nell'ambito di questo lavoro toccherà in primo luogo concentrarsi su una "teologia pluralista del pluralismo religioso", ma il secondo passo dovrà necessariamente affrontare la costruzione di teologie pluraliste particolari, ossia la riconversione pluralista delle branche specifiche di teologia cristologia, ecclesiologia, teologia della rivelazione, escatologia, sacramentologia… Come nella teologia della liberazione si è data innanzitutto una teologia generale e poi un'elaborazione dei diversi settori teologici nella prospettiva liberatrice, altrettanto deve avvenire nel campo della teologia pluralista. E ricordiamo Tillich: ogni teologia deve essere riscritta a partire dal nuovo paradigma.
Ci manca di dire che tutto questo è praticamente ancora da fare nel campo della costruzione pluralista delle teologie settoriali, delle discipline o branche teologiche. Si sono avute appena lievi incursioni nella cristologia, più come proposte individuali che come risultati accettati e riconosciuti nella comunità teologica, accademica o pastorale.
È importante segnalare che tutta questa costruzione che ci attende d'ora in avanti esige allo stesso modo una "decostruzione"… È un altro compito, simultaneo. Perché non siamo in un terreno vuoto, ma già occupato da edifici molto antichi e ben cementati, che resistono a cadere e che molti teologi cercano di puntellare. La teologia pluralista e quella inclusivista non potranno convivere facilmente. La costruzione dell'una esigerà la decostruzione dell'altra. La prima fase di una nuova costruzione consisterà, in buona parte, nella demolizione e nello sgombero del terreno (...).
A parte i compiti teologici propriamente detti, ci sono altri compiti cui adempiere perché tutto il processo cammini armoniosamente. Oggi la teologia pluralista è fuori dalle istituzioni ecclesiastiche e dalle istituzioni religiose in generale. Le religioni - cristianesimo incluso - sono state concepite nel-l'esclusivismo, e in esso sono vissute per millenni; solo alcune, come vere eccezioni e con difficoltà, hanno assunto l'in-clusivismo. È per questo che non c'è ancora spazio, in esse, per la prospettiva pluralista. Il pluralismo appare non conseguibile, impossibile da assimilare per quello che sono state tradizionalmente le istituzioni religiose. Avranno bisogno di tempo per comprenderlo e per digerire e assimilare le sfide del pluralismo. Il compito della teologia consisterà nell'in-fluire sulle istituzioni, con tatto e pazienza, per aprirle alla ricezione delle sfide del pluralismo prima e della teologia pluralista dopo.
Sarà necessario aiutare le istituzioni religiose (Chiese e religioni) a reagire con una saggezza carica di visione del futuro, invece che, ancora una volta nella storia, in funzione di interessi egoistici istituzionali. Le istituzioni dovranno comprendere che la loro unica salvezza, in questa ora storica, è di nuovo "pasquale": accettare di morire agli interessi egoistici per resuscitare rinnovate, convertite, al servizio dell'Umanità, associate a tutte le altre religioni, come unico modo per essere accettate nella società e non essere gettate fra la spazzatura della storia.
Non dobbiamo lasciar fuori da questa "agenda" di compiti la preoccupazione pastorale. I teologi e le teologhe provano disagio nel trovarsi di fronte a un nuovo paradigma che sfida le loro precedenti convinzioni, sottomettendole ad una decostruzione a volte implacabile, e li obbliga a "nascere di nuovo" e a imparare a guardare la realtà in un modo mai sperimentato prima. Il complesso delle persone religiose è chiamato a vivere questa stessa esperienza pasquale: dovranno morire a poco a poco alle loro convinzioni, usi, ipotesi, teologie e spiritualità precedenti e rinascere ad "un'altra maniera di credere". Il passaggio non sarà facile, ma non bisogna averne paura, né bisogna allontanare il momento di affrontarlo. Al contrario: più si aspetta, prima si arriverà a un gran numero di diserzioni, che aumenteranno giorno dopo giorno proprio perché non si affronta il problema.
Qui bisogna tornare a ripetere che la teologia del pluralismo religioso non deve essere messa in relazione innanzitutto con il dialogo interreligioso. Molti lo fanno, pensando che una tale teologia serva a preparare il dialogo con altre religioni. È vero che la teologia del pluralismo religioso è una impareggiabile preparazione per il dialogo interreligioso, ma non è questa la sua prima né principale applicazione. Non mi stanco di ripetere che "la Tpr non è anzitutto per dialogare con qualcuno, ma per dialogare con noi stessi". Altrimenti detto, "non è per il dialogo interreligioso, ma per il dialogo intrareligioso". Ossia, per dialogare con noi stessi (...). Dopo di che, certamente saremo meglio preparati per un eventuale dialogo interreligioso, ma l'assimilazione della teologia del pluralismo religioso, come ricomposizione propria di tutta la cosmovisione religiosa della nostra vita, avrà pieno senso anche senza avere nessuno di altre religioni con cui dialogare.

Il suo significato: spiritualità
Cosa muove il processo e l'effervescenza della Tpr, un puro dibattito teologico accademico? C'è una mistica dietro di esso? Si è sempre detto che, dietro ogni grande corrente o movimento teologico, c'è un'esperienza spirituale profonda che ha fatto presa sul popolo di Dio. Questa è la differenza rispetto alle "scuole" teologiche, che semplicemente derivano dalla dottrina di qualche teologo geniale: la teologia della liberazione, per esempio, non è stata una scuola, non è nata da una mente geniale che ha aperto una scuola; è stata piuttosto come un incendio spirituale che in un determinato momento si è acceso e si è propagato incontenibilmente nel popolo di Dio. Prima della teologia della liberazione e al di sotto di essa c'era, a suscitarla e ad alimentarla, la spiritualità della liberazione. Gli scritti dei teologi della liberazione non erano "originali"… semmai "copiati", perché raccoglievano il vivere comunitario e impegnato - perfino martiriale - del popolo di Dio, e, dopo averlo elaborato in formato teologico, lo "restituivano" a questo stesso popolo di Dio che si riconosceva in questi scritti, in un circolo di alimentazione costante, di cui i teologi erano solo un elemento, ma non il motore primo…
Qualcosa di simile - rispettando le differenze nel tempo, nei ritmi e nel momento storico - può star succedendo oggi. La teologia del pluralismo religioso sta sorgendo simultaneamente in tutto il mondo - e non in un continente - ma non perché ci sia uno o più teologi che con la loro genialità stanno "facendo scuola". Non esiste un tale riferimento o un vincolo con teologi "fondatori". L'ebollizione avviene, semmai, un po' da tutte le parti, come un movimento o una corrente spirituale nel seno del popolo di Dio.
E neppure si tratta di un interesse intellettuale o accademico, come se questa teologia fosse un tema di interesse universitario. L'interesse che suscita è nell'Università e nella strada (...). I credenti di mentalità aperta e moderna "riconoscono" oggi queste elaborazioni dei teologi del pluralismo religioso come qualcosa che è tornato a loro, come qualcosa che credono di aver già pensato o intuito e che riconoscono come "meglio espresso". Prima e al di sotto della teologia del pluralismo religioso esiste la spiritualità del pluralismo religioso, che si respira e si espande anche senza libri e senza teologia: come per osmosi, per intuizione, come opera dello Spirito, "per i molti cammini di Dio".
Stiamo, quindi, dinanzi ad una nuova grande "ondata" dello Spirito sulla Storia. La precedente è stata senza dubbio quella della spiritualità della liberazione, che ha risvegliato il cristianesimo, a livello mondiale, nella direzione dell'impe-gno verso l'amore-giustizia, facendogli scoprire la dimensione sociale e politica alla quale era diventato parzialmente cieco. E l'"ondata" ancora precedente era stata la riconciliazione con i valori della coscienza moderna (scienza, pensiero critico, valore della persona, libertà religiosa, diritti umani, democrazia…) che è avvenuta verso la metà del secolo passato, e nel cattolicesimo ha preso corpo nel Concilio Vaticano II. All'inizio del XXI secolo stiamo assistendo alla piena espansione di questa ondata attuale, quella della presa di coscienza del pluralismo religioso che trasformerà profondamente il cristianesimo e le religioni tutte, come un punto di divisione tra un prima e un dopo.
Non stiamo discutendo di teologia; stiamo sperimentando il giungere di una nuova "ondata" dello Spirito, che ci apre coscientemente a un nuovo ciclo storico, di grande impatto, che sta appena iniziando e che promette di "far nuove tutte le cose". Mentre viviamo un nuovo tempo assiale, stiamo accogliendo un nuovo kairos al quale vogliamo aprire le porte, "senza paura", e con le luci accese.
Vogliamo partecipare a questo rinnovamento che lo Spirito suscita in questa ora. La religione, le religioni, hanno bisogno anche oggi di aggiornarsi, di aprirsi a questo movimento della Storia, di attualizzarsi, non solo nei fatti e nella comprensione del mondo, ma soprattutto nella comprensione di sé e perfino nella comprensione del sacro. La nuova ora della storia, l'ora della "globalizzazione", lo consente.
Le religioni vivono un'esperienza nuova: per la prima volta - in migliaia di anni di esistenza - non solo possono, ma si vedono obbligate a stare in contatto e a convivere (...). Vedendo le altre e convivendo necessariamente con esse, vedono se stesse allo specchio e acquisiscono una prospettiva nuova per giudicare tutto quello che ognuna aveva detto tanto di se stessa quanto delle altre (...). Come si sentono ora di fronte al "fuori di me non c'è salvezza" che quasi tutte hanno sottoscritto e proclamato sconsideratamente nel passato? Come sentono ora le loro pretese di unicità e di assolutezza per se stesse e i loro simboli?
È un'ora difficile, di transizione, di esperienza viva di una nuova prospettiva epistemologica che porta a ri-comprendere e ri-formulare molte di quelle che fino ad ora erano ritenute certezze e il cui senso ora sprofonda, si sposta, si trasforma (...). C'è bisogno di tempo per digerire e di levatrici per aiutare il parto. Questa transizione, questo cambiamento di epistemologia, questa ri-comprensione e ri-formulazione, questa digestione e questo parto sono ciò che significa la teologia del pluralismo religioso nell'attualità delle religioni.
(...) Per questo, fare teologia del pluralismo religioso non è un semplice lavoro accademico. Per molti teologi e teologhe è anche un'esperienza spirituale. È una militanza, una prassi teorica. Liberare le nuove idee che stanno nascendo, aprire le menti, evidenziare l'obsolescenza di impostazioni superate, educare gli esseri umani ad una nuova cittadinanza religiosa mondiale pluralista… è la vocazione della teologia del pluralismo e di coloro che la coltivano.
Se le religioni sono in crisi, se siamo in un nuovo tempo assiale, se le religioni hanno bisogno di una ri-conversione, il teologo deve dedicare molta della sua energia a promuovere questa conversione e ad accogliere, ascoltare e orientare questo cambiamento assiale che ci supera tutti ma al quale possiamo tutti collaborare, seppure infinitesimamente.
Si tratta di un lavoro profetico, perché richiede conversione. La teologia del pluralismo religioso esige oggi carisma profetico, per potersi indirizzare con autorità alle religioni. "Il compito dei teologi oggi è quello di ascoltare la rivelazione sempre nuova che si produce nel processo co-creatore divino-umano"; "dare nome alla rivoluzione che è in cammino". "La missione del profeta consiste nell'aprire la prospettiva, criticare lo status quo funzionale e oppressivo e mobilitare tutti verso un futuro nuovo e audace" (O'Murchú: Rehacer la vida religosa, 2001).
Ma la teologia del pluralismo religioso non è una lotta interna al mondo ecclesiastico o al mondo del puramente "religioso". È piuttosto un intervento storico nella piazza pubblica del mondo. Non è un compito meramente religioso. Mira alla trasformazione del mondo. (...) Paul Knitter lo esprime brillantemente nel prologo a questo libro: solo le religioni del mondo, unite, possono salvare l'umanità dal grande dramma che oggi la tiene prigioniera, che è precisamente l'egemonia dell'altra "religione" competitiva, la religione del Mercato che minaccia di far collassare l'umanità e lo stesso pianeta.
La teologia del pluralismo religioso si concentra sulle religioni, cosciente del fatto che sono le forze maggiori dell'umanità, le sue più potenti risorse. E vuole trasformarle. Desidera attualizzarle, farle attraversare il nuovo "tempo assiale" perché si adattino ad un tempo e ad una tappa della storia totalmente nuova. Cerca di vincere le loro resistenze, di superare il loro attaccamento a credenze inveterate e a presunte certezze, di superare il loro timore verso presunte infedeltà nelle quali si incorrerebbe precisamente obbedendo ai segni dei tempi attraverso i quali parla il loro stesso principio fondante. Fare teologia del pluralismo religioso, a volte, significa anche assumere rischi e persecuzioni da parte delle stesse istituzioni religiose. La militanza teologica ha il suo costo, quando è teologia profetica, quando non si tratta di teologia di sistema.
Tanto lo scontro Nord-Sud quanto lo "scontro di civiltà" sono conflitti tra settori dell'umanità ispirati da una o l'altra religione. In ognuno di questi settori in conflitto la religione esercita un ruolo: giustificando o tollerando, o occultando l'ingiustizia che si dà in ogni scontro. Se le religioni dialogassero tra di loro, se scoprissero il Dio della Vita e della Giustizia come Dio universale e si orientassero a seguire il suo comando di Vita e di Giustizia come obiettivo supremo, né il conflitto Nord-Sud, né lo scontro di civiltà avrebbero un seguito, mentre su entrambi i lati di ogni conflitto si continua ad invocare Dio. Continua ad essere evidente che le religioni devono convertirsi, attualizzarsi, armonizzarsi con le nuove esigenze di fraternità in un mondo unificato, totalmente distinto da quel "piccolo mondo" nel quale sono nate e si sono sviluppate in solitudine per migliaia di anni.
Il raggiungimento del mondo nuovo passa oggi per religioni rinnovate, ri-convertite, che rinunciano a quegli atteggiamenti radicati e tradizionali che, nella nuova prospettiva, sono con tutta evidenza zavorra (...). Le religioni devono abbandonare decisamente, per esempio, il miraggio del quale quasi tutte sono state vittime: quello di considerarsi il centro del mondo, di pensare se stesse come la religione unica e vera, come la religione che detiene in esclusiva la salvezza, come la religione superiore.
La maggior parte delle religioni conserva ancora al suo interno queste zavorre fondamentaliste. Molte convivono con atteggiamento civile ed educato, ma nella loro intimità mantengono atteggiamenti che si rivelano incompatibili con la convivenza globalizzata delle religioni. Perché la religione che si crede l'unica vera non convive, semplicemente tollera. La religione che si crede superiore non dialoga, semplicemente attende l'opportunità per convertire l'altra. La causa della teologia del pluralismo religioso non si radica in una discussione teorica o accademica regionale, periferica rispetto alle grandi cause dell'Umanità. La teologia del pluralismo religioso vuole far sì che tutte le teologie siano "pluraliste" e che si liberino dei tanti fondamentalisti che le affliggono; vuole che tutte le religioni si globalizzino, che tutte si riconoscano sorelle, simili, scintille uniche di una stessa luce umano-divina; vuole che passino a sentirsi e ad essere di/per tutta l'umanità, senza esclusivismi né inclusivismi, senza monopolio della salvezza, senza assolutismo, proselitismo, chiamate ad assumere di comune accordo la responsabilità del destino dell'Umanità globalizzata e unita, e anche della Vita, del Pianeta, del Cosmo.
Solo religioni "pluraliste" – che cioè assumano conseguentemente la teologia del pluralismo religioso – possono essere utili all'Umanità in questa nuova tappa della storia. Quelle che non riusciranno a fare questo passo continueranno ad essere per l'umanità busti scomodi e pregiudizievoli per la salute, ereditati da epoche ancestrali già superate.
Il senso pluralista non cadrà dal cielo per le religioni. La sua acquisizione costerà fatica, crisi, resistenze, dibattito, tensioni, persecuzioni, discernimenti… ma è ovvio che, prima o poi, l'Umanità si adatterà al nuovo stadio della sua storia, e la sua dimensione spirituale si esprimerà con strumenti adeguati. Continueranno ad esserlo le religioni, "pluraliste" in ogni caso? Permetterà l'"epistemologia pluralista" l'esistenza di "religioni" in quel futuro? Sarà quella, ancora, un'ora delle religioni o solo della spiritualità?
Non è ora, però, il momento di rispondere a queste ultime domande, ma solo di mettersi in cammino verso questo futuro che ci porterà le risposte.